Onorevole Signor Ingegnere Luigi Dottor Buzzi
in Trieste.
"Il sig. D. M. ed Ella, distintissimo signor
ingegnere, ch'io per inopinate combinazioni non ho potuto incontrare e
conoscere in un mio recente passaggio per
Trieste, mi
hanno posto, per eccesso di benevolenza, in un grave impiccio di fronte ai
lettori del Cittadino. Mi riferisco allo lettere che si sono
scambiato a riguardo mio nei n.ri 26 e 28 del detto giornale.
"Io non sono uno scienziato, non sono un
paleo-etnologo; non lo sono assolutamente. Dello scienze io ne so appena
quanto occorre per non averne pretesa. — Però la coscienza del mio scarso
sapere non mi rende pusillo, nò mi ha tolto mai il senso del mio dovere.
Quindi sono ben lontano dal negare o nascondere coso che possano comunque
giovare e in generale alla scienza, e in particolare alla storia del mio
paese, che amo [21] tanto. E a dimostrarle co' fatti la mia
franchezza e insieme il vivo mio desiderio di stringere rapporti con Lei che
mostrasi così addentro nei nuovi studii, la esporrò candidamente non solo le
mie qualunque scoperte, ma ad un tempo anche la via per la quale vi sono
arrivato.
"Il rinvenimento affatto accidentale di una
importante lapida romana seguito or sono molti anni in
Albona mia terra natale, m'invogliò alla ricerca di cose antiche, prima
nell'agro Albonese, poi anche in altre parti della provincia. Fatto attento
dalle dotte elucubrazioni archeologiche del D.r
Pietro Kandler, viddi che l'Istria tutta fu all'epoca della dominazione
romana coperta da una rete dì fortilìzii e vedette poste su per le tante sue
alture a guardarne il comune alpino, i porti, le cittadi, le vie, ad
avvisare pericoli, a propagare notizie. Ma visitato poi partitamente un
rilevante numero di coteste rovine negli agri di
Albona,
Cherso,
Volosca,
Pisino,
Pola,
Dignano,
Rovigno e
Parenzo, viddi
o mi parve di vedere, che non tutte sono cosa romana, che in alcune anzi
nulla v'ha di propriamente romano o d'altro popolo che possa dirsi civile,
che in altre sotto lo strato romano v'è qualche cosa di ben più antico, di
assai più antico di quasi ciclopico, a non dir primitivo; viddi, o mi parve
di vedere, in parecchie di esse le ultime orme di un popolo antichissimo,
povero di bisogni e di mezzi, rozzo, selvaggio, che non aveva l'uso del
metallo, che viveva, pare, all'aperto e si trincierava in piccoli gruppi o
tribù sulle cime delle montagne, di preferenza sulle più alte. (18)
"Nata in me questa idea, non visitai più
rovina montana senza portarne a casa qualche seguo materiale. Così ho fatto
su, quasi senza accorgermi, una buona messe di manichi, di fondi, di labri,
di altri frammenti di vasi assai grossolani, e due vascoli intieri, ed altri
cocci male impastati, non cotti al fuoco o mal cotti, misti o d'argilla
biancastra, e di terra rossa locale, di sabbia, e d'abbruciaticcio, e
insieme alcuni pezzi di pietra levigati, arrotondati, quasi partì od avanzi
di piccole molle a mano, poi qualche osso anche fesso, e qualche [22]
altra pietra ridotta a forme un po' regolari; finalmente mi capitò fra le
mani una piccola ascia o scure di pietra nera durissima, lavorata con
giustezza di proporzioni. Tutto questo prima del 1859.
"Trasferitomi altrove, raccomandai la raccolta
comprendente qualche saggio di breccia ossifera, buona copia di petrificati,
alghe, conchiglie, monete romane e venete, mobili antichi, pergamene ed
altri cimelii, raccomandai, dico, ad un mio carissimo parente ed amico, il
signor Antonio Scampicchio, che accolse tutto e conservò con gelosissima
cura in casa sua.
"Nell'autunno del 1876, no potuto rivedere la
terra natale e le mie raccolte, ma l'amico non più. (19)
Però trovai vivente il suo spinto nei figli di lui, i quali anzi non
contenti di conservare, vollero continuare la mia raccolta. L'avvocato
Antonio, che particolarmente si diede allo studio delle cose naturali,
s'adopera a completare la collezione locale dei petrificati e tien dietro
con passione alle più recenti scoperte paleontologiche ed antropologiche.
"In una prima gita fatta assieme a Fianona
raccogliemmo un elmo di rame e un amuleto di bronzo, che il chiarissimo
dottor Kaudler ha giudicato anteriori a Giulio Cesare, non romani,
probabilmente liburnici, che è a dire italici antichi. L'amuleto o che altro
sia, fatto in un modo da stare appeso, rappresenta un quadrupede a collo
lungo, che per le apparenze e la mossa, dovrebbe essere classificato fra i
cani, ma che non ha vero riscontro nelle specie viventi.
"L'autunno seguente (1868), ritornato in
Istria, fui ancora più fortunato. Ricuperai dalle mani di un contadino in
Vermo, distretto di
Pisino, una
punta di freccia di selce simile a quella del vicentino. È di perfettissima
conservazione, ed ha la forma e le dimensioni precise di quella che il
chiarissimo Lioy dà disegnata nel testo della sua Escursione sotterra
e che fu riprodotta in altre pubblicazioni.
"Da cosa vien cosa. Riseppi allora che nello
stesso agro di Vermo furono dissotterrati molti anni addietro [23]
altri ed altri oggetti di cotto, di rame, di bronzo, i quali finirono non si
sa dove. Ultimo avanzo di questi ebbi per gentilezza un cavalluccio di rame,
rimarchevole anch'esso per il collo lungo oltre il naturale delle specie
viventi.
"La punta di freccia (20)
ritrovata ia terreno recente dev'essere venuta giù colle acque dai poggi
circostanti, poggi ch'io ho visitato, ma che non potei ricercare ancora in
tutte le loro parti così da riescire a risultati sicuri. Intanto il fatto
della freccia mi animò a spingere innauzi le mie ricerche.
"Il suolo dell'Istrìa è perforato non solo da
grande numero di profonde voragini, ma anche da autri e caverne praticabili
ed abitabili. — Pensai che importerebbe visitare e frugare ad una ad una
almeno quest'ultime che in esse forse potrebbero nascondersi traccio e
avanzi di epoche ancora più remote e veramente selvaggie.
"Fecimo coll'amico Scanapicchio delle
ricerche, impegnammo altri amici ad estenderle e moltiplicarle, ma ancora
non ci arrise il desiderato segnale. Non disperiamo. Gli uomini dell'età
della pietra, dei quali si hanno, come vede, indizii non dubbi nell'Istria,
non saranno già cascati qui dal cervello di Giove belli ed armati.
Insistendo ci si arriverà, ci si deve arrivare.
"L'ultimo autunno (1869), potemmo fare qualche
escursione sull'isola di
Cherso.
Nelle vicinanze di Vrana, donde avevo avuti i primi saggi di breccie
ossifere, ne trovammo altri ed altri ricchi sopra tutto di denti. Poi
n'ebbimo di più rari tratti dalle parti dei Lussini. In uno di questi v'è un
notevole miscuglio di grossi denti d'animale e di denti minori ch'io non oso
dire d'uomo. È un esemplare che vuol essere giudicato da chi ha famiglialità
colla anatomia comparata. — Finalmente, accompagnato da egregie persone
pratiche dei luoghi, sono sceso nelle caverne di Ghermosal, non lungi dal
canale di Ossero, già descritte dall'illustre Naturalista
Alberto
Fortis nel suo
Saggio
di Osservazione sopra l'isola di Cherso ed Ossero, Venezia, 1771.
"Molti accusarono il Fortis di esagerato,
poetico, visionario. Facile il dirlo, ma io colla scorta del suo [24]
libro ho colto la natura per così dire in flagranti, nell'atto cioè che
forma e consolida la pasta ossifera chiusa fra strati di pietra. La
descrizione eh' ci fa di dette caverne è così esatta, ch'io e i miei
compagni possiamo dire di aver posto il piede e la ma.no ove egli lo pose.
Ma i cent'anni corsi dalla sua esplorazione sono un giorno nella vita della
natura. Tolta forse in qualche tratto l'ultima superficialissima crosta,
ogni cosa nelle caverne è oggi appunto com'era ai tempi del Fortis. La
scienza invece ha percorso un immenso stadio, ma oggi, se fosse vivo il
Fortis certo sarebbe coi primi.
"A
Cherso ci
dissero che nelle famiglie dei contadini si tengono come infallibile
guarentia contro il fulmine certi pezzi di pietra nera che dalla descrizione
dovrebbero essere altrettante armi o stromenti dell'età della pietra.
Osservarono altri che lo stesso avviene in altre parti dell'Istria e
specialmente sul Carso. Non è facile accertarsene perchè la cieca
superstizione impone, dicesi, al possessore di fame mistero. Pur cerca e
ricerca saltò fuori, precisamente in
Cherso,
una accetta di pietra nera poco dissimile da quella ritrovata molti anni
addietro sui monti di
Albona.
"Per ultimo nello scavo di un canale a
Pola sono stati
estratti con altre ossa dei grossi denti ai quali pur giova prestare
attenzione.
"La punta di freccia, le due ascie, uno dei
denti trovati a Pola,
avuto dal signor G. Seraschin e alcuni esemplari di breccia ossifera con
varietà di denti, tengo al momento presso di me per istudii e confronti:
tutto il resto che ho accennato di sopra esiste in
Albona.
"Queste cose furono in parte narrate dalla
Provìncia che si stampa a
Capodistria, e ne fu toccato di volo anche in qualche articolo del
Dizionario Corografico dell'Italia che stampa il Vallardi, sotto la
direziono del prof. Amati in Milano.
''Prima che ad altri io desideravo di
comunicar tutto ciò di persona al chiarissimo prof. Lioy, ma nell'occasiono
cui sembra coler alludere il sig. D. M. ebbi la sfortuna di non ritrovarlo a
Vicenza e quindi i confronti tra le cose Istriane e le Vicentine ho dovuto
instituirli al Museo senza il dotto concorso di lui.
[25] "Non ne ho dato poi
comunicazione formale a Corpi scentifici, perché voleva prima portare a
compimento una serie ordinata di osservazioni e confronti, indispensabili a
dedurre conseguenze veramente concludenti e accettabili dalla scienza.
"Ma giacché ella, esimio signor ingegnere, e
il sig. D. M. colla lora gentile pressione mi hanno fatto rompere un riserbo
che mi parea doveroso; oggi deposto ogni riguardo mio personale, dirò
intiero il mio pensamento.
"Penso che la punta di freccia avuta a Vermo
di Pisino, e le
due ascie di
Albona e di
Cherso
appartengano alla terza età della pietra; — penso che i cocci e gli altri
oggetti in pietra repeliti e reperibili sulle cime di alcuue montagne
dell'Istria; possano corrispondere all'epoca delle abitazioni lacustri o
siano posteriori di poco; — penso che le abitazioni lacustri o palafitte non
siano mancate in Istria, paese che e per le sue posizioni al mare, e per le
conformazioni di alcune interne vallate, vi si doveva prestare benissimo, ma
parmi che non siano da ricercarsi per ora alle sponde del Quieto, dell'Arsa
o del suo
Lago,
dove l'enorme quantità di terra calata giù dai monti colle acque dovrebbe
averle assai profondamente sepolte, sì piuttosto in altre valli all'interno
e lungo la doppia marina; — penso finalmente che le numerose caverne del
suolo istriano visitate e frugate con diligenza debbano fruttare importanti
rivelazioni, se non alla scienza, certo alla storia del nostro paese.
"Molto di questo non è oggi che ipotesi, ma è
ipotesi confortata dai fatti.
"Oltre le cose accennate più sopra, sta il
fatto che anche il sig.
Carlo De
Franceschi, Segretario della Giunta provinciale, ha trovato sopra
non so qual colle del Parentino un cucchiaio di argilla biancastra, a corto
manico, rozzamente conformato, e come pare, cotto al sole, — e che il signor
Ingegnere Pietro Dottor Madonizza di
Capodistria
tiene una ruota pure di cotto grossolano rinvenuta in una delle valli vicine.
Non pretendo che cotesta ruota sia appunto un indizio di abitazioni lacustri
in quella valle, — non corro sì lapido, [26] — pure essa non è
arnese romano, né balocco moderno. Ora in questi casi bisogna attaccarsi a
ogni filo e prima di affermare o negare, bisogna cercare, indagando
argutamente tenacemente le prove. Io oggi non affermo in. modo assoluto,
bensì espongo e propongo, contento abbastanza di poter offrire qualche non
ispregevole indizio ad una scienza positiva che in pochi anni ha dissepolto
un mirabile complesso di fatti, la luce dei quali sperdendo tenebre
addensate da secoli giova e gioverà sempre più alla ragionata indipendenza e
quindi alla vera grandezza dello spirito umano.
"Le presenti mie confessioni l'avranno di
certo persuaso ch'io non sono un paleontologo, nè un paleo-etnologo: posso
io sperare di più? ch'esse la spingano a visitare la piccola ma interessante
Istria? Visitandola a parte a parte, Ella s'accorgerà di cose che da
Trieste non
vedensi abbenchè Istria e
Trieste sieno uno stesso paese. Desidero che possa farlo. — Ella troverà
non solo in Albona,
ma in ogni Terra dell'Istria persone premurosissime di accompagnarla nelle
sue escursioni, e per agevolartene il non facile compito, e per apprendere
da lei il modo più sicuro di fare e di proseguir le ricerche. A
Pisino non
tralasci di vedere il così detto Castellier dei Bertossi. Le sarà guida il
signor
Antonio Covaz, che
intende egregiamente a studii geologici e segue con grande fiducia i
progressi della scienza nuova.
Questo è, onorevole signor Ingegnere, tutto il
più ch'io possa oggi dirle delle cose mie e delle cose dell'Istria
relativamente alle età della pietra. Ne metta a parte, prego, il sig. D. M.
e, se lo vuole, anche i lettori del Cittadino, Forse il vedere eh' io
senza capitale di scienza, colla sola buona volontà e un poco di
perseveranza, anche in mezzo a lunghe distrazioni ed interruzioni, sono pure
riuscito a risultati di qualche valore, forse, dico, incoglierà altri ed
altri a proseguire, a ripetere, ad allargare le avviate ricerche e così la
mia ipotesi sarà o ampiamente confermata dai fatti, o ridotta entro più
giusti confini. Se non ci avrò guadagnato io, che non importa affatto, ci
avrà guadagnato la scienza, la storia, il paese che importa moltissimo.
'Gli errori stessi
[27] Giovan sovente a dar più lume al vero.' |
"Grato infino alle cortesi, troppo cortesi,
espressioni che ha voluto usare a mio riguardo senza ancora conoscermi di
persona e desiderosissimo di fare appunto la personale di lei conoscenza,
chiudo oggi collo attestarle la mia ammirazione e coll'augurarle la letizia
di qualche importante scoperta qui nel nostro bene amato paese.
Venezia, febbrajo, 1870.