Autore di decine di brani famosissimi
Addio a
Endrigo poeta triste della canzone
L’ultima sua opera fu un libro contro i
discografici
08 settembre
2005
Se n’è andato il
poeta della canzone per antonomasia. Sergio
Endrigo era l’anello di congiunzione fra la musica
leggera e il mondo della letteratura e della
cultura. Interagì con Pier Paolo Pasolini, Gianni
Rodari, Vinicius De Moraes (che gli dedicò «Samba
para Endrigo») Roberto Carlos, Giuseppe Ungaretti,
ma anche con poeti dialettali come Biagio Marin e
Ignazio Buttitta. La sua vena intellettuale e
malinconica non gli impedì di creare brani molto
popolari: «Canzone per te» che vinse a Sanremo nel
1968, «Io che amo solo te», «Aria di neve» e, molto
prima, «Via Broletto» e «Viva Maddalena», su temi di
segno opposto, il primo un cupo delitto di gelosia,
il secondo spumeggiante. «Non so da dove venisse
l’ispirazione delle mie canzoni - confessò negli
anni ’90 -. Credo che affondassero nella mia
malinconia austro-ungarica che ha qualcosa in comune
con la saudade brasiliana: la consapevolezza della
perdita dentro l’intensità di un’emozione».
Sergio Endrigo era nato in Istria a Pola,
allora Italia, il 5 giugno 1933.
Figlio di un cantante lirico, iniziò
studi musicali a dieci anni, ma la
lirica non era per lui. Cominciò così a
cantare musica leggera nei night e a
incidere i primi dischi. Fondamentale
l’incontro a Milano con il discografico
Nanni Ricordi. «Dopo aver ascoltato "I
miei vent’anni", si commosse e mi disse:
smettila di fare il cantante da night,
canta canzoni tue», ricordava Endrigo.
Ma lo spirito del night aleggia nel primo
album, che la critica accostò
alla scuola genovese: Paoli, Bindi, De
Andrè e Lauzi. Accostamento arbitrario.
In realtà Endrigo è un outsider, sospeso
in una dimensione fra nostalgia e
solitudine che negli anni si esprime su
un fronte stilistico vastissimo:
«Teresa», «La prima compagnia», «Lontano
dagli occhi» (seconda a Sanremo 1969),
«Vecchia balera», «Mani bucate», «La
colomba» (su testo di Rafael Alberti,
inclusa, in versione tedesca, nel
repertorio di Milva), «Bolle di sapone»
(la prima in assoluto pubblicata nel
’60), «Adesso Sì», «L’arca di Noè»
(terza a Sanremo 1970).
Nel 1970 affronta una delle esperienze
più interessanti della sua carriera: un
concept album intitolato «La vita amico
è l’arte dell’incontro» realizzato con
Toquinho, Vinicius de Moraes e le poesie
di quest’ultimo recitate da Ungaretti.
L’album piace alla critica, consolida la
fama di Endrigo nel Sudamerica, ma in
Italia le partecipazioni al Festival non
portano a sensibili risultati di
mercato. «Una storia» (1971), «Elisa
Elisa (’73) e «Quando c’era il mare»
(’76) non ebbero gran seguito. La sua
fortuna presso il grande pubblico, dopo
gli splendori del 1968-71, venne
rinnovata con canzoni per l’infanzia
come «Ci vuole un fiore» scritta con
Rodari. Incominciò gradualmente un
periodo di oblio, accompagnato da
contrasti sempre più forti con il mondo
discografico che Endrigo accusava di
insensibilità e ostilità nei confronti
delle sue proposte artistiche.
La sua rabbia culminò nel libro
«Quanto mi dai se mi sparo», pubblicato
all’inizio solo da una piccola casa
editrice svizzera. E’ la storia di Joe
Birillo, cantante di successo che dopo
molti anni buoni va appannandosi senza
che egli ne capisca le ragioni, fino a
quando prende forma il grande disegno
che tiene il lettore sospeso fino alla
fine (si sparerà in diretta). Aveva
sfiorato anche i fotoromanzi (Bolero
Film, nel ’64) e partecipato a un film (
Tutte le domeniche mattina di Carlo
Tuzii del 1972), ma il cinema lo fece
poi soffrire per colpa della causa
contro Bacalov per il plagio della
musica del film Il postino (prossima
udienza: 21 dicembre 2007!). Sergio
Endrigo era malato da anni e più
recentemente era anche stato colpito da
ictus, ma aveva soprattutto sofferto per
la grave forma di sordità che gli
impediva di ascoltare la sua voce
negandogli una corretta intonazione. Un
gentiluomo amareggiato, dignitoso e
fiero, come il protagonista di «Via
Broletto» che, dopo aver ucciso per
gelosia, si chiude nel silenzio: «Ma
sono un gentiluomo e a nessuno dirò il
perché». Per espressa volontà
dell’artista, esternata dalla figlia
Claudia, non vi saranno funerali
religiosi, ma un concerto organizzato
con il Comune di Roma e si chiede
inoltre di evitare i fiori per fare
donazioni a enti che si occupano di
animali abbandonati.
Mario
Luzzatto Fegiz
08 settembre
2005
Tratto da:
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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spettacoli/2005/09_Settembre/08/sergio_fegiz.shtml
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