LA PREZIOSA TRADUZIONE È UNA CHICCA PER GLOTTOLOGI E FILOLOGI

Il Dalmatico, una lingua dimenticata

I documenti sono stati raccolti da M. G. Bartoli intorno al 1898

© Giacomo Scotti

[Tratto da: © La Voce del Popolo, 3 luglio 2003.]

3 luglio 2003

FIUME - Una chicca preziosa per i glottologi, ma non soltanto per loro; un libro rarissimo reso finalmente accessibile agli studiosi ed ai curiosi: l'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani di Roma ha pubblicato "Il Dalmatico" del grande linguista istriano Matteo Giulio Bartoli, a cura del noto glottologo italiano Aldo Duro scomparso di recente poco prima che vedesse la luce la sua fatica.

Si tratta di un volume densissimo di circa 500 pagine, la prima traduzione in lingua italiana dall'originale in tedesco pubblicato a Vienna nel 1906, nel quale l'autore spiegò le vicende dei "resti di un'antica lingua romanza parlata da Veglia a Ragusa" e cioè lungo l'intera costa orientale dell'Adriatico sino alla fine dell'Ottocento, precisandone la "collocazione nella Romanìa appennino-balcanica".

Nell'edizione tedesca dell'inizio del secolo scorso il "Das Dalmatische" fu pubblicato in due volumi dedicati a quelli che il Bartoli considerava e ammirava come propri maestri: il dalmata Adolfo Mussafia, il goriziano Graziadio Ascoli e lo svizzero Wilhelm Meyer- Lübke. Nell'edizione italiana apparsa all'inizio del terzo Millennio, invece, il curatore pubblica a mo' di prefazione una "Dedica ai genitori" del Bartoli, datata "Presso del Quarnaro, estate 1906", scritta in italiano, che così comincia: "Carissimi genitori, eccovi ora il frutto della fatica che mi vedeste durare tanti anni. Graditelo, sebbene coteste carte vi siano scritte in una lingua che non m'avete insegnata voi né a voi fu insegnata. Nella lingua nostra dunque vi scrivo, per dirvi l'origine e l'intento del libro, i difetti suoi e i meriti altrui".

Il "dalmatico" era una lingua neolatina formatasi nell'età medievale attraverso progressive trasformazioni dal latino portato nella regione dalle regione romane. Altra denominazione con la quale esso è stato indicato dagli studiosi è quella di veglioto o vegliotto dall'isola quarnerina di Veglia nella quale "questo idioma si è conservato quasi miracolosamente più a lungo che altrove come ci ricorda il prof. Duro nella premessa - tramandato e compreso, anche se non più spo- radicamente parlato, fin verso la fine del secolo XIX, quando, nel giugno 1898, si spegne con la morte dell'ultimo dei parlanti, Antonio Udìna, che fu anche il più ascoltato tra gli informatori che Matteo Giulio Bartoli ebbe modo di interrogare a più riprese nel tempo in cui preparava la sua tesi di laurea proprio sul dialetto vegliota". Scritta in italiano e discussa nel luglio 1898 all'Università di Vienna, quella tesi fu poi pubblicata in due volumi, ma solo dopo essere stata riscritta in tedesco per la collana dell'Imperiale Accademia delle Scienze austriaca. Purtroppo, della tesi originale non si è riuscita a trovare alcuna traccia neppure nell'archivio dell'Università viennese, per cui si è ricorsi, per l'edizione italiana della Treccani, a una ritraduzione accompagnata da laboriosi operazioni di controllo e verifica delle citazioni bibliografiche, da adattamenti e qualche revisione.

L'edizione italiana, apparsa con circa un secolo di ritardo, comprende una sessantina di pagine di Introduzione, una Parte prima e una Parte Seconda. Nell'Introduzione si fa la storia del dalmatico suddiviso in due gruppi: il veglioto e il resto della Dalmazia (ragusano). La Parte prima è un "Compendio di etnografia dell'Illiria" con premesse storico- geografiche, informazioni sulle diffusioni delle lingue sul territorio nei vari periodi storici, le correlazioni tra le lingue dell'"Illiria" e i rapporti di affinità all'interno del dalmatico. La Parte seconda comprende invece glossari e testi, cominciando da Veglia e dal veglioto, la grammatica e il lessico della lingua dalmatica, la morfologia, la sintassi.

Matteo Giulio Bartoli (del quale fornisce ampi cenni il sesto volume del "Dizionario biografico degli Italiani" dell'Enciclopedia Treccani, al quale rimandiamo) nacque ad Albona d'Istria il 22 novembre 1873, si spense a Torino nel 1946. Oltre alla poderosa opera sul dalmatico, è ricordato per l'Atlante linguistico italiano (con G. Vidossi e U. Pellis, 1924, incompiuto), la Introduzione, alla neolinguistica (1925) per la quale è considerato il fondatore del movimento neolinguistico di ispirazione crociano e Saggi di linguistica spaziale (1945).

Tra le fonti di cui il Bortoli si servì per la sua opera sul dalmatico ci fu un breve saggio del rovignese Antonio Ive, L'antico dialetto di Veglia, pubblicato nel 1886 in due fascicoli successivi dell'"Archivio glottologico italiano". In occasione dell'edizione italiana dell'opera Das Dalmatische, l'Enciclopedia Italiana ha ripubblicato separatamente ma insieme al volume del Bartoli, anche quel saggio di Ive, anche questo a cura del prof. Aldo Duro e d'intesa con il Centro di Ricerche Storiche dell'Unione Italiana con sede a Rovigno. A una perla preziosa si è aggiunta un'altra piccola perla.

Il saggio dell'Ive, va precisato, è presentato in ristampa fotostatica. Perché questo abbinamento? Il Prof. Duro lo spiega con i numerosi riferimenti che il Bartoli, nel suo lavoro, fa al saggio dello studioso rovignese dell'Ottocento. Riferimenti che non sarebbero agevolmente reperibili, né facilmente comprensibili, senza averne il testo sott'occhio. Un'ultima annotazione: Concludendo la "dedica ai genitori" dell'estate del 1906, M.G. Bartoli scrisse: "Qui poi, in Albona, debbo moltissimo alla liberalità della Famiglia Scampicchio, che mi dischiuse il tesoro della sua biblioteca patria". Ecco, grazie all'Enciclopedia Treccani (ed alla "Società di Storia Patria di Venezia che destina un corrispondente numero di copie del volume gratuitamente a biblioteche universitarie, regionali, comunali eccetera) l'albonese Bartoli è tornato nella terra di origine insieme al rovignese Ive che gli indicò la strada da percorrere.


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