Una volta a
Felicia - L'ospite a pranzo
di
Sergio Fermeglia
Source:
L'Arena di Pola, Sabato 12 luglio
1997 - Organo dell'Associazione «Libero Comune di Pola in esilio», Gorizia
ITALIA and Notiziario Pisinoto, April 1996 (Trieste).]
Quando mi trovavo a casa per
vacanze scolastiche, ogni domenica, senza fallo, avevamo ospiti qualche
impiegato statale di Fianona, di Albona e di altri comuni. Si presentavano
puntuali all'ora di pranzo e dicevano che il maresciallo dei Carabinieri, o
quello della Finanza, o il Podestà o il segretario comunale li avevano
incaricati di portare il loro saluti ai signori Fermeglia di Felicia.
A me scappava da ridere; mia
sorella Sonia mi tirava un calcio sotto il tavolo per farmi smettere. Mamma
chiamava Maria (avevamo due domestiche e un domestico) che ci serviva a
tavola e mamma le chiedeva di aggiungere un coperto giacché avevamo un
ospite a pranzo. Ricordo che una domenica andai io in cucina dalla sala da
pranzo, per cercar Maria. La trovai che borbottava: «Ospite del curaz, i xe
tuti morti de fame, scroconi, magna per gnente. Tua mamma, la mia cara
santola Ada, la xe una santa, mi li mandaria tuti a remengo; tra impiegati
statali e petochi (mendicanti) questa casa xe diventada un rifugio
pecatorum.»
Povera cara e buona Maria, mi
voleva bene come un figlio.
Le nozze
del porco
A Felicia durante l'inverno avvenivano le
sosiddette "nozze del porco" (i contadini le chiamavano "prascen", "pir").
Tutti i feliciani ammazzavano uno o due maiali all'anno nei mesi di dicembre
e gennaio. Il tempo migliore per la macellazione era: freddo con un
po' di bora.
I contadini venivano da papà per chiederli:
"Santolo o compare (mio papà e mia mamma erano santoli di battesimo o di
cresima di quasi tutto in paese) volessi saver che tempo sarà domani o
dopodomani perché volevo copar el porco". Noi in bottega avevamo un
bel barometro belga, molto accurato. Papà gli dava un colpello con l'indice
della mano destra per vedere se si muoveva. Sì, domani sarà bel tempo, o no,
domani pioverà.
Anche noi si macellava due grandi e grossi
maiali all 'anno: uno per la carne, i "large white" inglesi, e uno per
il lardo e strutto, di razza ungherese. Avvenuta l 'uccisione il nostro
vicino di casa "zio" Pepi Monti li scorticava, tagliava a pezzi, salava, ci
metteva abbondante pepe e lauro e poi li metteva in un grande cassone di
legno con pesanti pesi sopra. Il cassone era aperto in fondo con stanghe
orizzontali, lo si teneva in un ambiente freddo. Dopo due settimane, il
tempo necessario perché il sangue colasse, portavamo tutta la porcina dal
Firzic (chissà chi gli aveva affibbiato quel nomignolo), al secolo Francesco
Zustovich, che fungeva anche da nonzolo, per affumicarla. Dopo mesi di
costante fumo la portavamo a casa e la mettevamo in cantina alfresco con le
botti di vino. Da queste affumicature venivano fuori i famosi prosciutti,
luganighe e omboli istriani, per me i migliori. Da noi non si usavano
insaccare salami; nella bassa Istria mi sembra di sì.
A proposito dei "large white" inglesi, papà
aveva iniziato un allevamento di questi bestioni (mio padre tentò tutto).
Il Firzic usava il ginepro per affumicare la
porcina e ciò gli costò la vita. Recatosi a Vragna sotto il Monte Maggiore
per un carico di
ginepro
e di bacche di ginepro, fu catturato nei boschi dalle SS e fucilato, vittima
innocente della furia nazista.
Con le bacche di ginepro da noi si faceva la
"smricva ", bevanda
dissetante, non alcoolica, frizzante e diuretica: la si otteneva dalla
fermentazione delle bacche di ginepro in acqua. Papà aggiungeva 1 chilo di
zucchero per ettolitro.
Alle "nozze del porco" si el invitavano amici
e parenti, venuti anche dalle città dove vivevano. I pasti erano
pantagruelici: prima brodo, poi fegato, cuore e rognoni con polenta,
svazzetto (spezzatino) con gnocchi e fusi, ombolo arrosto,
cappucci garbi, verze in
tecia, patate arroste, insalata di cappucci freschi; due tipi di pane appena
cotti sotto la "cripgna": pane di frumento e pane di granoturco. Tutto in
barba al colesterolo ed inaffiato da abbondante rosso locale. I polmoni si
bollivano per i cani.
La tavola veniva coperta da tovaglie e
tovaglioli di lino ricamato, fresche di liscia e prufumate di lavanda (per
le grandi occasioni). Poi venivano i dolci:
palacinche,
strudel
de pomi, pan de Spagna,
buchtel,
orehgnaccia (dolce di
noci) e presniz. Il caffè nero veniva servito col "scorupic" (panna di
latte). Naturalmente c'era sempre la bottiglia di potente
grappa locale, distillata illegalmente e clandestinamente (de scondon)
nell'interno del Cirites, dove i finanzieri della stazione di Porto Fianona
si recavano ben di rado e solo per delazione. Dimenticavo i nostri famosi
sanguinacci, insaccati di sangue di maiale, riso cotto, uva passa e polvere
di cannella (tanto per completare il quadro). Venivano affumicati anche
questi.
Purtroppo è un mondo che non esiste più, un
mondo "gone with the wind": rimarrà sempre presente nei miei ricordi,
incancellabili nella mia memoria, fin che avrò vita.
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