NELL'OTTOBRE DEL '43
Tre
sorelle trucidate
Racconto premiato di Myriam
Andreatini Sfilli
Al concorso letterario bandito dal Circolo
culturale «Norma Cossetto» il 3 gennaio scorso la Commissione esaminatrice
presieduta dalla dott. Anita d'Ambrosi Lorenzini e composta dal dott. Ettore
Notta, dal dott. Giovanni Franco Bastiani e dalla studentessa universitaria
Maddalena Neami. dopo aver esaminato gli elaborati presentati sui tema «11
Martirio delle sorelle di Lavarigo (Pola): Albina, Caterina e Fosca Radecca
(57 anni tutte e tre insieme» ha deliberato all'unanimità di assegnare il
premio di lire 1.000.000 a Myriam Andreatini Sfilli. Li.l decisione è stata
motivata dalla particolare sensibilità espressa dall. autrice nel descrivere
il martirio delle tre sorelle Radecca. Pubblichiamo il testo premiato.
Mi chiamo Albina Radecca e avevo soltanto 21
anni quando, assiemc allc mie sorelle Caterina di 19 anni e Fosca di 17, una
notte dell'ottobre 1943 fui condotta a morire. Noi abitavamo a Lavarigo, un
piccolo borgo inserito nella ridente. verdeggiante campagna istriana dalla
terra rossa, e la giovinezza inebriava i nostri cuori nonostante il furore
di una guerra, che non comprendevamo. Cerano eserciti che vincevano,
eserciti che perdevano, uomini che distruggevano, uccidevano e creature
innocenti che soccombevano o piombavano nel dolore e nella disperazione, Ma
io, Albina. e le mie sorelle. malgrado tutto speravamo nel futuro anche se
chiedevamo poco alla vita e nessuna superbia ci faceva immagmare gioie
eccessive.
Le nostre giornate erano fatte ti faticoso
lavoro e, talvolta, ci bastava vedere tralucere le stelle nel cielo sereno
di una notte o i raggi morbidi del sole brillare sulle foglie fresche dei
gelsi perché segreti sogni pullulassero nei nostri pensieri. Io cullavo in
seno il frutto di un amore che mi aveva trasportata in un mondo di fremiti
ignoti: lui era un soldato coinvolto nell'insensata guerra e veniva dal Sud,
aveva gli occhi neri, vellutati e la voce calda e carezzevole. Durante i
nostri brevi incontri, la percezione dei pericoli in agguato dava al nostro
amore la trepidazione di un miracolo atteso e vissuto.
Quale selvaggia ed omicida follia si
occultava nella mente di molti istriani sf da trasformarli, improvvisamente,
in bruta materia impastata di odio? Di quali inesplicabili colpe ci eravamo
macchiate davanti agli occhi degli uomini dal berretto con la stella rossa
che ci condussero a morire?
Il nostro calvario iniziò una sera di ottobre
visitata dal tepore delI' autunno; alcuni uomini armati ci fermarono lungo
il sentiero verso casa: «smrt fašizmu, sloboda narodu» urlavano e, nelle
loro voci, il rancore si mescolava ad un borioso trionfalismo.
Con brutalità ci trascinarono via: io ero
sconvolta, spaventata da un'ira incomprensibile che sentivo lievitare
intorno a noi. Caterina piangeva e la piccola Fosca si stringeva a me in
cerca di protezione, ma io tremavo e mi sentivo incapace di qualsiasi
difesa. La notte era già scesa quando, dopo una marcia tra i campi che mi
sembrò interminabile, giungemmo nel luogo designato e, quando, dopo una
marcia tra i campi che mi sembrò interminabile, giungemmo nel luogo
designato e, quando ci rinchiusero in una stanza, l'ultima cosa che vidi fu
una striscia di cielo scuro venato d'argento. In quella stanza c'erano altre
persone: uomini e donne che se ne stavano ammassati, stretti l'uno a l'altro
come il bestiame che paventa ]a tempesta.
Ad un tratto un grido rimbalzò tra le pareti
di quella stanza, poi un altro ancora e allora il terrore e lo sgomento mi
rimescolarono il sangue; strinsi Caterina e Fosca a me, ma un uomo le
strappò alle mie braccia e le spinse lontano. Poi qualcosa mi colpì il volto
e lampi vividi, dolorosi attraversarono il mio cervello; feci uno sforzo
tremendo per non abbandonarmi alla nebbia che sentivo travolgermi, ma caddi
sulle ginocchia e sui gomiti. Chi piangeva, si lamentava e invocava pietà?
Ah, Caterina! E lapiccola Fosca, perché gridava e mi chiamava? Cosa stavano
facendo loro gli uomini dal berretto con la stella rossa? Faticosamente,
strisciando cercai di raggiungerle ma qualcuno mi prese per i capelli e mi
sbatté più volte il viso contro il muro.
Lentamente mi smarrii in una contemplazione
del nulla desolata e senza speranza; la felicità di amare, la gioia dei
campi arati, delle messi dorate, delle valli verdi di prato erano perdute in
un sogno che nessuno avrebbe più potuto trasformare in realtà! «Smrt
fašizmu» continuavano a gridare nella stanza, ma i miei occhi appannati per
il dolore, non scorgevano fascisti intorno a me. C'erano invece, in quella
stanza, agricoltori vissuti sempre curvi sui campi, operai dalle mani
callose, il bidello della scuola, quello che nei giomi di festa esponeva
fuori dall ' edificio la bandiera italiana, il messo comunale e il macellaio
di un paese vicino e alcune donne, quelle donne che tenevano sempre acceso
il focolare ed avevano le mani impastate di pane.
«Sloboda narodu» continuavano a gridare nella
stanza, ma a quale libertà inneggiavano? Alla libertà di vendicarsi di una
antica lite scoppiata per qualche metro di terra o per un affronto subìto?
AlIa libertà di trasformarsi in lupi a caccia di prede per sfogare in
un'orgia di sangue un odio ancestrale? L'odio per gli italiani? «Smrt
fašizmu, sloboda narodu» era un aforismo di una vittoria degradata
dall''ignoranza e da una ferocia perversa e collettiva! A tutto cic pensavo
prima di sprofondare nuovamente nel nulla.
Quante ore o quanti giomi passai in quella
stanza? Quanti gemiti udii risvegliarsi, acuirsi, rompersi in singhiozzi e
spegnersi in rantoli stanchi? Finalmente, una notte, ci condussero fuori da
quella orribile stanza; era una notte chiara, le stelle brillavano sopra di
noi e un vento leggero ci confortc con una dolce carezza; per un attimo la
speranza della libertà riacquistata mi illuminò un mondo che non era quello
che mi stava intomo fatto di terrore e di tormenti; invece ci fecero salire
su una corriera ed io compresi che ci stavano trasferendo in un altro luogo.
Vidi Caterina e Fosca con le vesti stracciate
da una violenza che nessuna donna vorrebbe mai subire. Caterina aveva lo
sguardo fisso. smarrito e la piccola Fosca serrava i pugni sui suo ventre
oltraggiato; io non percepivo più nel seno i teneri palpiti del mio bambino,
ma un gorgoglio sordo e doloroso. Ci portarono in un altro villaggio e poi,
legati gli uni agli altri, ci ordinarono di camminare lungo un viottolo
pietroso stretto dai cespugli dei rovi e dalle piante del sambuco. Ero
scalza, come del resto quasi tutti i miei compagni di sventura; gli uomini
dal berretto con la stella rossa ci avevano tolto tutto ciò che a loro
poteva servire o sembrava prezioso; a Caterina avevano strappato dal collo
la catenina d'oro ricordo della sua prima Comunione; ad altri la fede
niziale dal dito.
Procedevo a fatica, le pietre e i pruni
ferivano i miei piedi, incespicavo ma se cadevo avrei trascinato a terra le
mie sorelle che, con un filo di ferro, erano state a congiunte ai miei polsi
serrati dietro alla schiena. L.I notte era così placida, la natura intorno
così tranquilla che i nostri lamenti parevano irreali; io volevo ricordare i
momenti felici della mia breve esistenza; allora rividi la ribelle, piccola
Fosca correre felice tra le piante alte del granoturco tra le quali, lei
diceva, sentiva cantare il vento e rividi la paziente Caterina china tra i
filari delle viti deporre nel cesto i grappoli dell'uva matura e bearsi ai
raggi del sole di settembre. Poi pensai al mio amore e lo vidi su una riva
mentre io mi allontanavo sopra una corrente senza ritorno. E mia madre? Mi
parve che ci guardasse con gli occhi pieni di pianto e che sussurrasse:
«perche vi hanno ridotto così? Che cosa avete fatto di male povere figlie
mie?»
Il cielo cominciava a schiarirsi sulla
campagna istriana quando ci intimarono di fermarci; io spalancai gli occhi e
nonostante la bruma che velava le cose intorno, vidi dove ci trovavamo:
davanti a noi c'era una profonda voragine, la foiba di Terli. Compresi che
era giunto il momento di morire; avrei voluto trasmettere alle mie sorelle
la serenità che improvvisamente e miracolosamente era scesa dentro di me,
una serenità simile a certi tramonti limpidi quando il disco del sole sembra
coricarsi nella propria luce e nella propria pace. Non mi importava di
morire; nell'armonia di quei miei ultimi istanti provavo un sentimento
dominante: l'accordo con Dio. E non restava in me neppure la memoria delle
sofferenze patite, della ferocia e dell'odio.
Vidi i miei compagni di sventura precipitare
nella foiba, sentii le loro urla strazianti spegnersi nella profondità e
nell'oscurità di quell'abisso. Poi fu la mia volta: mi spararono alla testa
e caddi trascinando nel baratro Caterina e Fosca; lo spasimo che mi
contrasse il volto fini e i miei lineamenti si distesero; niente mi legava
più alIa terra. Intanto I'alba era lentamente spuntata e il cielo aveva
preso un colore di perla lievemente rosato; sulla campagna istriana nasceva
un nuovo giorno che io, Albina Radecca e le mie soreIle Caterina e Fosca non
avremmo più visto. Gli uomini dal berretto con la stella rossa avevano fatto
la loro giustizia.
Tratto da:
- Racconto premiato di Myriam Andreatini
Sfilli.
L'Arena di Pola, Sabato 4 Marzo 2000.
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Created: Friday, March 17, 2000; Last updated:
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