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La
rinascita del cinema italiano - Il cinema dei
telefoni bianchi
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Gli uomini che mascalzoni di Mario Camerini
(1932). |
La
produzione più commerciale di questo periodo è conosciuta con il nome di
"cinema dei telefoni bianchi", in cui l'idea dello sfarzo e del lusso
era comunicata da immancabili telefoni bianchi negli interni di palazzi
fintamente sfarzosi, abitati da commendatori galanti e da nobili
improbabili. Una delle attrici più rappresentative di queste produzioni
è
Alida
Valli, che deve la sua popolarità a questo
fortunato periodo, anche se seppe dimostrare, in seguito, di avere doti
drammatiche e uno spessore recitativo, che la fecero conoscere anche
all'estero.
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Stefano Pittaluga e la Cines
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Emilio Cecchi
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Luigi Freddi e la Direzione generale
della cinematografia
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Il progetto imperiale
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Cinecittà
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Telefoni bianchi
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1. Stefano Pittaluga e la Cines
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La canzone dell'amore (1930) |
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Nel 1930, la diffusione in
Italia dei primi film sonori porta le succursali
delle compagnie hollywoodiane (soprattutto Metro
Goldwyn Mayer, Fox e Paramount) ad allestire in
Italia impianti per il doppiaggio dei loro film.
Sono precedute in tale ammodernamento da una ditta
nazionale che diffonde nelle nostre sale la maggior
parte della produzione cinematografica straniera: la
Società anonima Stefano Pittaluga. Quest'ultimo
rappresenta senz'altro il primo esempio di tycoon
italiano. Pittaluga inizia infatti intorno alla metà
degli anni '20 la sua professione nel settore della
distribuzione. La sua società, nel 1930, possiede
circa 200 delle 2500 sale italiane, la maggior parte
delle quali è dotata di impianti per la riproduzione
del sonoro. E' suo il merito di presentare al
Supercinema di Roma Il cantante di jazz (The Jazz
Singer), il primo film sonoro del 1927, ceduto
dalla Warner proprio a Pittaluga. Accusato dai
critici e dai cinefili di non prendere posizione
nella produzione Pittaluga, pur ritenenendo che la
situazione industriale del cinema italiano sia
pessima, nel 1929, a prova della sua buona volontà,
ristruttura a Roma gli studi della Cines e si lancia
così n`ella produzione. Il suo primo film è La
canzone dell'amore (1930) da un soggetto di
Luigi Pirandello, diretto da Gennaro Righelli. In
seguito la legge sul cinema del 18 giugno 1931
accoglie i consigli di Pittaluga: da un lato, impone
un tributo a chi importi o doppi i film stranieri
(tributo ora scomparso ma ereditato dalla Francia
che ancora lo adotta utilizzando poi gli introiti
per finanziare il proprio cinema); dall'altro
concede crediti ai produttori e premi in denaro
calcolati sugli incassi.
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La legge contribuisce ad
incrementare la produzione italica mentre Pittaluga
prosegue il suo lavoro di produttore, producendo
numerose commedie scacciapensieri come Patatrac
di Righelli, Rubacuori di Brignone, La
segretaria privata di Alessandrini, ma dando
anche possibilità di lavoro ad alcuni tra gli autori
più interessanti di questo decennio con film come
Sole, opera prima di Alessandro Blasetti, e
Rotaie di Camerini, entrambi del 1929.
2.
Emilio Cecchi
La prematura
scomparsa di Pittaluga, avvenuta nel 1932, porta alla
direzione della Cines Emilio Cecchi, fine critico letterario
e cinematografico che, reduce da un soggiorno a Hollywood,
decide di applicare la metodologia di produzione degli
studios, cercando dunque collaboratori di grande livello
nella stesura dei soggetti e nella successiva realizzazione.
Pirandello, Alvaro, De Stefani, De Benedetti, Bonelli
lavorano come sceneggiatori, Malpiero, Caggiano, Labroca,
Rota, realizzano le musiche, Bontempelli, Levi ed altri
vengono consultati per vari consigli. Con Cecchi esordisce
Raffaello Matarazzo, dirigendo documentari, mentre Camerini
realizza la commedia Gli uomini che mascalzoni (1932)
lanciando i giovani Lia Franca e Vittorio De Sica. Blasetti,
invece, realizza sotto la supervisione del produttore 1860,
uno dei suoi film migliori, da molti critici indicato come
l'antesignano del futuro neorealismo italiano, storia di un
picciotto siciliano, Carmeliddu, nell'Italia ottocentesca
delle lingue, culture ed interessi economici diversi.
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Gli uomini che mascalzoni (1932) |
1860
(1934) |
Rotaie (1929) |
3.
Luigi Freddi e la Direzione generale della Cinematografia
Tuttavia la linea di
qualità adottata da Cecchi non trova un riscontro politico e la
Cines, nonostante non abbia conosciuto particolari fallimenti,
viene svenduta. Nelle sezioni del partito fascista si chiede che
venga messa da parte la cosiddetta "legione straniera
dell'intelligenza". Le posizioni di coloro che chiedono una
riconversione fascista del cinema italiano vengono rilanciate da
Luigi Freddi, già futurista e capo ufficio propaganda di
Mussolini nel 1923, nonché redattore del Popolo d'Italia.
Grazie alla protezione di Galeazzo Ciano e ai suoi rapporti col
Duce Freddi ottiene l'incarico, nel 1934, di organizzare la
Direzione generale della cinematografia, con l'obiettivo di
riportare all'ordine la cinematografia italiana.
Nel 1935, in
un'Italia divenuta da poco "imperiale" con la conquista
dell'Etiopia (guarda il filmato L'Italia conquista L'Etiopia),
sugli schermi italiani dominano ancora incontrastati i film
hollywoodiani.
Luigi Freddi,
direttore generale della cinematografia, circondato di validi
collaboratori come Luigi Chiarini e Jacopo Comin, cerca di
raddrizzare le sorti della cinematografia nazionale attraverso
un lavoro complesso, che vede l'ente impegnato in ogni fase
della realizzazione di un lungometraggio: dalla revisione della
sceneggiatura alla ricerca di capitali, dalla scelta degli
attori e del regista, all'affitto degli studi in cui girare.
Consapevole poi dell'importanza della promozione Freddi imita i
colleghi d'oltreoceano creando una sorta di agenzia stampa
destinata a fornire ai giornali materiali sui film in
lavorazione. Più avanti Freddi favorisce il sorgere di riviste
specializzate, alcune con un intento di ricerca e specialistico
(Lo Schermo, Cinema, Bianco e nero), altre,
come Film, con l'unico scopo di creare aspettative
intorno alle nuove produzioni.
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Ruba cuori |
Sole! (1928) |
4. Il progetto imperiale
Contemporaneamente a queste molteplici attività Freddi
elabora con i suoi collaboratori il cosiddetto
"progetto imperiale". Ritiene infatti che per
promuovere il cinema italiano all'estero sia
necessario puntare su storie "italiane", senza
inseguire i competitori su improbabili vicende
transnazionali ma, al contrario, puntando sulla
specificità della propria storia. Nascono così
grosse produzioni come Casta Diva (1935) di
Carmine Gallone, dedicato al compositore Vincenzo
Bellini e al suo amore infelice per la soprano
Maddalena Fumaroli; oppure opere tratte dalla
narrativa rosa o ambientate nelle nuove colonie
imperiali come Cavalleria
di Goffredo Alessandrini (1936) o Squadrone bianco
(1936) di Augusto Genina. Meglio ancora puntare su
personaggi leggendari come Giovanni delle Bande
Nere, protagonista di Condottieri (1937)
diretto da Luigi Trenker, e Scipione l'Africano
(1937) di Carmine Gallone. Si tratta per lo più di
opere magniloquenti e retoriche non prive tuttavia
di un afflato epico. A rendere celebre il "progetto
imperiale" sono però tre film, realizzati tra il
1936 e il 1938: Sentinelle di bronzo, Il
grande appello
e Luciano Serra pilota. Tre opere nate come
diretta conseguenza della vittoria in Etiopia
(guarda il video
L'Italia conquista l'Etiopia) e della nascita
del nuovo impero coloniale italiano, promossa dalla
radio e dai giornali del regime come l'unica
risposta possibile alle pretese delle grandi
potenze, come sfida dei paesi poveri, come volontà
di partecipare ad una nobile opera di
civilizzazione. Sentinelle di bronzo (1937)
di Romolo Marcellini, possiede un taglio
documentaristico e rivela una descrizione accurata
del popolo somalo. Camerini e Alessandrini invece
descrivono con acume due figure di sradicati ne
Il Grande Appello (1936) e in
Luciano Serra pilota (1938). Questi due film
ricalcano le atmosfere di epigoni hollywodiani e
narrano le peripezie di due canaglie buone: il
Pilotto de Il grande Appello e l'Amedeo
Nazzari di Luciano Serra pilota.
Quest'ultimo, sceneggiato da Rossellini e
supervisionato da Vittorio Mussolini, è una saga
familiar-militare italiana e un'esaltazione della
guerra d'Africa. Per questo vinse la Coppa Mussolini
al Festival di Venezia. Entrambi i film ottengono in
patria un successo clamoroso, soprattutto tra i
ragazzi che sognano di emulare le gesta avventurose
dei due protagonisti.
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5. Cinecittà
La
nascita di Cinecittà, insieme alla costituzione
della Legge Alfieri del 18 gennaio 1939 (che
concedeva ai film nazionali un generoso contributo
finanziario), oltre ad una politica autarchica di
distribuzione che vede le grandi compagnie americane
disertare il nostro mercato, sono i principali
motivi che contribuiscono all'aumento vertiginoso di
produzioni e al definitivo boom del cinema italiano
anteguerra.
Il 27 aprile del 1937
Mussolini inaugura i nuovi stabilimenti
cinematografici di Cinecittà in via Tuscolana
(guarda il filmato sull'inaugurazione).
Il complesso è imponente,
dotato di strutture all'altezza non solo di quelle
americane ma senza pari in Europa. Cinecittà offre
75.000 metri di strade, piazze e giardini, una
grande piscina per le riprese in mare, tre
ristoranti, diverse palazzine per dirigenti e
impiegati, sedici teatri di posa e camerini dotati
di ogni comfort. In pratica si può entrare dentro
gli studi con la sola idea del film ed uscire con il
prodotto finito.
Ad una media di ottanta
produzioni l'anno (una cifra enorme se si pensa
all'attuale, asfittica, produzione nostrana) il
cinema italiano vede il sorgere di decine di riviste
specializzate destinate a far crescere la popolarità
di dive e divi italiani. La diva per eccellenza è
Isa Miranda, che conosce una breve ed infelice
parentesi hollywoodiana, seguita da Elsa Merlini,
dall'esotica Doris Duranti (amante del Ministro
della Cultura popolare Pavolini), della capricciosa
Assia Noris che ha la fortuna di interpretare tutti
i film del marito Camerini, della ribelle Luisa
Ferida (destinata insieme al compagno Osvaldo
Valenti ad un'atroce fine sul finire del secondo
conflitto mondiale); e poi la bellissima Clara
Calamai (che scandalizza le platee con il suo seno
nudo, il primo nella storia del cinema italiano, ne
La cena delle beffe
(1941) di Blasetti) e
Alida Valli - il suo esordio avviene con Ore
9 lezione di chimica (1941) di Mario Mattoli -
destinata, in pochi anni, a diventare la diva più
amata del cinema italiano.
Tra gli
attori, invece, si segnalano Vittorio De Sica, Gino
Cervi, Fosco Giachetti e Amedeo Nazzari.
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Elsa Merlini |
La cena delle
beffe (1941), con la prima nuda del cinema,
Clara Calamai |
Assia Noris |
6.
Telefoni bianchi
È la
stagione dei telefoni bianchi, breve (va dal 1937 al
1941 o al 1943) ma intensa, che fotografa un periodo
storico pervaso da una grande euforia. L'Italia è
ormai una potenza imperiale. Le commesse governative
hanno moltiplicato gli introiti dell'industria
meccanica, il lavoro in colonia assorbe molta mano
d'opera disoccupata e il ceto impiegatizio riscopre
il gusto del divertimento. I treni popolari sono
affollati, le sale da ballo e le balere sono piene,
riviste, concerti e cinema sono sempre esauriti.
La
stagione dei telefoni bianchi si contrappone al
cinema pedagogico con le sue ambizioni epiche,
realistiche e propagandistiche. Il
nome proviene dalla presenza di telefoni bianchi
nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo
periodo, sintomatica di benessere sociale, atto a
marcare la differenza dai telefoni neri,
maggiormente diffusi.
Il
cinema dei telefoni bianchi
narra storie
sentimentali a lieto fine, aventi per protagoniste
segretarie spensierate e giovani rampanti,
in cui l'idea dello sfarzo e del
lusso era comunicata da immancabili telefoni bianchi
negli interni di palazzi fintamente sfarzosi, si
voleva esaltare, da una parte il galantuomo
intrepido e ardente, l'uomo buono, forte, generoso e
coraggioso cavaliere galante e paladino della
giustizia che le giovani sognavano di sposare
(come Amedeo Nazzari) e dall'altra
il
cinico-strafottente-cocainomane come Osvaldo
Valenti, che con la sua compagna Luisa
Ferida, morirà fucilato nel 1945 dai partigiani,
dopo aver aderito alla repubblica nazifascista di
Salò.
L'origine
nobile dei telefoni bianchi, viene comunemente
trovata quindi nel cinema di Mario Camerini già a
partire dal cinefilo Rotaie del 1929
Successivamente nel film Gli uomini che
mascalzoni
del 1932, Camerini percorse una Milano rinnovata
nell'aspetto, offrendo al pubblico anche
divertimento e spensieratezza. Altri titoli
significativi sono:
La segretaria privata (1931) di Goffredo
Alessandrini; Darò un milione (1935) e
Il signor Max (1937) di Mario Camerini; L'avventuriera
del piano di sopra (1941) e Il birichino di
papà (1943) di R. Matarazzo.
Si vive
una vita al di sopra delle proprie possibilità e
solo Mario Camerini con Il Signor Max (1937)
suggerisce che così non si può andare avanti. Il
simpatico De Sica, giornalaio di modeste origini,
sogna una vita nell'alta società e si finge nobile
pur di frequentarla. Tornerà deluso tra le braccia
della sua ragazza.
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Grandi magazzini (1939) |
Tuttavia, sempre
Camerini, in
Grandi Magazzini (1939) si abbandona al gioco di imitare
la commedia degli equivoci americana. Sono molti i letterati che
lavorano a Cinecittà: da Giacomo Debenedetti, che non può
firmare le sue sceneggiature a causa delle leggi razziali del
1938, a Mario Soldati passato alla regia con Dora Nelson
(1939), da Leo Longanesi a Mario Pannunzio. Tutti intellettuali
potenzialmente pericolosi per il regime che vengono allontanati
dal loro impegno politico e incoraggiati a lanciarsi nel mondo
della celluloide impegnando le loro forze verso la costruzione
di film d'intrattenimento. Il cinema comico vede il nascere di
astri come Macario e Totò, quest'ultimo dirottato dal regista
Carlo Ludovico Bragaglia dalla rivista al cinema non-sense in
Animali Pazzi (1939).
E così,
tra frizzi e lazzi, l'Italia sembra non accorgersi
di quanto sta accadendo in Europa. L'entrata in
vigore delle leggi razziali, il patto d'acciaio tra
Mussolini e Hitler, la spartizione della
Cecoslovacchia con la conferenza di Monaco,
preannunciano i venti di guerra che tra breve
spazzeranno l'Europa. L'aspetto più vistoso che
caratterizza queste commedie è la totale assenza di
riferimenti alla realtà politica del paese e ai
segni anche esteriori del fascismo.
Oltretutto, nella maggior parte dei
casi questi film sono ambientati a Budapest e non di rado
derivano da romanzi o commedie ungheresi. Il cinema dei telefoni
bianchi è anche il cinema degli attori che riscuotono grande
successo di pubblico.
Tra gli interpreti
migliori e più indicativi di questo periodo si ricordano
principalmente Vittorio De Sica, che interpreta una serie di
commedie brillanti che hanno molto successo all'epoca e possono
ancora oggi essere riviste con piacevolezza: La segretaria
per tutti (1931), Gli uomini che mascalzoni (1932),
Grandi magazzini (1939).
Una delle attrici più
rappresentative di queste produzioni è invece,
Alida
Valli, che deve la sua popolarità a questo fortunato
periodo, anche se seppe dimostrare, in seguito, di avere doti
drammatiche e uno spessore recitativo, che la fecero conoscere
anche all'estero.
Il cinema dei
telefoni bianchi, proprio per il suo carattere di fuga dalla
realtà quotidiana attraverso l'attivazione di astratti modelli
di comicità teatrale e per l'implicita celebrazione di ideali di
vita piccolo borghese, venne a posteriori considerato
l'espressione più subdola e nefasta del conformismo caro al
regime, perfettamente funzionale al progetto politico del
fascismo, che si basava appunto sul consenso delle classi medie.
Il genere passionale durò praticamente fino alla fine degli anni
40, dopodichè prenderà il sopravvento il neorealismo che sarà la
fortuna del cinema italiano nel mondo.
Tratto
da:
-
http://www.italica.rai.it/cinema/schede/telefoni1.htm
-
http://www.markrage.it/telefoni_bianchi.htm
-
http://www.italica.rai.it/cinema/film/max/foto1.htm
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Created: Tuesday, April
11, 2006, Last Updated:
Thursday, December 08, 2022
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