I bianchi frati di San Pietro in Selve

di Ingrid Žic

I portone era dischiuso. Dal piazzale immerso nella luce dorata del sole, da quella facciata grigia, solida, quasi severa, non si poteva indovinare che cosa celasse il battente scostato della pesante porta di legno.Mi infilai nell'ombra scura di quello spiraglio senza nemmeno sfiorare il massiccio stipite. La scena che mi si offerse dinnanzi l'istante seguente ha avuto il potere di sedurmi per sempre: possedeva l'incredibile malia dei paesaggi che sappiamo far parte da sempre del nostro intimo, anche se la ragione ci bisbiglia con incontrovertibili argomenti che, in verità, li non siamo mai stati prima.

Facciata della Chiesa ed il campanile Statua della Madonna sul centro della facciata

Il chiostro paolino del convento di San Pietro in Selve rifletteva, nel quieto gioco chiaroscurale di un pomeriggio di sole, un'armonia luminosa: conficcata al centro, come una lancia, una cisterna, attorno alla quale piastre di pietra mandavano un pallido lucore. L'atrio, un quadrilatero perfetto, aperto alla volta celeste, era cinto da una serie di arcate di pietra, in un rincorrersi di forme poi reiterato in piccolo dal retino di delicate colonnine al primo piano dell'edficio: la levità di quell'esaltante struttura aveva l'armoniosità di un accordo. Sfiorando con le dita l'orlo delle rosette, scolpite in for:ma di fiori a sei petali nella teoria inferiore di colonne, avvertii un tepore e una vivezza come se stessi toccando un albero e non fredda pietra lavorata. Da quel posto abbandonato già da duecento sette anni, promanava un generale senso di chiarità e vitalità. Consapevole del fatto che ogni tempio è copia dell'archetipo celeste, procedetti lentamente in quel labirintico microcosmo fino all'ala orientale diroccata che, all'estremo margine, diventava un vero cumulo di macerie; fino alla cantina, alla quale si accedeva da una gradinata giallo ocra; fino alla cucina, in cui c'era ancora un enorme focolare con la cappa, dove si prepararono i pasti pur una ventina di frati paolini, quanti, di solito, nel corso della storia, vissero nel conventa. E fino alle celle, desolatamente abbandonate, senza uomini né cose; fino a quello chè era stato il refettario... Ma dov'era finita la biblioteca, con migliaia di volumi, dov'erano le ricette e le pozioni di quello che fu la più famasa erboristeria del medio evo istriano? Mi mancavano gli oggetti con la loro patina, consumati dall'uso e dai maneggiamenti, mi mancava l'intonaco sulle pareti che snudavana la propria struttura, mi mancava un simulacro qualsiasi di vita. A imargini delle sue ale il conventa diventava selva oppure, se vi pare, la selva entrava nel conventa. Inappuntabile appariva solamente il chiastro, il cuore, il centro dell'ex dimara paolina.

Ad un tratto scorsi qualcosa che mi fece trattenere il respiro: il varco semicircolare di quella che una valta era stata una finestra campletamente avvinghiato dai rami e dalle foglie di un cespuglio. Attraverso la cupa verzura del fogliame filtravano cascatelle di luce verde. Sarebbe davvero impossibile immaginare scuri più belli di quella ghirlanda di fronde. Attraverso il gigantesco cespuglio che abbracciava tutta la finestra, proteggendola meglio del vetro più spesso, palpitavano una vita e un'energi tali che improvvisamente mi venne da pensare che tutte le pietre di quel conventa potevana resistere e restare unite solo grazie alla vitalità di quell'arbusto e paventai che, se gli uomini ci fossero tornati, la prima cosa che avrebbbero fatto sarebbe stato tagliare l'arbusto e allora il convento che esso proteggeva sarebbe crollato in quello stesso istante, definitivamente.

Nell'antichità esisteva equivalenza semantica fra bosco e santuario. Semplicemente i boschi erano santuari  in natura. Ci giunge da quell'epoca il nome di San Pietro in Selve, un nome poetico e  insolito al tempo stesso, perché la sacralità sottolineata sin all'inizio è appena un preludio. I primi dati storici accennano che nel 1134 nel tempio  naturale di quella foresta vergine il conte istro-goriziano.Enghelberto I fondò un'abbazia benedettina. Il' nome il convento lo ottenne dal bosco di querce che lo circondava. Quando i benedettini se ne andarono, l'imperatore Federico II consegnò, nel 1459, l'abbazia abbandonata ai paolini che, con il permesso. di papa Pio II, fondarono  un convento dotato di una vasta proprietà. Fino al 7 luglio di quest'anno, 1993, avremmo potuto chiedere, senza arrossire per l'ignoranza, chi fossero i paolini. In quella data appunto i paolini sono tornati nuovamente a San Pietro in Selve: esattamente 207 anni dopo l'abolizione del loro ordine e 534 anni da che avevano ottenuto per la prima volta il permesso di fondare, in quel posto, un monastero che un tempo fu il più grande convento paolino dell'Istria e, accanto a quello di Lepoglava, anche il maggiore della Croazia.

Chi furono, dunque, e donde giunsero in Istria i paolini, i religiosi che il popolo, date le loro vesti candide, chiamava i "frati bianchi"?

Il loro patrono è san Pietro l'Eremita (Paulus, primus eremita), il primo eremita cristiano che, nativo di Tebe (Egitto), visse nel IV secolo. La leggenda dice che, durante le persecuzioni dei cristiani da parte dell'imperatore Decio, egli si rifuggiasse nel deserto vivendoci per 28 anni. Beveva l'acqua di una sorgente accanto alla quale cresceva una palma e ogni giorno riceveva la visita di un corvo che gli portava in becco un mezzo pane. Qui lo trovò un altro santo, Antonio l'Eremita, che rimase con lui fino alla sua morte. Quando Antonio si mise a scavare la fossa per seppellirvi Paolo, giunsero dal deserto due leoni per aiutarlo. Un riflesso iconografico del racconto è nei simboli contenuti nello stemma dell'ordine paolino: al centro la chioma ramificata di un albero di palma sulla quale si ergono due leoni che poggiano sulle zampe posteriori, mentre sulla chioma stessa siede un corvo che tiene il pane nel becco. Tuttavia Antonio l'Eremita fu solamente il mitico ispiratore dei paolini, il cui ordine venne invece fondato da un certo beato Eusebio, prelato di Esztergon. L'ordine è infatti originario dell'Ungheria, donde si espanse rapidamente in Croazia, Austria, Francia, Portogallo... È risaputo che San Tommaso d'Aquino, fra gli altri, intercedette presso papa Urbano IV affinché approvasse la fondazione dell'ordine, il che avvenne nel 1256.

All'inizio l'ordine fu veramente eremitico, i suoi adepti erano monaci alla ricerca di posti solitari dove potersi dedicare al romitaggio, alla preghiera e meditazione. Ben presto comunque divenne un ordine conventuale; monasteri paolini si menzionano a Dubica (1244) e a Remete presso Zagabria (1240), a Slankamen (1294) e a Cepić, dove c'era il convento della Beata Vergine Maria del Lago, "ad lacum Istriae" (1287). Il convento della Madonna del Lago fu quello dal quale, due secoli più tardi, giunsero a San Pietro in Selve i paolini... Non trascorse molto tempo che il monastero di San Pietro diventò il più importante, ottenendo giurisdizione sulla Madonna della Corona (tra Corridico e S. Lorenzo del Pasenatico), luogo di pellegrinaggio, nonché il feudo dei vescovi parentini e le terre della chiesa di S. Elisabetta (Zabeta) e di S. Salvatore in quel di Montona. E se anche la sede del priorato paolino per la provincia dell'lstria e di Vinodol era a Crikvenica, il convento matricale divenne quello di S. Pietro in Selve. Appena arrivati, nel 1459, i paolini lo rinnovarono e ampliarono. E lo fecero in maniera fantastica, semplicemente ingegnosa. Il chiostro che avevano ereditato dai benedettini era un po' più grande (11,5 x 11,5 m) di quelli cui loro erano usi. Innalzarono di un piano quello che sino ad allora era stato un complesso ad un piano. Ma la meraviglia è come lo fecero. Tutto il sistema di arcate romaniche poggiante su esili colonne e su volti semicircolari (12 luci) venne sostituito da colonne rinascimentali lavorate con arcate semi circolari (6 luci); le vecchie arcate romaniche vennero innalzate di un piano! La grazia e la leggera del chiostro di S. Pietro in Selve sono un miracolo di sapere e ispirazione architettonica. L'enorme complesso di pietra crebbe lentamente, per secoli.

L'altare principale

Nei lunghi secoli del medio evo i paolini furono tecnici, maestri, irradiatori di cultura, scienza e fede. La loro visione del mondo, fondata sul tomismo, gli ispirò un programma spirituale da trasmettere con l'attività pastorale e divulgativa al popolo. I Croati non avevano nel medio evo un'istituzione, che non fosse quella ecclesiasitica, che si occupasse sistematicamente di scolarizzazione e non era nemmeno pensabile una produzione artistica indipendentemente dalla Chiesa. Per questo i conventi erano baluardi del potere spirituale e politico, luoghi da cui il sapere si diffondeva in pari modo nell'istruzione e nell' economia, nelle arti e nelle scienze. La comunità religiosa di San Pietro in Selve si comportava alla stessa maniera delle altre confraternite in tutta Europa: i paolini conducevano un economato che era da esempio al popolo, istruivano i bambini, tenevano scuole e noviziati per i più dotati, destinati a diventare i futuri religiosi. (L'istituto scolastico dei paolini a Lepoglava fu il più importante centro spirituale umanistico e rinascimentale della Croazia continentale).

Trascorsero i tempi burrascosi e inquieti del XVI e XVII secolo, sul cui agitato palcoscenico storico si avvicendarono, come sempre, conflitti e guerre. Le irruzioni turche distruggevano i monasteri ma i frati li riparavano e li ricostruivano sempre, con incrollabile tenacia. A San Pietro in Selve soggiornò in qualità di priore della Provincia istro-quarnerina un noto letterato, padre Ivan Belostenac (1595-1675); nel convento si formò anche il più importante paolino istriano, Simun Bratulić, che, nel 1591, sarebbe divenuto generale dell'ordine e in seguito vescovo dello Srijem e poi anche di Zagabria. Fu egli ad avviare la costruzione della chiesa dei Santi Pietro e Paolo, che sorge accosto al convento, una chiesa che è fra le più belle costruzioni barocche della Croazia e che a quel magico chiostro conventuale oppone un contrasto stilistico e temporale. La chiesa parrocchiale dei S.S. Pietro e Paolo attesta in maniera paradigmatica la letizia estetica che animava allo studio del mondo sensibile quei religiosi, che erano anche costruttori, scultori, pittori e che crearono quel tempio in gloria del Signore e per la gioia propria e di coloro che verranno. Asserire che l'arte barocca è il riflesso della controriforma non basta a spiegare l'estro e l'empito raggiunti in decine di conventi paolini nei quali i frati, artigiani e artisti, scolpivano, scalpellavano, pitturavano e indoravano con un entusiasmo che rasentava l'euforia, asservendo l'arte alla fede. Storicamente quel crescendo culturale e creativo viene spiegato con la ritirata dei Turchi dalle regioni della Slavonia e della Croazia continentale e, in Istria, con la pace che subentrò al termine delle guerre austro­veneziane. Nei documenti d'archivio è registrato che la costruzione della chiesa venne avviata appena nel 1677, quando il provinciale paolino per l'Istria, Giovanni Spigliati (nato a Fiume), riuscì a conciliare i rapporti con i coloni dei possedimenti conventuali. L'inizio della sua erezione può venir collocata nell'ul­timo decennio del XVII secolo: la prima fase si concluse attorno al 1715, la seconda nel 1732. L'arredamento andò man mano componendosi nella metà e nell'ultimo scorcio del XVIII secolo. La chiesa, come sta scritto nel cronogramma sotto l'oratorio, venne consacrata nel 1755.

Paolo o Paulus Riedl, "statuarius et sculptor", il più importante scultore paolino assieme da Alessio Koniger, creò per oltre tre decenni nella solitudine del convento di San Pietro in Selve un'opera titanica. Il cognome indica che era originario del Nord, donde portò in Istria e nel Quarnero le conoscenze della scultura barocca centro europea. Il suo capolavoro è appunto l'arredamento della chiesa conventuale paolina di San Pietro in Selve. Gli ci vollero due decenni per intagliare cinque altari, il pulpito, la cassa del­l'organo e per scolpire le statue di pietra che si trovano nelle nicchie sulla facciata della chiesa. Non lavorava da solo, naturalmente: lo aiutò in particolare il pittore Leopold Keckheisen, un frate che di mestiere era "pictor", e che ottenne la fama proprio per aver dipinto le pale d'altare di San Pietro in Selve. L'indoratore degli altari e delle statue fu un certo padre Paolo.

I frati paolini riuscirono a creare uno stupendo interno ecclesiale, che è imprescindibile nello studio del barocco, almeno nelle nostre terre. Lo stile in parola era ritenuto fino a poco tempo fa, e forse lo è tuttora, eccessivo, di dubbio gusto, kitsch; i suoi tratti distintivi erano considerati altrettanti difetti. Alla misura, come ideale rinascimentale, il barocco oppose la ridondanza, l'eccentricità, un dinamismo eccezionale e iperscenografico. E tuttavia l'interno di S.S. Pietro e Paolo è esemplare per il barocco gloriante, cantante e rigoglioso. Il visitatore si emoziona alla vista dello sfarzoso empito dei quadri. L'abbondanza di dorature, la ricchezza dei dettagli, l'espressività delle statue, la straordinaria grazia dell'organo, il gioco di luci che sottolinea la dovizie ornamentale creano un'atmosfera unica, ridondante di animate forme sinuose, di riflessi dorati, di movimentati trastulli visivi. Di fronte a noi non solamente un palcoscenico o una scenografia, ma uno spettacolo con drammaturgia, testo, ruoli preordinati... Dopo questo vissuto ci si sente leggermente ebbri, come dopo aver sorbito una coppa di champagne dorato...

Ma ecco il taglio. L'abrogazione. La condanna a morte. Proprio quando l'attività culturale paolina aveva raggiunto l'apice, Giuseppe II firmò, il 7 febbraio 1867, un'intimazione che aboliva l'ordine. Le autorità governative ne confiscarono i beni, tutti gli oggetti preziosi vennero inviati alla Camera di Corte, gli arredi sacri furono venduti all'asta, il denaro e i metalli furono consegnati alla zecca di Vienna. Un saccheggio, uno dei più gravi, per portata e organizzazione, del patrimonio culturale croato, che venne eseguito presto, efficacemente e senza misericordia. Perché? Perché Giuseppe II, assolutista illuminato, aveva voluto abrogare l'ordine paolino? Gli storici spiegano i suoi motivi con diverse e non sempre concordanti ragioni. Una delle precipue fu la ricchezza dei paolini: il monarca aveva bisogno di soldi e di beni. È possibile che, volendo riformare il sistema scolastico nello spirito illuminista, i paolini gli fossero d'intralcio? O c'erano di mezzo vecchie ruggini? C'entravano forse i massoni, come crede padre Konrad, l'odierno priore del convento di San Pietro in Selve? Neanche oggi esiste una risposta univoca, ma le conseguenze furono invece chiarissime: dappertutto i conventi paolini vennero chiusi e i loro proprietari messi a riposo o trasferiti; dappertutto, in tutti gli stati dell'allora Monarchia austro-ungarica, fuorché in un unico posto al mondo. A Cracovia, città polacca che godeva dello status di città libera, rimase l'unico convento paolino! A Čenstohova invece, il più grande santuario polacco, dove i paolini fondarono il loro primo convento nel 1382, ne rimase un altro, ma penalizzato da forti limitazioni. (Sull' altar maggiore della chiesa parrocchiale di San Pietro i paolini espongono una riproduzione della Madonna di Čenstohova che, secondo la leggenda, versò lacrime durante la settimana della natività nel 1721).

Grazie alla città polacca e a un grande santuario i paolini hanno quindi potuto sopravvivere fino ad oggi. Per iniziativa del vescovo parentino-polese e dell'ex sindaco Stanko Malisa, i paolini sono adesso a San Pietro in Selve per la seconda volta. Sono tre, padre Konrad e padre Stanislao dalla Polonia e padre Andrija, un croato dell'Erzegovina, e devono cominciare tutto daccapo. Pacatamente, con dolcezza e con un sorriso, com'è d'uopo a un religioso, padre Konrad mi spiega che per il momento hanno preso in consegna soltanto la parrocchia, perché il convento sarebbe, nella situazione attuale, un impegno troppo gravoso per la loro piccola comunità. Ma quello rimane il loro grande desiderio, com'è desiderio anche del vescovo, e dello stato ma... chi è in grado di elargire l'enorme cifra che servirebbe per restaurare il convento diroccato?

La grande cupola stellata in cima alla chiesa dei S.S. Pietro e Paolo sembra adesso una vela spiegata sopra San Pietro in Selve, l'unico posto al mondo in cui la pietra ha il calore degli alberi. Sarà per questo che la palma di San Paolo l'Eremita, piantata tanto tempo fa nel deserto, ha potuto frondeggiare un' altra volta nel cuore dell'Istria.

Tratto da:

  • Testo e fotografie - Ingrid Žic / fotografie di Sergio Gobbo, "I bianchi frati di San Pietro in Selve", Jurina i Franina, No. 55, Inverno 1993, Libar od grozda, Pula, p. 26-35.
  • Exterior photograph - http://www.pavlini-svpetar.hr/ (Hrvatski)
  • Photo of organ

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Created: Saturday, August 06, 2005; Last updated: Saturday December 03, 2022
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