Vlahi, i romeni alle porte
Si
chiamano Vlahi: pochi conoscono storia e controstoria di questo popolo,
ma vale la pena raccontarle perché davvero ci riguardano da vicino.
I vlahi sono un gruppo
etnico-linguistico romeno che vive ad una manciata di chilometri da Trieste.
Istro-romeni, per essere precisi.
La lingua neolatina è già un
distinguo, un’isola in mezzo alla cultura slava, con una parlata che sa di
dialetto antico e misterioso. Una parlata che riserva un carico di mistero e una
genuinità che sembrano consegnarci intatto un mondo remoto e fascinoso, non
pienamente conoscibile, eppure vivo e pulsante, e orgoglioso di esserci.
Oggi sono poche decine le
famiglie che parlano ancora questo idioma istroromeno, che conservano tradizioni
e colori di una civiltà che è stata in mezzo a latini, sloveni e croati,
italiani, ma persino ungheresi e greci. Perché, si sa, Trieste è questa. Un
tempo però il gruppo, pur essendo una stretta minoranza, era consistente. “Oggi
- spiega un po’ sconsolato Ezio Bortul, attento studioso di questo mondo e
istroromeno egli stesso, residente proprio nel capoluogo regionale - credo che
si trovino vlahi più facilmente in giro per New York che per le loro vallate
dell’Istria e tanto meno a Trieste città”.
Si sa che il mondo cambia: tra
quelle parlate in attesa di estinzione tra pochi anni, temiamo anche per gli
istroromeni. Eppure la storia del Novecento è passata tutta sulla testa di
questo popolo, che non ha potuto sottrarsi al destino di due guerre mondiali: la
prima combattuta nel nome dell’Austria-Ungheria, la seconda per l’aspirazione
alla libertà dal nazifascismo, con nel mezzo una dominazione fascista e italiana
dal 1918 al ’45, che ha cercato di snaturare ogni minoranza nel tentativo di
omogeneizzazione della costa istriana.
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Costum popular purtat de femeile
aromânce din Balcani |
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Cosi, i vlahi della Valdarsa - gli italiani
chiamarono cosi la zona - sono sempre rimasti fedeli alle loro origini nella
misura della loro possibilità di sopravvivenza al vento freddo del destino,
piuttosto che della bora secca che tira veloce tra gli alberi che stanno
perdendo le foglie per l’incedere della stagione.
Anche Ezio Bortul ha dovuto fare i conti
con la storia personale di istroromeno “triestinizzato”, ma non accetta il
silenzio della cultura dei vlahi. E per questo, da funzionario dell’Ente Porto
di Trieste, si è trasformato in scrittore e ha cominciato a scrivere, in
italiano, la storia di questo popolo di vento. È come un fiume in piena, Bortul,
quando parla dei romeni e accenna anche a parentele tra le storie popolari di
San Bortul di Carnia e la presenza romena in Friuli. Ha trovato documenti in cui
si accenna a presenze istroromene nel Friuli fino al Tagliamento nel dodicesimo
secolo. E le tracce sono cognomi come Orlant, Furiul, Pizul...
Sì, proprio Pizul, appartenente
strettamente all’onomastica romena.
In un documento del 1181, la badessa
Ermelinda del Monastero S Maria in Aquileia fa un inventario di tutti i villaggi
appartenenti al monastero e dei nomi dei prestatori d’opera e dei coloni di
origine romena. Se ne riscontrano in dodici paesi: Perteole, Alture, Mortesins,
Terzo, Chiasiellis, Cervignano, Muscoli, Zompicchia, Beano, Pantianicco, Mereto
(mancano notizie sul dodicesimo centro). Oggi non esiste una precisa traccia
etnica romena, anche se nella parlata comune emerge qualche termine che dovrebbe
far riflettere. Per esempio Morlac, penetrato nel lessico comune, e che Pirona,
Corgnali e Carletti indicano come qualcuno stravagante, strampalato, strano,
volgare. Attenzione alla tradizione popolare: tra Natale e l’Epifania, in Carnia
e nella Val Canale i giovani cantano le storie di Gesu e si gira con la stella
di carta colorata infilata su un legno. È un’usanza romena, “umblatul steaua”,
citata in tantissimi testi di tradizioni romene.
Ezio Bortul è oggi al lavoro per il suo
racconto “Josepha e Vasile”, la storia di due giovani che si amano e, ostacolati
dalle rispettive famiglie, lasciano la Valdarsa per approdare dopo avventure e
disavventure in America, a New York. Qui incontrano compaesani e continuano a
tenere deste quelle usanze e quelle tradizioni che non vorrebbero mai
dimenticare perché le loro radici sono salde e la loro coscienza à pura. Come
quella del cantore di un mondo antico e dai risvolti ancora enigmatici, un
cantore che ha negli occhi quel velo di nostalgia che non rinuncia all’orgoglio.
Vito Sutto in https://www.ilfriuli.it
27 novembre 2008
Tratto da:
- https://www.ilfriuli.it/if/archivio/21909/
- Cromatianum, 20 agosto 2008 -
https://www.cromatianum.splinder.com/post/18122536/Vlahi%2C+i+romeni+alle+porte
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