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Il sepolcreto di
tipo atestino di Nesazio nell'Istria
Comunicazione del prof.
A. Puschi (nota)
[Tratto da Atti del Congresso Internazionale di Scienze e
Storiche, (Roma 1-9 aprile 1903), Vol. V, Atti della sezione IV:
Archeologia, Tipografia della A. R. Accademia dei Lincei, Proprietà
del cav. Vincenzo Salviucci (Roma, 1904), p. 135-145.]
L'illustre nostro maestro, il prof. Luigi
Pigorini, sino dal 1883 giudicò essere l'Istria una vera miniera di
tesori paletnologici italiani (1). Questo giudizio
fu avvalorato dal dott. Paolo Orsi, quando, due anni dopo (2),
riferiva delle raccolte che in breve tempo erano state formate e che
continuavano ad arricchirsi mercè le solerti ed illuminate ricerche
del direttore del Museo triestino di storia naturale,
Carlo de Marchesetti, e
quelle promosse dalla Società istriana di archeologia e storia
patria e dirette con perizia ed intelligenza non comuni dal
benemerito suo presidente,
Andrea Amoroso.
Dei risultati conseguiti dopo di allora notevoli
sono quelli dei primi tentativi di scavo praticati a Nesazio sotto
gli auspici della società istriana, a spese della provincia e coi
contributi delle città di Pola e Trieste, per i quali ci pare
d'intravvedere che il voto pronunciato dal Ghirardini, in chiusa al
suo magistrale lavoro della situla italica, savvii ad una prossima
soluzione.
Nesazio, citata da
Plinio
nella sua Storia naturale (1. III, 19, 129 e 21, 140) quale
oppido posto in vicinanza del fiume Arsia, estremo confine
dell'Italia Augustea, annoverata da Tolomeo (3, 1, 27) fra le città
costiere dell' Istria, segnata, ma non nominata, dalla tavola
Peutingeriana alla distanza di otto miglia da Pola verso la
liburnica Albona, secondo già opinarono gli storiografi istriani
Pietro Kandler,
Tomaso Luciani e
Carlo De Franceschi,
prima che la recente scoperta di una pietra letterata ne recasse
conferma, occupava un poggio, che circa a 12 chilometri a greco di
Pola, presso l'odierna villa di Altura, s'erge sopra la valle di
Badò, oggi secca, ma anticamente percorsa da un torrente, le cui
acque, ora per meati sotterranei, vanno a
[136] finire nel canale di egual nome, che fra le rupi
insinuandosi profondamente entro terra, offre eccellente ancoraggio
alle navi che solcano il Quarnero, l'antico Sinus flanaticus.
Nesazio, ove se corrisponde al vero la lezione del relativo passo
di
Livio data dal Cluverio, il re degli Istri, Epulone, avrebbe
opposta l'ultima resistenza alle armi romane e colla propria rovina
affrettata la caduta del suo regno, era in origine un castelliere, a
più ripiani che si distendono sul fianco della valle, munito di
cinte murali, ancora riconoscibili. Al quale per lunga consuetudine
ricorrevano i contadini a cavare pietra da fabbrica, asserendo che
colà stesse sepolta una città, il cui sito sino da tempi
immemorabili essi distinguono coll'appellativo di Isazze o
Visazze, che troppo ricorda il nome primitivo.
Credevasi che l'oppido romano avesse cancellato ogni indizio del
castelliere istriano, e veramente quant'era stato trovato prima del
1901 e che dall'ottimo collega,
Piero Sticotti (3),
fu diligentemente illustrato, non accennava ad un'età anteriore. Se
non che in quell'anno, seguendosi una trincea combinata di vari
pezzi architettonici, forse a riparo contro qualche assalto dei
tempi delle invasioni barbariche, entro al recinto superiore del
castelliere, nella parte di mezzogiorno, si ridonarono alla luce
alcune tombe di tempi preromani, la cui esistenza noi non avremmo
supposta, quantunque in uno dei castellieri vicini a Trieste ci
fossimo già accorti che anche lo spazio racchiuso dalla cinta
principale aveva potuto in parte essere adibito a cimitero. Le ulteriori indagini ci confermarono l'esistenza d'una necropoli
(4), che diremo di tipo atestino, perchè al pari di
quelle di Vermo e dei Pizzughi, essa s'appoggia principalmente ad
Este tanto per il rito funebre, quanto per la maniera delle tombe e
la qualità della suppellettile. Tuttavia, come nelle altre, così
anche in questa non difettano le attinenze con Villanova, Bologna,
Gollasecca, Bismantova; nè vi si riscontra poca affinità con Santa
Lucia di Tolmino ed i sepolcreti dei due versanti delle Alpi
orientali; nè sono esclusi i raffronti nemmeno con Novilara da un
lato, coi ripostigli della Bosnia e dell'Erzegovina dall'altro.
Il limite orientale della necropoli nesacense è segnato da un
rozzo muro di breccia saldato con cemento di terra ocracea e calce,
che in [137] direzione da tramontana ad ostro scende
il lieve pendìo della sommità del colle e la divide dall'area che
più tardi fu occupata dagli edifici romani.
Nel sito più elevato le tombe si presentarono distribuite in più
ordini sovrapposti l'uno all'altro; ma sconvolte e distrutte ad
eccezione di alcune poche, delle quali le superiori giacevano a poca
profondità sopra un grosso strato di terra rossa bene battuta, che
ad un metro sotto l'attuale livello le separava dalle inferiori. Sì
queste come quelle appartengono ad un'età più remota, che ci
riconduce al pieno terzo periodo di Este; laddove le tombe della
parte opposta del declivio, che sono le meglio conservate, ci
richiamano piuttosto alla fine del medesimo periodo o ci trasportano
nel quarto.
A venticinque ascendono le tombe trovate ancora intatte o in
condizione tale da poter essere facilmente riconosciute.
Preponderanti quelle a cassetta, di forma rettangolare, e secondo le
loro dimensioni costruite di quattro o più sfaldature calcari messe
in taglio, spesso con rincalzi di muriccioli a secco, o di un
recinto murale senza saldarne. Hanno la platea consistente di un
letto di ghiaia, ovvero rappresentata dalla nuda roccia, e per
coperchio uno o due grandi lastroni grossi da m, 0.1 a 0.4, greggi o
rozzamente riquadrati, la cui pagina interna è talvolta fornita
tutto all' ingiro d'un solco, che combaciando coli'imboccatura ne
agevolava la chiusura. Ma nella costruzione di questi sepolcri
furono eziandìo impiegati dei pezzi di pietra lavorata con
modinature e fregi, che avevano servito prima ad altro ufficio e che
mostrano di spettare ad una civiltà diversa e più antica
dell'ate-stina. Più rade le tombe a pozzetto e quelle a semplice
buca; ma la loro scarsità va riguardata come conseguenza dello
spostamento naturale del terreno e dei lavori campestri; che dai
residui che si osservarono in copia dispersi, devesi arguire che ve
ne erano in gran numero, e che per i Nesacensi non era estraneo
nemmeno l'uso di deporre le ossa nella nuda terra e di coprirle con
lastrelle (5).
Tutte le tombe sono di cremati, e per l'ustione pare che fosse
assegnato un proprio luogo, sito nella parte più elevata della
necropoli. Gli ossuari fittili appartengono all'arte locale e sono
di mediocre grandezza, generalmente coperti da una o due lastrelle
di pietra, salvo alcuni pochi che in loro vece avevano una ciotola o
il fondo capovolto di un'olla spezzata ed uno che era provvisto di
un vero coperchio. [138] Sugli avanzi del rogo
giacciono nelle olle oggetti d'ornamento e piccoli vasi, per lo più
infranti, come calici del genere atestino, boccali ed altri
importativi d'oltre mare.
Da ossuario fungevano pure vasi di bronzo, e come già ai Pizzichi
(6), comparve anche un'urna di pietra calcare, di
forma cilindrica, simile a quelle dell'epoca romana, ma di lavoro
più grossolano, con coperchio di sopra convesso.
I vasi di fattura locale, con poco divario, per materia, tecnica
e forma, s'accompagnano con quelli delle necropoli istriane di Vermo
e dei Pizzughi, e come questi, presentano analogia coi fittili dei
vari ritrovamenti del gruppo alpino orientale e s'accostano ai
prodotti della ceramica atestina. I più sono di argilla nulla
affatto o poco depurata, frammista a carbone o a granuli di calcite,
plasmati a mano e cotti al fuoco libero. Mostrano alla superfice il
loro impasto grossolano, spesso lo celano sotto un intonaco di
argilla più fina. Sono lisciati colla stecca, e secondo il grado di
maggiore o minore cottura, hanno ima finta che varia tra il rosso ed
il nero. Gl' ingubbiati sono per lo più di color bruno, altri
dipinti di rosso ocraceo o a grafite; nè difettano quelli di lavoro
più finito, cosparsi di vernice metallica.
Spesse ricorrono le olle a ventre rigonfio e preponderanti sono i
vasi in forma di situla, sia che riproducano solo ad un dipresso il
tipo originale, sia che abbiano bene rilevato il tronco di cono
rovescio piegando quasi ad angolo acuto per ricevere il collo,
ovvero descrivendo una linea curva. Parecchi sono gli ossuari a
doppio tronco di cono; ma nella maggior parte il superiore è tozzo e
quasi soppresso dalla convessità della spalla; ed il noto tipo di
Villanova ci è rammentato dall'urnetta di una delle tombe più
antiche. Ma il maggior numero di vasi è privo di manichi; alcuni
hanno in luogo di essi una o più protuberanze semiovali o rilievi
d'altra foggia che si direbbero piuttosto sigle.
Pochi air incontro sono i vasi decorati, ed il loro numero è
assai [139] ristretto al confronto di quello fornitoci
dalle altre necropoli istriane (7). Nè svariate
sono le ornamentazioni che più spesso ricorrono nei vasi accessori,
incise, impresse, rilevate, raramente dipinte, consistenti di ponti,
linee diritte, semplici ed accoppiate, spezzate a zig-zag, combinate
in triangoli ed in altre ligure geometriche, o di linee ondulate o a
spirale ricorrente. Le cavità che ne risultano, sono, come altrove,
colmate di una materia bianca, per la quale il disegno spicca dal
fondo nero o bianco. Fra i vasi accessori emergono le ciotole ad
alto manico, di cui altre sono a cono rovescio, altre, foggiate a
bulla, portano delle costole a sghimbescio e sono colorite d'una
tinta metallica lucente. Accanto a queste s'incontra il nappo a
doppio manico, che ripete il tipo osservato a Novilara, e vi
figurava, come dai rottami trovati dispersi è lecito di arguire,
anche quel genere di scodellette ad orifizio rientrante ed ansa
quadra, decorate di meandro rettilineo che in maggior numero
comparvero pure a Novilara ed in altri depositi del Piceno, ma che
non mancano ai Pizzughi.
I fittili d'importazione appartengono a tre gruppi distinti, dei
quali il primo comprende i prodotti di fabbriche atestine, il
secondo i fittili d'arte apula o meglio tarentina ed il terzo le
stoviglie imitanti la ceramica attica, introdotte a Nesazio insieme
con quelle del secondo gruppo a mezzo del commercio coir Italia
meridionale.
D'arte atestina sono le situle di argilla vagliata, frammista a
carbone, intonacate di finissima ingubbiatura, alle volte
giallognola, spesso rossiccia, tornite e fregiate comunemente di
cordoni paralleli alla base e non di rado dipinte a zone alternate
di colore ocraceo ed a grafite, le quali emergono per la loro
elegante struttura, a cono rovescio, con piede più o meno
sviluppato, collo diritto e labbro evaso, quasi sempre piegato
orizzontalmente in fuori. Si ripetono gli esemplari dei Pizzughi,
parecchi di quelli di S. Lucia e di altri ritrovamenti ; ma non
stimiamo di poterli riferire tutti ad Este; che alcuni di negletta
esecuzione sembrano piuttosto derivati da altri centri di
produzione, che ne imitavano il tipo e la maniera senza toccarne la
perfezione. Di questi notiamo uno, non tanto per la sua forma meno
slanciata, quanto perchè in luogo di cordoni porta due doppie serie
di punti impressi; laddove un altro di lavoro più finito viene
scompartito in zone rosse e nere da linee incise ed è decorato d'una
fila di [140] cerchietti concentrici, pure impressi,
dando a vedere come il figlilo siasi studiato di copiare fedelmente
un consimile Taso metallico.
Derivano pure da fabbriche atestine certi vasi a calice di terra
bruno-rossastra, lavorati anch'essi al tornio, di forma snella con
collo diritto, fregiati di cordoncini, più o meno spessi, o
variamente dipinti a stralucido, che apparvero a S. Lucia ed
altrove, e che a Nesazio si rinvennero chiusi negli ossuari od in
altri vasi più grandi.
Straordinaria messe di vasi apuli diedero le poche tombe fino ad
oggi esplorate. I grandi, nei quali si osservarono i residui di una
sostanza bituminosa, forse una specie di balsamo, per la loro forma
e per l'ornamentazione a figure geometriche combinate in varia
guisa, di color brunastro, raramente rosso, o bruno alternato col
rosso su fondo giallognolo, possono raffrontarsi cogli esemplari dei
Pizzughi e di Novilara, quantunque, esaminati singolarmente,
presentino notevoli varietà. I minori, salvo poche eccezioni,
appartengono al genere delle oinochoe, a bocca trilobata e per lo
più fregiate di semplici fascio e strisele rosse o brune.
Come dei vasi di tipo atestino, così anche di questi fu tentata
l'imitazione ; onde fra la ceramica locale ricorre l'olla fatta alla
foggia dell'apulo cratere ed il boccale il cui orifizio è piegato a
trifoglio, ambedue d'impasto ordinario e modellati a mano.
Nesazio supera già ora Vermo ed i Pizzughi per il numero dei vasi
di bronzo, dei quali il maggior contingente è fornito dalle situle,
che ci danno i noti tipi di Este, di S. Lucia, e delle altre
necropoli della regione alpina orientale. Ma per il loro
deterioramento poche possono esser fatte oggetto di studio, le altre
sono appena riconoscibili, e ciò che di loro rimane renderebbe vana
l'opera di chi si provasse a racconciarle. Più comuni sono quelle
mancanti del collo, le quali restringendosi vanno con lieve curva ad
arrotolarsi intorno l'anello della bocca. Sono tutte prive di
manichi, ad eccezione di un situlino che ne conserva un pezzo, fatto
a sezione quadrata. Una sola è munita di basso piede conico,
strettamente annestato colla martellatura del fondo. Un esemplare,
la cui larga spalla è modinata di otto cordoni a sbalzo e sorregge
il collo pur esso cordonato, rammenta il tipo a [141]
rilevato a S. Lucia. Un secondo ha lungo la base del cono due file
di bitorzolettì, un terzo lievemente espanso va menzionato per la
doppia rappezzatura del fondo mediante laminelle sovrapposte l'una
all'altra e fissate con pernotti ribaditi. La sitala a piede conico
è fregiata di bitorzolettì a rilievo disposti in file orizzontali,
le quali serrano una zona di lineole verticali impresse.
Si trovarono pure i frammenti di due o tre situle figurate, già
editi dallo Sticotti nella sua relazione preliminare, nei quali
vediamo animali disposti in duplice zona, uccelli acquatici sopra
una fascia di baccelli, un cavallo aggiogato al cocchio ed il suo
auriga, due altri cavalli e sopra uno di essi un uccello volante e
figure umane che nel loro atteggiamento ricordano le rappresentanze
delle celebri situle istoriate di Bologna, Este, Watsch e di altri
ritrovamenti (tav. I e II).
Ad una situla dovrebbe spettare un coperchio, lavorato tutto a
sbalzo, sul quale intorno all'omphalos, e lungo il margine ricorrono
file di borchiette e perline, che racchiudono una zona di baccelli
distribuiti a mo' di raggi ed il cui maggior rialzo è percorso da
bitorzolettì..
Le ciste a cordoni, comparse in numero di quattro esemplari bene
conservati, non si scostano dal solito tipo, già riscontrato ai
Pizzughi ed a S. Lucia, ad eccezione di una, la quaje è fregiata di
quattro cordoni pia grossi alternantisi con cinque sottili, e munita
di un sol manico; laddove le altre ne avevano due, ed una ancora li
conserva, striati e colle estremità foggiate ad arpione ed inserte
nelle orecchiette.
Le fibule di Nesazio, tranne alcune poche, si raggruppano intorno
ai tipi comunissimi ed oltre misura diffusi della fibula ad are o
slido ed a sanguisuga, di quelle a globetti ed a bugnette, della
fibula serpeggiante e di quella della Certosa tanto ad arco laminare
quanto ad arco solido. Non si distinguono per eccessiva grandezza,
nò per varietà di decorazioni, queste per lo più consistenti in
collarini, coste di picciol rilievo, in lineole granite e cerchietti
concentrici impressi. Nelle serpeggianti abbiamo l'appendice di
quattro, cinque o sei borchiette impostate sopra la sinuosità
dell'arco; ma non s'incontrano le foggie svariate di S. Lucia; sì
bene vi figurano quelle il cui arco descrive [142] un
giro prima di raggiungere il dischetto che lo separa dall'ago'; nè
vi mancano quelle a più curvature somiglianti agli esemplari che
dallo Szombathy furono rinvenuti anche a S. Lucia e che comparvero
pure nel Piceno ed altrove.
In una fibula a bugne ed in parecchie della Certosa il bottone
della staffa è sostituito da un fiocchetto. Ridotta a pezzi si trovò
una grande fìbula, il cui arco porta infilati dei dischi graduati di
osso, dei quali per bella modinatura va rimarcato il primo presso
l'astuccio. Spezzate furono raccolte altresì alcune fìbule a doppio
ardiglione e tre ad animali, delle quali la prima si compone d'una
coppia di cavalli, che probabilmente erano attaccati al cocchio, la
seconda di tre cavallini preceduti da un cane, e la terza di un
cavallo di pasta vitrea cine-rognola, tutto bardato, con residui del
cavaliere, il quale mediante un pernotto, tuttavia visibile, era
fissato al filo dell'arco.
Pochi sono gli oggetti di ferro trovati a Nesazio e fra questi
notiamo una fibula a sanguisuga ed una seconda a nastro, nella quale
il codolo delia staffa è ripiegato verso l'arco, e sebbene abbia
qualche analogia col tipo della fìbula pure da essa
si discosta per la semplicità del riccio formato di due soli giri,
ed all' incontro si avvicina a certe fìbule di bronzo della
necropoli di Jezerine presso Bihatsch nella Bosnia, non lungi dal
confine della Croazia (8).
Nulla di particolare offrono gli spilloni ; nè dai soliti tipi
diversificano gli anelli ed i braccialetti, in cui predomina la
foggia a spira, e non fanno difetto le armille a largo nastro liscio
o adorno di cordoni. Le torqui sono formate o di un filo di bronzo,
che all'uno de'capi è appiattito e forato ed all'altro ripiegato ad
uncino, o di una fettuccia accartocciata avente un'estremità
assottigliata ed acuminata da introdurre nell'altra tubulare..
Col vago nome di bastone di comando o scettro ci sia lecito
d'indicare un oggetto di bronzo, composto d'un'asta tubulare, la
quale [143] da un lato si restringe e finisce in un
cerchio a largo contorno impostato in senso verticale, che sorregge
un cavallino dalla lunga coda, rozzamente modellato. Al cerchietto
era aggiunta una catenella, di cui restano ancora due anelli. È alto
mm. 98. Lo si potrebbe raffrontare con un oggetto proveniente dalla
tomba 22* di villa Benvenuti in Este, che fu definito per manico di
un arnese non meglio determinato, il quale superiormente si svolge
come il manubrio delle nostre chiavi ed ha sull'asta tabulare una
figura di cavallino appoggiata, come quella del nostro scettro, con
le gambe riunite due a due e con la coda, e nel manubrio appese
catenelle (9). Insieme con questo, nella stessa
tomba, si trovò una verga di egual metallo, rotonda e solida nella
parte superiore, più grossa e vuota nell' inferiore, per potervi
insinuare un'asta o di legno o di altra materia, quasi alla metà
espansa e traforata a forma romboidale. È aita cm. 17, di cui tre e
mezzo spettano all'espansione mediana, per la quale essa ci richiama
al bastone scoperto nel 1902 a Padova e pubblicato' da Moschetti e
Gordenons (10).
Scarse sono le armi derivate da questo primo scavo sì di bronzo
che di ferro. Alle seconde appartengono tre spade ad un taglio
rinvenute contorte accanto all'ossuario di pietra più sopra
mentovato. Sono lunghe da cm. 50 a 60, del genere già riscontrato ai
Pizzughi ed a Novilara, ma più spesso fuori d'Italia, principalmente
nella Bosnia, ove dai tumuli di Glasinac si estrassero più esemplari
(11). E con le spade comparvero alla luce i
rimasugli delle loro guaine guarnite di bronzo e le loro impugnature
fatte di una lamiera di bronzo accartocciata intorno ad un'anima di
piombo, nella quale era stata conficcata la spina della lama, e
irnienti in una capocchia convessa dello stesso metallo, munita di
un apice con occhiello.
Le cose che qui abbiamo cercato di riassumere, attestano
l'importanza del sepolcreto preromano di Nesazio nella breve parte
fino ad oggi esaminata. Dalle indagini che per decreto del
Parlamento provinciale istriano verranno in breve continuate, noi
possiamo attendere risultati di gran lunga maggiori, se i primi
assaggi ci condussero ad una scoperta che sparge nuova luce sulla
vetusta civiltà degli Istri, mettendola in relazione con quella di
popoli più lontani e della quale il collega Sticotti s'è assunto
d'informare.
Note:
Ed. note - Alberto Puschi (Trieste
1853-1922) era direttore del Civico Museo di Storia ed Arte, via della
Cattedrale 15 (archivi consultabili presso il palazzo Gopcevich di via G.
Rossini 4) dal 1884 al 1919.
- Bull, di pal. it., a IX, p. 204.
Ivi, a. XI, p. 1
e seg.
Atti e Memorie della Soc. istriana di arch.
e storia patria,
XVIII, p. 121 e seg.
I risultamene di questi assaggi furono
sommariamente annunciati dallo Sticotti, loc. cit.
Tale supposizione fa pienamente confermata
dai risultati degli scav eseguiti nel giugno del 1903.
Secondo ci
comunica il dott. Andrea Amoroso, ai Pizzughi, nell'insenatura
fra i castellieri fu trovata una tomba coperta da grande
sfaldatura e con rincalzo di muriccioli ai lati, nel mezzo della
quale starano allineate un'urna cilindrica e due coniche di
pietra, fiancheggiate da vasi di argilla, fra cui alcuni di tipo
atestino. Sopra una delle urne coniche giacevano due spade di
ferro. Un'urna cilindrica di pietra, alquanto più grande della
nesacense, si rinvenne a Jezerine della Bosnia, non come
ossuario, si bene quale vaso-tomba, in cui gli avanzi della
combustione giacevano raccolti entro un'olla fittile. Cfr.
Wissensch. Mittheilungen aus Bosnien und der Hercegovina,
a. III, p. 117, fig. 281.
Maggiore è il
numero dei vasi d'arte indigena adorni di disegni geometrici,
che comparvero alla luce nello scavo del 1903 nella parte più
vetusta del sepolcreto.
Loc. cìt.. p. 81, fig. 136 e p. 153, fig.
452.
Ghirardini,
La situla italica in Mon. ant., vol. VII, p. 17,
tav. I, fig. 30.
Relazione degli scavi eseguiti in occasione
della fabbrica del nuovo palazzo detto del Gallo dal 2 gennaio
al 23 luglio 1902. Bollettino del Museo civico di Padova,
a. V, nu. 7-8.
Wissensch. Mittheilungen aus Bosnien und
der Hercegovina,
I, p. 76, fìgg. 32-41 e p. 148, fig. 51.
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Created: Sunday,
January 31, 2010; Last updated:
Monday, December 12, 2022
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