Di primo mattino, dopo essere salito sull'Eurostar, per un viaggio che
da Trieste mi portava a Roma, ho aperto un quotidiano triestino e ho
letto con grande commozione la notizia che Guido Miglia non era più tra
noi. Ricordo che in quei momenti il treno stava attraversando la
campagna della Bassa friulana, ancora immersa nel lungo sonno invernale:
Eravamo appena fuori Torviscosa e avendo negli occhi l'immagine del
campanile di quella cittadina, ho pensato che mi ricordava un pezzo, un
dettaglio del nostro comune amore: la terra istriana e in particolare la
cittadina di Arsia, costruita sui progetti di Pulitzer Finali.
Solo
pochi giorni giorni prima di quel venerdì, il 20 febbraio l'avevo
cercato al telefono, ma dall'altra parte del filo non avevo sentito la
sua voce familiare e un po' rauca, nè quella della moglie Ariella, bensì
quella di un'assistente familiare, che mi aveva informato del suo
ricovero all'Ospedale di Cattinara a
Trieste. Dal tono della voce avevo
capito che la situazione era delicata e non prometteva niente di buono.
Dopo la telefonata ero stato bloccato a casa dall'influenza che mi aveva
colpito durante il recente viaggio compiuto ad Auschwitz e questo non mi
aveva permesso di fargli visita. Dedico quindi a Guido Miglia il viaggio
effettuato con il 'Treno della memoria" ad Auschwitz in compagnia di un
migliaio di giovani, che era stata un'importante occasione per tornare a
parlare di giovani appunto, di memoria e di radici, temi sempre molto
cari a Guido, e ai quali ha dedicato la Sua vita.
Volevo sentire Guido Miglia per salutarlo e per fare con lui due
ciaco-le, perchè, pur essendo malato e stanco, era sempre così attento
a quello che succedeva a
Trieste, in Istria così come era sempre acuto
nei suoi giudizi. Volevo sentirlo, in particolare, per parlare del
complice silenzio con cui a
Trieste era stata accolta l'inaugurazione
del Civico Museo della Cultura istriana, fiumana e dalmata.
Un Museo che, per i contenuti, offende istriani come me e come Miglia,
e soprattutto tanta gente che non crede che la nostra storia di istriani
si possa esaurire rimanendo nel racconto di quel pur tremendo dramma che
è stato l'Esodo. Una tragedia a lungo dimenticata dall'Italia e
mirabilmente raccontata agli italiani proprio da Guido Miglia. Un Museo
che dovrebbe quindi proporsi di raccontare anche l'Istria amata da Guido
e la mia Istria. L'Istria della bellezza fatta dalle sue diversità, con
le radici protese e affondate nella terra rossa della mia Caldania e
l'Istria del mare azzurro della Sua Stoia, l'Istria plurale del Sì del
Da e del Ja, l'Istria. E questo diventa ancora più importante al giorno
d'oggi, in un momento in cui sembra prevalere la ricerca di un'identità
che si direbbe spesso gonfiata agli estrogeni, un'identità che elude
l'altro e tende a chiudersi ed a isolarsi in un'egoistica
autosufficienza.
Un Museo che, come è stato ricordato da un caro amico istriano che si
occupa da oltre quarant'anni di museologia, dovrebbe esaltare in primo
luogo l'unicità e la specificità di questo nostro mondo e raccontare
quindi l'Istria,
Fiume e Dalmazia con le sue culture e storie di maggior
importanza. Per ricordare solo alcuni aspetti a mio parere
irrinunciabili, raccontare quindi paesaggi di mare e di terra. Una terra
che nei secoli e nei millenni alle nostre spalle è stata segnata e
costellata da traumatiche fughe e da felici approdi, con le storie di
tante donne e tanti uomini, di generazioni che sono sopravvissute grazie
alla propria iktica, al proprio lavoro. L'Istria dei "grandi mestieri
del mondo": dellapesca, della produzione del sale e delle costruzioni
navali, del lavoro nei campi e della pastorizia.
E poi, particolare, l'Istria che fa fatto quell'uso sapiente della
pietra. Un uso che affonda le proprie radici nella storia dell'umanità,
e che, oltre a quella fatta di cavatori, di tagliapietre, di
scalpellini, ci racconta anche la storia che va dalle prime sculture e
iscrizioni alle tavole dei Dieci comandamenti; e poi la pietra, anzi le
pietre, sono state fondamentali tanto nella costruzione delle dimesse
abitazioni del mondo rurale che di palazzi storici e d'impresssionante
aspetto architettonico, ma anche delle masie-re, dei pastini e delle
casite, delle macine per il grano e dei pozzi per l'acqua, dell'Arena di Pola e del tabor di Cristoglie. La pietra, ha scritto alcuni anni fa
l'amico Ulderico Bernardi, meriterebbe un museo, proprio perchè "il
fascino di tanti paesi, cittadine e villaggi dell'Istria viene dal
candore della sua pietra...".
Ho conosciuto e incontrato Guido Miglia per la prima volta verso la
metà degli anni Sessanta, con le prime assemblee studentesche e il
Sessantotto a Trieste: Tra lui, bravo, serio e apprezzato insegnante di
Lettere all'Istituto Tecnico Alessandro Volta di
Trieste, e me,
protagonista del movimento studentesco nonchè presidente dell'Assemblea
degli studenti medi di
Trieste, nacque un'intesa immediata e naturale.
Una condivisione di valori e di speranze e un'amicizia che dal 1966 a
oggi, per oltre quarant'anni, nonostante la differenza di età, è rimasta
intatta, anzi direi che si è consolidata.
È stato Miglia a parlarmi di
Fulvio Tomizza e a farmelo incontrare per
la prima volta. Erano i giorni in cui Palach a Praga e Zacchigna al
Giardino pubblico di
Trieste mettevano in atto la loro terribile
protesta, e di quell'incontro svoltosi al caffè San Marco, non lontano
quindi dalla casa di
Fulvio e dalla sede dell'Istituto Volta, ho ancora
un ricordo nitidissimo. Come ricordo con gratitudine e riconoscenza
l'articolo che Miglia scrisse, usando quasi le stesse parole e
motivazioni che Pier Paolo Pasolini aveva usato per gli scontri tra
studenti e poliziotti a Valle Giulia a Roma, per difendermi dagli
attacchi di certi signorini di una sinistra salottiera e parolaia.
E poi c'è il ricordo del lungo cammino fatto insieme: a partire dagli
inizi degli anni Ottanta con il Circolo di Cultura istro-veneta Istria,
poi le tante trasmissioni alla RAI ("Voci e volti dell'Istria" fu una
sua splendida invenzione), e i nostri emozionati interventi e
soprattutto la sua commozione e la grande gioia vissuta insieme in una
giornata tiepida di febbraio agli inizi degli anni Novanta a Verudella
al primo incontro della Dieta Democratica Istriana. A metà degli anni
Novanta i viaggi in Istria compiuti spesso con amici carissimi per la
presentazione del suo libro "L'Istria una quercia" e poi la solitudine e
la fuga nella riservatezza.
Guido Miglia è stato certamente un protagonista, mi viene da dire un
"gigante", per il modo in cui ha affrontato i temi della convivenza in
queste nostre terre. Un uomo spesso sofferente e tormentato, che sovente
si ikceva carico del male provocato da altri, come ad esempio delle
colpe del fascismo e quindi dell'Italia in queste nostre terre plurali.
Un uomo schivo, leale e mite, ma allo stesso tempo un uomo che seppe
fere scelte decise e precise. Ricordo ancora una sua frase che nel corso
degli anni mi è stata più volte ripetuta: "Dove (partiti,
associazioni...) sono protagonisti gli stupidi, non possono starci gli
intelligenti". Uomo tutto di un pezzo potremmo dire, con grandi passioni
e profondamente antifascista che ha dedicato la sua vita ad abbattere i
muri delle divisioni, delle separatezze e delle reciproche ignoranze e
ha cercato attraverso le reciproche conoscenze di costruire ponti per
recuperare la reciproca fiducia.
Guido è stato per me un punto di riferimento irrinunciabile, perchè se
da una parte Fulvio Tomizza mi ha
regalato l'orgoglio e la dignità di essere istriano, Miglia mi ha
trasmesso l'amore per questa terra. In questi anni sono andato ripetute
volte a rileggermi alcune sue riflessioni contenute nei volumi "Bozzetti
istriani" del 1959, "Istria, sentieri della memoria", "Istria una
quercia". Mi ha insegnato ad essere sempre serio e mai superficiale, e
soprattutto a svolgere con dedizione e serietà il mio lavoro. Ricordo
che quando gli presentavo per la prima volta una persona, spesso con
quel suo modo di fare un po' burbero, mi chiedeva a bruciapelo:
che mestiere! ga o el fa per viver?
Infine due ricordi personali legati a mondi di cui anch'io sono
innamorato, l'Istria e il Sud Tirolo-Alto Adige. Ricordi che risalgono a
molti anni fa, quali i brevi incontri a Moso nel piccolo albergo
"Kinigerhof", che egli usualmente frequentava d'estate, gustando un
eccellente kaisersmarren e bevendo un succo di sambuco o a
Borosia dove si sorseggiava il caffè guardando il faro di Salvore,
ospiti di una bella famiglia istriana, i Macovaz.
Grazie per tutto quello che hai fatto per noi e per me caro professore,
e scusa per quello che non sono riuscito a fare per Te.
Mi mancherai, Guido. Ti sia lieve la terra.
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