Addio a Guido
Miglia: raccontò la tragedia dell’Istria senza odio
Nato nel 1919, aveva diretto l’«Arena di
Pola» collaborato con l’«Avanti» e pubblicato libri
[Tratto
da: Il Piccolo di Trieste, 22 febbraio 2009. All
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TRIESTE. È morto a Trieste lo
scrittore Guido Miglia. Originario di Pola era arrivato ormai al
traguardo dei novant’anni, essendo nato nel 1919.
di ELVIO GUAGNINI
Il suo congedo - in questi giorni - è
stato discreto come la sua vita. Una vita intensa, non facile, in ogni
caso appassionata in tutti i suoi momenti. Guido Miglia era nato a Pola
nel 1919. Insegnante elementare dall'ottobre 1937, quando ottenne la
prima nomina a "maestro di scuola" in un villaggio sperduto ”nel cuore
dell'Istria croata, di cui allora ignoravo tutto” si era laureato nel
1942 a Urbino, in materie letterarie, con Carlo Bo con una tesi sulle
”Novelas ejemplares di Cervantes”.
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GuidoMiglia aveva diretto
"L'Arena di Pola" dal 1945 at 1947. |
Ricercato in quanto antifascista, dovette
abbandonare a Pola, dove tornò nel 1945 per dirigervi "L'Arena di Pola",
giornale del Comitato di Liberazione Nazionale dal luglio 1945 alla
firma del trattato di pace (febbraio 1947). Contrario all'annessione
alla Jugoslavia dell'Istria occidentale, abbandonò
Pola con l'esodo,
dopo la firma del trattato. A
Trieste, fu insegnante e preside di scuole
medie superiori. Nel 1954, fu tra i fondatori della rivista
politico-culturale "Trieste", che diresse fino al 1959. Collaborò alla
"Voce libera", all'"Avanti!", al "Piccolo", alla Rai (con trasmissioni
molto popolari come "Voci e volti dall'Istria"). Molte le sue pagine,
dedicate all'Istria: da ”Bozzetti istriani” (1959; vincitore del Premio
Settembrini, presieduto da Aldo Palazzeschi) a ”Le due Istrie” (1968, in
”Quassù Trieste”), da ”Le nostre radici” (1969) a ”Dentro l'Istria.
Diario 1945-1947” (1973) a ”Istria-I sentieri della memoria” (1990) a
”L'Istria una quercia” (1997).
Dopo il suo ritiro dall'attività
professionale, Miglia aveva continuato quella pubblicistica e - pur
avendo alle spalle una storia tanto dolorosa quanto intensa e rilevante
- aveva preferito rimanere in disparte e scrivere perché gli altri
sapessero e meditassero su eventi dei quali era stato protagonista.
Lo dobbiamo ricordare per la sua cultura, la
sua mitezza, la sua assenza di protagonismo, per l'equilibrio e la
pacatezza con cui sapeva discutere di questioni difficili e scabrose. In
una pagina molto intensa di ”Trieste. Un'identità di frontiera” di
Angelo Ara e Claudio Magris, vengono ricordate certe notazioni incisive
e drammatiche del ”Diario” di Miglia che - giovane maestro "straniero"
nell'Istria interna - si era trovato a dover imporre l'uso dell'italiano
a bambini dell'altro gruppo etnico. Un fatto, questo, che Miglia
ricordava con dolore pari alla dolcezza verso quei bambini. Con il
dolore di chi, poi, italiano e istriano, aveva dovuto abbandonare -
sentendo che la propria vita appariva, in séguito a quell'evento, come
"spezzata" - una terra cara e sofferta. La terra della propria infanzia,
della propria casa, della propria formazione, delle memorie, della
famiglia. Una terra, egli scriveva «la cui civiltà è stata determinata
per mille anni dalla Repubblica di Venezia e dall'Impero asburgico, che
dalla prima alla seconda guerra ha fatto parte dell'Italia, e che il
razzismo fascista e la sconfitta militare hanno staccato dalla Nazione
italiana» (”Bozzetti istriani”).
Con le sue pagine, Miglia ha voluto
ricordare - con grande ricchezza di sentimenti e lucidità della memoria
e del giudizio - il dolore di chi aveva dovuto subire l'esodo, e -
insieme - le responsabilità politiche che avevano portato a questa
tragedia, prima e dopo la seconda guerra. E aveva voluto ribadire il
carattere peculiare della sua terra dove, per tanti secoli, si erano
"incontrate forme di vita diversa, portate dall'Occidente e
dall'Oriente". Ma aveva anche voluto documentare la resistenza del
dialetto istriano-veneto, la sua diffusione anche presso i giovani e i
nuovi venuti, la necessità di tenere vivo il filo resistente del
rapporto con quel mondo, in modo aperto, senza rancori. Secondo Miglia,
il problema dell'Istria - come ebbe a ribadire più volte - doveva essere
posto, ora, «non in termini nazionalistici, ma con un respiro europeo».
Una «prospettiva per l'Istria - scriveva -, oltre i confini, in
un'Europa più tollerante e più intelligente , è data proprio dalla forza
della lingua italiana, che permane oltre tutte le vicende sconvolgenti
di questi decenni». Il segno, questo, «più profondo e duraturo di una
tradizione, di un costume di vita, di una civiltà» (”Le nostre radici”).
Era sua profonda convinzione (come scriveva in ”Dall'incomunicabilità
alla convivenza”, "La battana", settembre-dicembre 1990) che un popolo
che «abbia consapevolezza della propria identità» deve essere capace,
«senza odiare nessuno», di portare avanti, «con pazienza e tenacia, i
frutti della propria civiltà, specialmente quando sono così complessi e
così ricchi come i nostri, in quest'arco splendido dell'Adriatico».
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