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ALL’INCROCIO DI TRE VIE,
TRE CROCI DI PIETRA, UNA SCUOLA, UN CIMITERO, POCHE CASE E
UN’ANTICHISSIMA ABBAZIA
San Pietro in Selve il ritorno dei Padri
Paolini
All’incrocio di tre vie –
quelle che si diramano verso Gimino e Canfanaro a sud, per Antignana e
Corridico a nord e a in direzione di Pisino a levante – tre croci di
pietra, una scuola, un cimitero, un mucchietto di case e un’antichissima
abbazia. Questa è San Pietro in Selve. Qui sette secoli fa i Benedettini
fondarono un grande monastero, passato poi, nel 1459, all’Ordine dei
Padri Paolini. Sulla piazza dominata dall’alto campanile e dalla chiesa
barocca del convento, consacrata nel 1755 a San Pietro e Paolo, quattro
lodogni, uno immenso, tre più piccolini, fanno tanta ombra con le loro
fronde rigogliose ai pochi e occasionali visitatori del borgo che per lo
più sono casuali turisti. I “frati bianchi”, come vengono detti i
seguaci di San Paolo, per il colore del saio che indossano, ampliarono e
ristrutturarono questo grande complesso per gestirlo fino al 1783, anno
in cui l’imperatore Giuseppe II d'Austria, figlio di Maria Teresa,
sciolse tutti gli ordini, il loro incluso, e confiscò i beni ai frati. I
Paolini vennero sparpagliati, ci furono grandi vendite all'asta, la
chiesa di San Pietro andò alla parrocchia locale e il convento fu
acquistato dal conte Montecuccoli, signore del castello di Pisino, per
passare poi in proprietà della famiglia Giorgis.
Dopo un’altra confisca
nell’immediato dopoguerra, durante il periodo comunista, come tanti
altri complessi simili, per quanto iscritta nei registri come monumento
storico e architettonico di massima categoria, l’abbazia di San Pietro
in Selve fu lasciata deperire e restò per decenni nel più completo stato
d’abbandono. Tanto che alla fine del 1982, un terzo dell'ala laterale
del complesso crollò. Oggi finalmente lo stato legale e patrimoniale
dell’immobile è stato risolto e buona parte della struttura è stata
rinnovata. Grazie all’intercessione di monsignor Antun Bogetić e delle
autorità municipali di Pisino, dal gennaio del 1993 il complesso è
ritornato in proprietà della Diocesi di Parenzo e Pola e a gestire
l’abbazia e la parrocchia sono ora nuovamente i Padri Paolini, giunti
anni fa in questo piccolo paesino dell’Istria dalla città polacca di
Čenstochowa.
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Un ordine istituito nel Duecento in Ungheria
L'Ordine dei Paolini nacque in terra ungherese. Il
vescovo di Pecs Bartolomeo, benedettino dell'abbazia di Cluny,
desiderava erigere un convento eremita che fosse una vera oasi
di preghiera e di penitenza. La fondò tra l'anno 1215 e il 1225
sul monte Patacs. Dall'Ungheria l'Ordine si diffuse in seguito
anche in Croazia, dove sorsero circa cinquanta conventi e quindi
in Istria. I padri Paolini avevano proprie scuole, anche
un’università. L'Ordine raggiunse il culmine del suo sviluppo
nel XVI secolo, quando nei paesi dell'Europa esistevano circa
300 conventi. La sconfi tta dell'esercito ungherese contro
l’impero ottomano a Mohacz nel 1526, portò enormi distruzioni, i
turchi fecero abbattere decine di monasteri, bruciarono archivi
e biblioteche e molti di questi monaci morirono da martiri. La
riforma completò il resto. La ricostruzione dell'Ordine è legata
alla modifi ca del suo carattere che da contemplativo-eremita
divenne contemplativo-apostolico. Oggi i Paolini operano in 28
nazioni e in molteplici campi di attività. |
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Nel Cinquecento, al loro
avvento – quando l'imperatore Federico III, in accordo con Pio II, papa
che in precedenza fu vescovo di Trieste, cedette l'abbazia all'ordine –
San Pietro in Selve divenne in pochi anni un vero nucleo di attività
economica e culturale nel centro dell'Istria. I Paolini aprirono qui una
scuola, un ginnasio, istituirono studi di filosofia. Dopo aver
ricostruito l’intero complesso lo completarono con il campanile, alto 33
metri, con un singolare chiostro rinascimentale, quadrato al pianoterra
e rotondo al primo piano, con doppio colonnato, pavimentato con lastroni
di pietra al centro dell'edificio e con due cisterne, una grande e una
più piccola, che raccoglievano l'eccedenza dell’acqua che scendeva dal
tetto tramite delle canalette in pietra. |
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La statua di San Paolo
raffigurato con la spada ed un libro. |
San Pietro con in pugno
le chiavi del paradiso |
Il portale d'ingres
dell'abbazia: sulla lapida che sovrasta la porta è scolpito l'atto
di donazione del convento all'Ordine dei frati Paolini. |
Altrettanto adorna di dettagli
artistici al suo interno - con degli unici e rari arazzi in pelle
affrescati alle pareti laterali, opera di scuola veneziana, un prezioso
ostensorio, l'altare dorato, il coro intarsiato da un imperioso,
stupendo organo che si deve a un anonimo maestro di ascendenze tedesche
- la facciata della chiesa barocca è ricca di nicchie e di statue nella
facciata. Quelle che affiancano la porta d’entrata principale sono
ovviamente dei Santi Pietro (a sinistra con le chiavi del paradiso) e
Paolo (a destra, con in pugno la spada) ai quali la chiesa è consacrata.
La chiesa odierna, interamente barocca, è stata costruita nel ‘700 al
posto di quella che fu costruita in precedenza sullo stesso posto dai
benedettini, nel lontano 1134. La facciata è stata rinnovata qualche
anno fa. |
Di recente è stata ben
restaurata all’esterno anche l’ala del convento, che un tempo era molto
più ampia. Tredici erano le celle per i frati, ubicate al primo piano,
diciassette al secondo, per i novizi e gli studenti: c’erano poi un
ampio salone, gli alloggi del priore, il refettorio, l'oratorio, i
magazzini, la cantina vinicola e persino i gabinetti di decenza
allineati a pianoterra e dotati anche questi di canalette per l’acqua
che portavano tutto nel pozzo nero del grande orto. Oggi a gestire il
complesso e le parrocchie di San Pietro in Selve e San Giovanni e Paolo
sono i vicari polacchi Stanislaw Kokowicz e Kržysztof Rodak.
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Il capolavoro di un poetico maestro dell’arte barocca
Di
un color giallo oro, dalle sfumature quasi accecanti, incastonato nel
coro come può esserlo soltanto una pietra preziosa in un diadema,
l’organo della chiesa di San Pietro e Paolo è effettivamente un vero
gioiello d’arte barocca. Le mani che hanno scolpito probabilmente oltre
due secoli fa la cassa dello strumento, che è già singolare per la sua
dualità, in quanto si presenta identico da entrambe le parti lo si
guardi, hanno voluto decorarla con una miriade di angioletti alati che
soffi ano a pieni polmoni dentro alle fanfare. E quando lo sguardo si
sofferma a guardarli, per un’azzeccatissimo gioco di luci ed ombre,
sembra quasi che quelle figure volino intorno all’organo, gioiendo del
suono celestiale prodotto dalle snelle e melodiose canne frontali dello
strumento. E dire che oggi non sappiamo a chi attribuire il merito di
così immenso estro artistico e tanta bellezza. Si sa che nel 1887
l’organo fu restaurato da Eduard Kunad. Nel 1955 le canne frontali dello
strumento furono sostituite con canne nuove dal maestro sloveno Franz
Jenko di Lubiana. Nel 1991, dopo che a un suo nuovo restauro lavorò per
cinque anni il maestro zagabrese Ivan Faulend Heferer, il 29 giugno, in
occasione della ricorrenza dei SS. Pietro e Paolo fu solennemente
collaudato ed ora è nuovamente in funzione. |
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Il finto pianto della Vergine
Nel
dicembre del 1721, nel tentativo di convincere i fedeli istriani
delle proprietà miracolose della Madonna Nera di Čenstochowa -
racconta una leggenda - i Padri Paolini portarono a San Pietro
in Selve dalla Polonia l’icona della Vergine. Per far aumentare
oboli, decime e regali che la popolazione faceva all’Ordine, per
tutta la settimana di Natale dagli occhi della figura, che fu
collocata nella chiesa dell’abbazia, sgorgarono lacrime e
lacrime. Ma era tutto un trucco dei frati: era un novizio, come
scoprirono poi gli abitanti del luogo, ad alimentare da dietro
l’altare con una brocca d’acqua, attraverso due cannucce di
paglia infilate nel quadro all’altezza degli occhi dell’effigie
della Vergine, tutto quel "santo lagrimar". A rivelare ai fedeli
la beffa, dicono, fu un affrescatore friulano che subito dopo fu
cacciato dai frati dal paese. |
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Created: Saturday, November 03, 2007; Last updated:
Saturday December 03, 2022
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