a parola
libertà oggi può apparire scontata. Tuttavia, ci scordiamo troppo facilmente che
in Europa, dalla fine degli anni 30 e per buona parte del ‘500, si visse in
pratica in un clima di guerra di religione, che fu anche guerra aperta e
sanguinosa nell'Impero, cruenta in Inghilterra e Francia, ma fu come minimo
anche guerra fredda nella penisola italiana. Qui, un quarto di secolo dopo la
protesta di Lutero, divenne evidente che il dissenso religioso aveva assunto
proporzioni tali da essere sentito come pericolo non solo dalla chiesa
ufficiale, ma anche dal potere costituito. La gerarchia cattolico-romana iniziò
un’azione sistematica di repressione e di riconquista delle posizioni perdute.
Decisiva fu in questo senso fu la costituzione del 'Santo Officio della
Inquisizione' nel luglio 1542. Da Lucca e Modena decine di famiglie appartenenti
all'aristocrazia cittadina emigrarono verso Ginevra. A Ferrara e a Venezia si
contano a centinaia le persone che abbandonarono la patria e si rifugiarono nei
territori protestanti per essere liberi di professare la propria fede. Anche
Pier Paolo Vergerio si ritirò dall’Istria verso i Grigioni a causa della sua
fede protestante e per conservare la libertà di professare la fede evangelica.
Ma chi fu Pier Paolo Vergerio? Diciamo subito che si tratta di un personaggio
complesso e affascinante, la cui vita e degna di un eroe da romanzo. E non a
caso Fulvio Tomizza ne ha fatto il protagonista del suo romanzo:
Il male viene dal Nord.
Egli nacque a Capodistria, allora sottoposto alla Repubblica di Venezia.
Discendeva da una famiglia gentilizia impoverita che vantava tra i suoi antenati
un celebre umanista, Pier Paolo Vergerio seniore (1370-1444). Compì gli studi
giuridici a Padova, dove si lego d'amicizia con il circolo d'umanisti raccolto
intorno al poeta e futuro cardinale Pietro Bembo.
Entrò nella magistratura veneziana e si sposò nel 1526 con Diana Contarini,
morta meno di un anno dopo le nozze. Seguendo le orme del fratello maggiore
Aurelio, segretario del papa Clemente VII, nel 1532 si mise al servizio della
chiesa. Clemente VII lo inviò prima come diplomatico a Venezia e poi l'anno
successivo come nunzio pontificio a Vienna, presso la corte di re Ferdinando,
fratello dell'imperatore Carlo V. Nel 1535 il nuovo papa Paolo III lo inviò
presso i principi tedeschi per convincerli a partecipare al concilio che avrebbe
dovuto avere luogo a Mantova. Qui visitò le principali corti germaniche ed ebbe
occasione di incontrare personalmente Lutero a Wittenberg.
Al suo rientro in Italia nel 1536, i servigi resi nell'esercizio della
nunziatura vennero ricompensati con la nomina a vescovo di Modrus in Croazia e,
poco dopo, di Capodistria, una sede vescovile povera di risorse economiche e
sulla quale gravava per giunta una pensione pagabile ad un favorito del
cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa Paolo III. Disilluso da tale
trattamento, si mise a cercare protettori: accetto l'ospitalità di vari principi
e prelati, visitò le corti di Francia e partecipò per incarico del re Francesco
I al colloquio di religione di Ratisbona nel 1541, conoscendo personalità di
spicco del protestantesimo come Melantone e Bucero.
La lettura di scritti dei riformatori transalpini provocarono in lui una crisi
religiosa. Parlavano di una libertà che il vescovo non conosceva. Egli stesso,
grazie alla rilettura della Bibbia, scoprì la libertà di cui parla l’apostolo
Paolo e che ritrovava negli scritti dei Riformatori. Il messaggio della libertà
lo aveva conquistato.
Ritornato nel 1541 nella sua diocesi di Capodistria, vi iniziò una riforma
dottrinale, morale e disciplinare. I suoi sforzi vigorosi e talvolta imprudenti
di combattere gli abusi del clero e dei frati gli procurarono l'accusa di
eresia. Mediante abili manovre legali e appellandosi a personalità influenti,
tra cui i prelati raccolti al concilio di Trento, riuscì a sfuggire al processo.
Ma era ormai braccato dall'inquisizione, sicché il 1 maggio 1549, come molti
altri prima di lui, si decise a prendere la via dell'esilio per non essere
costretto a rinnegare la sua fede protestante. Vergerio dovette pagare il prezzo
della libertà con l’esilio. Ma era un prezzo che doveva e poteva essere pagato.
Infatti, la libertà non ha prezzo.
Due settimane dopo la fuga dall'Italia Vergerio era a Chiavenna. Poi si spostò
poi a Coira e da lì si recò a Poschiavo. La meta non era casuale, perché qui vi
era l'unica tipografia di lingua italiana della regione, fondata da Dolfin
Landolfi. Qui Vergerio si mise a pubblicare molti scritti che aveva portato con
sé dall'Italia. Nel novembre del 1549 si trasferì a Basilea, dove nel giro di
due o tre mesi pubblico una decina di trattati, alcuni dei quali di notevoli
proporzioni, come i 'Dodici trattatelli' o le 'Otto defensioni'. Ancora in
dicembre scrivendo al riformatore di Zurigo, Heinrich Bullinger, manifestava
l'intenzione di fermarsi in quella città.
Ma nel gennaio 1550 accettò invece l'invito della comunità di Vicosoprano di
diventare pastore. La ragione principale del trasferimento fu certamente la
possibilità di risiedere a poca distanza dal ducato di Milano e dei domini
veneziani con un incarico preciso e onorevole, e quindi d'intrattenere rapporti
con diplomatici, influenti viaggiatori di passaggio. Inoltre Vicosoprano gli
permetteva di mantenere contatti con gli altri grandi centri della Riforma:
Zurigo, Basilea, Berna, Losanna.
A Vicosoprano il capodistriano rimase fino alla primavera del 1553, quando
accolse l'invito del duca Cristoforo del Württemberg di trasferirsi a Tubinga
come consigliere in materia religiosa. Nei tre anni e pochi mesi trascorsi a
Vicosoprano, Vergerio svolse un ministero pastorale esemplare mettendo la sua
cultura eccezionalmente vasta e i suoi doni al servizio del popolo di montanari
che lo ospitava, scrivendo sia trattatelli divulgativi sia opere
controversistiche molto documentate. Scrisse non meno di quaranta opere, tra cui
quella con la quale acquistò fama europea, la 'Historia di M. Francesco Spiera'
(1551). Spiera era un giurista veneto che, avendo abiurato nel 1548 la fede
protestante, fu tormentato da gravi dubbi e rimorsi e morì subito dopo. Il caso
Spiera divenne nel mondo protestante una specie di monito divino a guardarsi dal
rinnegare la fede.
E’ di questo periodo il ricco epistolario con il riformatore zurighese Bullinger
sui temi del concilio di Trento, sui problemi della Riforma in Inghilterra e
sulle questioni legate alla città di Ginevra. Lo sguardo di Vergerio era
europeo, il suo interesse per le vicende spirituali del continente lo portava ad
interessarsi di cosa stava accadendo lontano da lui.
Questo interesse del Vergerio per le vicende del protestantesimo europeo non
deve farci dimenticare la sua intensa "attività pastorale in Val Bregaglia e in
Valtellina", di cui l'epistolario ci dà ampia testimonianza. La sua eloquenza,
la fama delle cariche di nunzio e di vescovo, di cui si era volontariamente
spogliato per abbracciare la fede evangelica attraevano a lui una quantità di
persone dai villaggi vicini e facilitarono l’evangelizzazione della Valtellina e
dell'Engadina. Qui va subito menzionato che qui egli scrisse alcuni brevi
catechismi ad uso dei fedeli, come "Uno brieve et semplice modo per informar li
fanciulli nella religione christiana fatto per uso delle chiese di Vicosoprano
ed degli altri luoghi di Valle Bregaglia" (giugno 1551) oppure i "Fondamenti
della religione christiana per uso della Valtellina" (1553).
Vergerio non si trattenne più a lungo in questo campo di lavoro che fu certo
fecondo, anche se non privo di dolorose esperienze. L'invito del duca
Christoforo del Württemberg di trasferirsi a Tubinga rappresento dunque una
onorevole via d'uscita da una situazione divenuta insostenibile.
Nella primavera del 1553 Vergerio accettò l'invito e si trasferì a Tubinga come
consigliere del duca. Qui, a cinquantacinque anni, quest'uomo indomabile
conservò tutta la sua inesauribile energia. Ritornò alla sua vocazione politica,
ma con lo spirito del missionario evangelico, sulle strade d'Europa che lo
avevano visto giovane nunzio al servizio della chiesa di Roma. Intraprese vari
viaggi in Germania, Austria e fino in Polonia, per missioni affidategli dal
duca, cioé portare un po' di pace in seno al protestantesimo polacco,
travagliato dai dissensi suscitati dagli esuli italiani. Ne meno intensa fu la
sua attività di pubblicista, che ebbe anzi un ulteriore sviluppo grazie
all'incontro con l'esule sloveno Primus Trubar, con il quale organizzò una
tipografia e un istituto biblico per la traduzione, la pubblicazione e la
diffusione della Bibbia in sloveno e in croato, oltre che di numerosi testi
della Riforma, tra cui il Piccolo Catechismo di Lutero, la Confessione
Augustana
e il Beneficio di Cristo, il gioiello teologico della Riforma italiana.
Pier Paolo Vergerio morì il 4 ottobre 1565, all'età di 67 anni. Personalità
complessa e controversa, egli fu uno degli esponenti di rilievo del movimento
riformatore italiano. Nella sua fondamentale opera 'La Riforma protestante
nell'Italia del Cinquecento', Salvatore Caponetto scrive di quest'uomo, per il
quale la chiamata evangelica fu cosa tanto seria da fargli abbandonare beni e
dignità ed affrontare l'incognita della vita di esule: "Non fu un teologo della
statura di Pietro Martire Vermigli, né un predicatore dell'efficacia di Ochino,
ma un grande divulgatore, un 'giornalista' pronto a cogliere gli aspetti della
realtà quotidiana e di sfruttarli con una non comune capacità di comunicazione.
Vergerio non scrisse nulla per i dotti, ma si rivolse alla parte più umile e
modesta della popolazione. A chi gli rimproverava la superficialità, e talora la
volgarità della polemica, rispondeva che i suoi 'piccioli libretti' non erano
cibo sodo di dottrina, ma 'latte da nutrire et erudire quegli che ancora deboli
sono'.
Vergerio è stato quindi un istriano innamorato della libertà donatagli da Dio.
Una persona dedicata alla proclamazione di quella libertà di cui la sua
generazione aveva tanto bisogno. Un vescovo diventato pastore grazie alla
libertà e per la libertà.