La controriforma in Istria: Il concilio di Trento e il ruolo dei gesuiti

di © Antonio Miculian

ANTONIO MICULIAN
Centro di ricerche storiche, Rovigno
CDU: 270.6+271.5(497.5Istria)"15/16'
Saggio scientifico originale
Dicembre 1999

Summaries: Hrvatski & Slovensko

Riassunto
Nella prima parte del saggio, vengono messe in evidenza le difficoltà della Chiesa cattolica romana nei confronti della nuova situazione venutasi a creare in Europa dal momento in cui Martin Lutero, con le sue 95 lesi, aveva messo in discussione tutta l'impalcatura tradizionale del Cristianesimo occidentale. Ciò spiega in parte perché il papato stentò a lungo a trovare una propria linea politica d'intervento anche se la lotta contro gli errori dei riformati nel campo dottrinale, era stata già iniziata nella prima metà del '500. Tuttavia, le prime misure sono caratterizzate dalla costituzione della Sacra Congregazione dell'Inquisizione romana e dall'istituzione dell'ordine religioso dei Gesuiti. Nella seconda parte, invece, viene posta l'attenzione sul lavoro svolto nell'Istria veneta dal vescovo di Verona e visitatore apostolico, Agostino Valier, nonché da quello effettuato, nella prima metà del XVII secolo, dal Collegio e dai Gesuiti, in missione a Fiume.


La Chiesa cattolica romana, si era resa conto che dal momento in cui l'opera iniziata da Martin Luterò in Germania e, conseguentemente dilagata in tutti gli stati dell'Europa centro-meridionale aveva messo in discussione l'impalcatura tradizionale del Cristianesimo, ed aveva iniziato una lotta accanita contro gli errori dei riformati nel campo dottrinale, sia da parte dell'autorità ecclesiastica, sia da parte dei teologi controversisti: l'Inquisizione nella Spagna e nei Paesi Bassi, in Francia e infine a Roma, come pure l'Index librorum prohibitorum, avevano cercato di arginare la diffusione degli errori luterani [1].

La necessità di una riforma era stata riconosciuta già da papa Adriano VI, che scrisse intorno ai molti vizi abominevoli praticati nella curia stessa e intorno ai mali inveterati e complessi, impossibili da nascondere, che infettavano l'intero corpo della chiesa; e lo stesso tema fu ripreso in modo più ampio e completo in un notevole documento "Consilium quorundam cardinalium de emendanda ecclesia", presentato nel 1583 a papa Paolo III [2].

In ogni caso, il papa a qualsiasi proposta di riforma da parte dei concili nazionali o di un concilio ecumenico della chiesa che potesse liberamente venire a patti con gli eretici, si opponeva inalterabilmente, in quanto, dopo l'esperienza del secolo XV, considerava i concili come malanni pericolosi, tollerabili soltanto se disposti a ricevere ordini specifici da Roma.

Inizialmente molti speravano che i gruppi della riforma cattolica e dell'evangelismo potessero mediare lo scontro sulla base delle loro istanze di riforma della chiesa e di fedeltà al vangelo. Abbastanza presto appare chiaro però che la riforma cattolica era troppo debole a causa dell'emarginazione subita dalla chiesa ufficiale e dal fatto che essa non portava avanti un progetto totale e sistematico di rinnovamento del cristianesimo, capace di ottenere larghi consensi popolari. I rappresentanti della riforma cattolica si erano rivelati aristocraticamente troppo flessibili non impostando nessuna linea di riforma liturgica, l'unica capace di coinvolgere il popolo e, nello stesso tempo, non avevano saputo cogliere l'opportunità di strappare al papato la convocazione di un concilio prima che la separazione divenisse irrimediabile. In questa prospettiva va situato l'inizio, intorno agli anni Quaranta del secolo XVI, della risposta della chiesa cattolica alla riforma protestante, considerata avversario irriducibile e minaccia mortale: la "Controriforma". Tuttavia, dobbiamo rilevare che anche i protestanti furono condizionati dall'opposizione ai cattolici, al punto che molti aspetti della controriforma - intolleranza, dogmatismo - sono presenti anche nelle chiese riformate. I cattolici tradizionali operavano per difendere un assetto secolare minacciato nella sua condizione di egemonia e di possesso; i riformati, d'altra parte, erano animati da un'intensa dinamica spirituale, da una ricerca di soluzioni nuove e coerenti con la loro riscoperta del Vangelo, da una creatività favorita dal fatto di aver rifiutato la cristianità medievale e di essere coinvolti in nuovi assetti sociali resi possibili dalla stessa rottura religiosa [3].

Nella prima metà del XVI secolo, la chiesa cattolica romana si rese conto che stava perdendo il controllo territoriale, culturale e spirituale di tutta l'Europa centro-meridionale e che, di conseguenza, veniva investita da una profonda crisi di identità. In pochi decenni la carta religiosa d'Europa era sostanzialmente mutata: centinaia di monasteri e conventi si erano svuotati, moltissime diocesi non esistevano più, mentre i loro possessi erano passati nelle mani dei signori temporali. Tuttavia, nel momento in cui l'autorità del papa veniva respinta pubblicamente non in nome dell'anticlericalismo, ma in nome della Bibbia; la messa e i sacramenti scomparsi o completamente trasformati, mentre a loro volta i protestanti avevano principi, loro università e città sotto proprio controllo, la chiesa cattolica organizzava una resistenza utile ed efficace. I primi sintomi sono caratterizzati dalla costituzione di due atti particolarmente diversi: da un lato l'iniziativa spontanea dello spagnolo Ignazio di Loyola di formare nel 1534 a Parigi una milizia spirituale: i "Gesuiti" [4], a disposizione del papa per le necessità missionarie, soprattutto della Terrasanta; dall'altro la creazione a Roma, per iniziativa di Paolo III, di una commissione di cardinali con il compito di coordinare la lotta contro i fautori del protestantesimo negli ambienti cattolici: "La Sacra Congregazione dell'inquisizione romana" [5]. Così tra il 1534 e il 1542 si misero in moto i due primi fattori della controriforma.

Tuttavia, dopo molte dilazioni e ostacoli, fu convocato a Trento un concilio che, sebbene non raccogliesse che sparsi rappresentanti e fosse interrotto e rimandato in più riprese - una volta l'interruzione durò dieci anni - segnò un'epoca specifica nella storia della Chiesa cattolica romana. Secondo lord Acton, grande storico cattolico, il concilio aveva rappresentato l'inizio di una nuova era nella storia della chiesa cattolica romana in quanto "impresse sulla chiesa il segno di un'epoca intollerante e perpetuò coi suoi decreti lo spirito di un'austera immoralità" [6].

Nel corso delle sedute del Concilio, erano state molteplici le discussioni tra i cattolici presenti; tuttavia, alla fine il concilio "stese quell'imponente dottrinale e quei canoni che sono il tesoro di verità da studiarsi per tali argomenti nel testo delle sessioni VI e nelle altre seguenti, dove è il modo, e la necessità di svolgere la Grazia coll'ajuto dei sacramenti. Così escludevasi ogni seme di protestantismo, e si rendeva impossibile la conciliazione" [7].

Fu il pontificato romano a prendere l'iniziativa dell'attuazione del tridentino; da Pio IV a Clemente VII si susseguirono papi coerentemente impegnati in questa direzione; tra questi, si distinsero il domenicano Pio V, inquisitore prima di essere eletto papa, e il francescano Sisto V. In questo quarantennio nacque così la Chiesa cattolica moderna, dominata dal confronto dialettico e dallo scontro diretto con il protestantesimo [8].

II Tridentino, tra l'altro, aveva richiesto ai vescovi l'obbligo della residenza e l'Istituzione di seminari diocesani; inoltre aveva previsto i sinodi diocesani, quelli provinciali, le visite pastorali, apostoliche e le regolari relazioni personali dei vescovi a Roma al Santo Padre, le cosiddette "Visitatio et Relatio ad Limina Apostolorum" [9]. A conclusione dei lavori del concilio di Trento, le parrocchie erano pure obbligate a compilare e conservare i registri dei nati, dei battesimi, dei matrimoni, dei morti e alla tenuta dei cosiddetti "libri canonici" o diari, in cui i parroci evidenziarono quelle che erano le vicende e gli eventi della vita quotidiana della loro parrocchia [10].

Per attuare un controllo dettagliato, affinchè fossero mantenute inviolabili le disposizioni di Pio V, in riguardo all'osservanza dei decreti del Concilio, una speciale commissione di vigilanza, composta da Carlo Borromeo, Gabriele Paleotto, Giovanni Aldobrandini e Paolo Burali, era sempre pronta ad intervenire non tollerando lo scostarsi dai decreti di riforma di Trento [11].

Particolarmente Gregorio XIII aveva insistito sull'amministrazione pastorale per mezzo di vicari capaci, di buoni confessori e predicatori. Gregorio XIII aveva attribuito il più grande valore alla visita sacra, in quanto, una delle cause principali del decadimento della Chiesa nel periodo della rinascenza, stava nell'essere andata in disuso la visita regolare delle diocesi da parte dei loro vescovi. Il concilio di Trento aveva perciò, con massima severità, raccomandato ai vescovi di visitare ogni anno la loro diocesi personalmente, o se impediti, per mezzo di un loro rappresentante. Tuttavia, tali visite, erano state istituite già all'epoca di Clemente VII; dopo il concilio di Trento non erano ancora diventate generali. Per questo motivo, all'inizio del 1573, sette vescovi furono nominati visitatori apostolici nelle diocesi dello Stato pontificio. In seguito le visite apostoliche furono estese in tutto il territorio della penisola italiana [12].

Le deliberazioni emanate a Trento, in seguito mai rivedute e ancora oggi costituiscono la base dogmatica della chiesa cattolica, furono attuate con grande scrupolosità anche dai vescovi nella nostra regione. Infatti, il Concilio, al quale aveva partecipato anche il vescovo di Parenzo Pietro Gritti, aveva saggiamente ordinato che ogni diocesi avesse ii proprio seminario e ne aveva tracciato le regole della organizzazione, come pure il modo di sopperire al dispendio.

L'apertura dei seminari in Istria rappresentava compito assai complesso che impegnò a fondo i vescovi locali. Il vescovo parentino Cesare de Noris, è stato uno dei primi a mettersi all'opera. Nel 1579 ottenne da Gregorio XIII che l'abbazia degli Eremitani di S. Elisabetta sotto Montona fosse soppressa e le sue rendite venissero devolute al seminario, dove vennero accettati ed istruiti dodici alunni. Tuttavia, il seminario venne chiuso nel 1597 e solamente tre anni dopo veniva nuovamente aperto dal vescovo Lipomanno. Le calamità naturali, peste e malaria che allora aveva colpito l'Istria, ed in modo particolare Parenzo, indussero il vescovo a trasferirlo altrove. Nel 1650 il vescovo Del Giudice lo eresse a Sanvicenti, per trasferirlo otto anni dopo, nuovamente a Parenzo. Quando poi Alessandro VII soppresse per modum poenae l'ospizio e il convento francescano dei Minori Osservanti dell'Annunziata ad Orsera, venne trasferito nei pressi del castello di "Ursaria", dimora dei vescovi parentini. Bisognerà aspettare fino al 1730, quando le condizioni sanitarie ed economiche migliorarono per ritrovare il seminario aperto nuovamente a Parenzo, e vi rimase operante fino ali'8 dicembre 1818 quando veniva stabilito che il seminario centrale di Gorizia dovesse servire anche per i parentini, sebbene Parenzo non fosse ancora unita a Gorizia [13].

Verso la fine del '500, mentre l'istituzione dei seminari cominciava a fornire i primi risultati, ancora assai limitati, il clero secolare non appariva in grado di assumere su di sé i compiti relativi alla promozione della vita religiosa delle popolazioni. Gli ordini religiosi esercitavano un'influenza predominante nel campo della predicazione; ma anche nell'amministrazione dei sacramenti, i regolari continuavano a riscuotere un enorme successo presso il laicato, che li preferiva ai curati nella veste di confessori.

Un capitolo a parte nella storia ecclesiastica istriana è rappresentato dal sinodo provinciale aquileiese, aperto nell'ottobre del 1596. Come base furono presi i canoni del concilio tridentino inerenti la morale, la disciplina e i dogmi. Si stabilì di abbandonare il rito aquileiese, detto patriarchino e di adottare quello romano, rescrivendo l'uso del breviario, del messale e del rituale di Pio V.

Tra tutti i vescovi presenti soltanto Cesare de Noris, parentino, aveva optato per la continuazione del rito patriarchino affinchè "gli scismatici, mischiati in buon numero fra i cattolici Slavi immigrati, per mezzo del glagolitico tornassero o meglio, senza quasi avvedersene, divenissero cattolici", e per motivi economici di sostentamento [14].

Per quanto riguarda l'Istria, i verbali delle visite apostoliche e pastorali, e delle altre fonti sopra menzionate, rappresentano materiale prezioso onde comprendere non solamente il periodo storico della controriforma ma, nello stesso tempo, ci forniscono dati esaurienti sull'andamento demografico, sull'identità degli abitanti, sulla loro organizzazione territoriale, sul linguaggio usato dalle persone direttamente interrogate dal visitatore e dai suoi sostituti. In molti casi vengono riportate anche espressioni dialettali, importantissime per gli studiosi del settore. Tenendo conto che lo Stato non effettuava ancora censimenti della popolazione e non aveva registri d'alcun genere, è solamente la Chiesa dopo il concilio di Trento, attraverso questo tipo di controllo ad essere in grado di fornire dati esaurienti sul numero delle persone - nati, battezzati, matrimoni, decessi - sull'identità degli abitanti nelle singole regioni, sulla loro organizzazione territoriale così come sul patrimonio artistico e culturale.

Partendo da tale presupposto, oggi gli storici di cose patrie, di fronte a questa nuova documentazione inedita, sono in grado di presentare la storia dell'Istria nel XVI e XVII secolo in maniera del tutto diverso da quella tradizionale del secolo scorso e, nello stesso tempo, ribaltare le tesi della ormai vecchia storia politica, diplomatica e militare, secondo la quale i secoli sopra menzionati sarebbero stati "un periodo privo di qualsiasi interesse storico sia dal punto di vista politico che istituzionale" [15].

In realtà, l'età moderna in Istria, dal punto di vista storiografico, per molto tempo è stata trascurata ed ignorata dagli storici, in quanto ritenevano il periodo preso in considerazione privo di qualsiasi interesse e significato, che si sarebbe potuto liberamente ignorare, giungendo direttamente all'età contemporanea, che da tale punto di vista è ritenuta molto più ricca di avvenimenti storici, politici, economici e culturali.

Oggi, tuttavia, spostando l'attenzione sul piano della storia culturale, sociale e religiosa, possiamo renderci conto che anche l'Istria, come le regioni contermini, nel periodo preso in considerazione, ha una propria storia, ricca di avvenimenti che non è affatto immobile o bloccata, come spesso sostenuto, bensì estremamente mobile e dinamica, solo che per coglierla bisogna spostare l'attenzione su nuove prospettive di ricerca, valorizzare le nuove fonti ecclesiastiche, scaturite dalle deliberazioni tridentine e leggere ed interpretare in modo diverso quelle tradizionali, come ad esempio gli statuti, la documentazione comunale, ponendo però l'attenzione su quelle ecclesiastiche scaturite dalle deliberazioni tridentine.

L'Istria, per la sua posizione geografica, rappresentava da sempre una delle zone strategiche per la cattolicità; zona di frontiera con il mondo protestante era quindi direttamente soggetta ad un controllo particolare da Roma. D'altro canto non dobbiamo sottovalutare che la regione istriana, nel momento in cui il protestantesimo aveva assunto una nuova dimensione di sviluppo nei domini Veneti, diede rappresentanti di notevole prestigio; basta ricordare le figure del vescovo di Capodistria, Pier Paolo Vergerio, del fratello Giovanni Battista, vescovo di Pola, dell'albonese Mattia Flacio Illirico, del medico piranese Goineo e della locale comunità, di Pietro Console di Pinguente, per renderci conto che l'atteggiamento preso dal S. Ufficio nei confronti della nostra regione non era stato casuale, ma si basava su fatti concreti [16].

Per questo motivo, nella seconda metà del "500, ed in modo particolare dopo la seduta del concilio di Trento, nonostante l'applicazione dei canoni tridentini e l'opera repressiva dell'Inquisizione nelle diocesi istriane, papa Gregorio XIII, con lettera in forma di breve, datata 6 giugno 1579, affidava al vescovo di Verona Agostino Valier l'incarico di visitare anche la nostra regione. Il lavoro del vescovo veronese, aveva avuto lo scopo di fare il punto sulla situazione religiosa in previsione della concreta applicazione delle norme tridentine; tuttavia, i verbali della visita rappresentano oggi un insostituibile riferimento per comprendere la storia del Seicento istriano. Nel corso della sua visita il vescovo aveva ottenuto risultati superiori alle aspettative con piena soddisfazione della Congregazione romana. Infatti, l'esame e lo studio dei volumi manoscritti, uno per diocesi, ci offrono una visione completa dello stato spirituale e morale del clero e dei fedeli di ogni singola parrocchia; lo stato materiale delle chiese, cappelle, dei cimiteri, degli ospedali, delle opere pie, nonché le varie deficienze riscontrate. La parte più importante certamente è costituita dagli interrogatori a cui sono posti i vescovi, canonici e parroci da parte del visitatore o dai suoi auditori. Ogni libro contiene pure i processi istituiti dal Valier contro i sacerdoti concubinari. Infine troviamo i decreti particolari e generali, contenenti le prescrizioni per i vescovi, per i singoli parroci, relativamente alla riforma vescovodei costumi ed all'immediata applicazione dei canoni tridentini. Questi, tuttavia, rispecchiano la situazione specifica di ogni singola chiesa o parrocchia e vengono direttamente consegnati al vescovo, rispettivamente ai curatori d'anime [17].

Il 5 dicembre 1579, il Valier aveva comunicato a S. Carlo di trovarsi a Venezia, in attesa di partire per l'Istria, cosa che sperava di poter attuare entro una settimana circa. Tuttavia, verso la fine del secolo XVI, i rapporti tra Roma e la Repubblica di San Marco si erano irrigiditi, perciò grande difficoltà aveva incontrato la visita nella città lagunare; il Borromeo già da tempo aveva avvertito il papa su la necessità di dare inizio alla riforma. Gregorio XIII che conosceva la gelosità dei veneziani verso qualsiasi straniero, aveva deciso di porre a fianco del nunzio Bolognetti due vescovi veneziani, Agostino Valier di Verona e Federico Cornaro di Padova, accettati dalla Serenissima. La pretesa del papa aveva provocato grandi agitazioni a Venezia che venne dichiarata nuova ed insolita. Nei monasteri della Repubblica vi poteva entrare liberamente solo il patriarca di Venezia, il quale era in condizione di eseguire ciò che il papa con diritto potesse desiderare. L'unica ragione di opposizione dei veneziani era sempre lo stesso spirito cesaro-papista che aveva reso difficile pure la visita in Toscana. L'autorità civile insisteva sul suo diritto di sorveglianza sui beni dei monasteri, degli ospedali, e di altre pie istituzioni; essa si era rifiutata da dare ai visitatori informazioni su rendite, ed entrate di questi istituti. Per questo motivo il nunzio Bolognetti verrà sostituito, nella primavera dei 1581, con Lorenzo Campeggio che, in accordo con il Valier, aveva iniziato la visita esaminando solamente i preti ed i religiosi, lasciando così per il momento da parte i monasteri di claustrali. In tal modo, si riuscì a trovare una via di mezzo che soddisfava tanto il papa che la Repubblica di San Marco. Agostino Valier fu nominato visitatore apostolico; egli non doveva immischiarsi nelle questioni interne dei monasteri di monache, mentre la visita poteva proseguire senza ostacoli [18].

Prima di partire per l'Istria, il Valier, da Venezia aveva scritto una lunga lettera a San Carlo, nella quale lo informava della sua partenza per l'Istria: "(...) Hora mi ritrovo a Venetia con speranza di partire la settimana seguente per la visita dell'Istria, et non ho voluto mancare prima che partissi di fare reverentia a V. S. Ill.ma alla quale prego da N.S. Dio vera consolatione. Il latore della presente dirà a V. S. Ill.ma quanto sarà necessario in proposito di Messer Celio Sadoleto. Di Venetia il dì V decembre 1579. Di V.S. Ill.ma et R. ma Servitore Augustino vescovo di Verona" [19].

II mandato del Valier, per quanto concerne la visita apostolica alle diocesi dell'Istria, si limitava alle parrocchie ubicate nella giurisdizione civile della Repubblica di Venezia. Non visitò dunque la città di Trieste e le sue parrocchie soggette all'Austria.

I verbali della visita, conservati in libri manoscritti in latino, si trovano depositati presso l'Archivio Segreto Vaticano; constano di 290 pagine, delle quali 140 sono riservate alle visite vere e proprie, 127 ai processi criminali contro sacerdoti concubinari, 19 ai decreti generali del Visitatore, ossia "Ordinationes et hortationes ab Augustino Valerio Episcopo Veronensi et Corniti Visitatore Apostolico relictae R.mis Istriae Episcopis, Magnificis Rectoribus civitatum aut oppido-rum, Canonicis, Parochis, Sacerdotibus et Clericis, atque etiam Laicis suo loco explicandae et observandae". L'indice della materia consta di tre pagine, più l'intestazione "Visitatio dioecesis Tergestinae" [20].

Lo studio di tale documentazione, in parte pubblicato negli Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria nonché negli Atti del Centro di Ricerche Storiche dell'Unione Italiana con sede a Rovigno, ha portato alla luce resistenza di un folto gruppo di persone su posizioni eterodosse nonché di stabili lesami tra un cenacolo di riformati che trovavano ospitalità presso Francesco Barbo, signore di Cosliaco nella Contea d'Istria asburgica, e singoli eretici nei territori veneziani delle diocesi istriane. Armando Pitassio [21] ed Antonio Miculian [22] hanno indagato l'origine e le caratteristiche ideologiche ed organizzative del fenomeno e si sono dimostrati inclini ad imputare alla crisi economica, causata al tempo stesso dai correnti scontri militari austro-veneziani lungo i confini e dalle calamità naturali - epidemie di peste bubbonica, malaria - che avevano investito in modo particolare le diocesi dell'Istoria centro-meridionale, molti atteggiamenti del basso clero al limite della simonia o le furibonde dispute fra clero secolare e regolare per l'amministrazione dei sacramenti [23].

Agostino Valier era partito per l'Istria con intendimenti ben precisi atti ad estirpare concretamente e con ogni mezzo qualsiasi errore ed abuso. Dobbiamo riconoscere al vescovo veronese il merito di aver svolto una missione concretamente determinante nell'attuazione della Riforma tridentina non solamente a Trieste ma anche nelle diocesi dell'Istria e della Dalmazia, e di aver saputo ridestare un nuovo atteggiamento nel clero e nella popolazione verso i problemi della morale cattolica.

Come è noto, una delle maggiori innovazioni introdotte dal concilio di Trento nella cura d'anime consistette in una rivalutazione del ruolo del clero secolare, cui si vollero nuovamente affidare importanti funzioni, come l'esercizio della predicazione, che da secoli era divenuta monopolio assoluto degli ordini regolari. Il Concilio aveva affermato che la predicazione costituiva un dovere connesso agli altri obblighi della cura pastorale, e che quindi essa era "praecipuum episcoporum munus". Tuttavia, il decreto tridentino non rappresentava di per sé una totale rottura con la tradizione, perché la norma era attenuata da clausole che prevedevano la possibilità per il vescovo di farsi sostituire, anche se fra i legittimi impedimenti, secondo Carlo Borromeo, "non dovevano essere connumerate le occupazioni ordinarie del vescovo, perché di queste ve ne sarebbero ogni giorno" e affermò con fermezza il dovere dei vescovi di provvedere personalmente alla predicazione. L'arcivescovo di Milano propugnava dunque una riforma della predicazione, basata prevalentemente sulla valorizzazione del ruolo dei parroci, da lui preferiti ai predicatori degli ordini religiosi perché la loro stessa posizione in seno all'istituzione diocesana li rendeva più vicini ai bisogni spirituali delle popolazioni e più saldamente radicati nelle realtà locali. Sulla stessa strada del Borromeo si mosse anche Agostino Valier, il quale, nel corso della visita nella diocesi di Parenzo, ebbe l'opportunità di constatare come il vescovo Cesare De Nores riscuoteva l'ammirazione dei fedeli, in quanto "predica ogni festa", salvo in caso di legittimo impedimento, "ed insegna la forza dei sacramenti" [24].

Nei domini asburgici, dove gran parte della nobiltà aveva aderito alla confessione augustana, si oscillava tra la moderazione dell'arciduca Carlo II e il fanatismo sterminatore di Ferdinando II. Grazie alla loro opera la corte arciducale di Graz era diventata il centro della Controriforma per il ristabilimento dell'ortodossia nei domini ereditari; tale politica venne facilitata dall'appoggio diretto dei Gesuiti. Infatti, il moltiplicarsi dei collegi gesuitici a Graz. Gorizia, Trieste e Fiume, con Io scopo di reprimere l'eresia in loco, diede notevoli risultati, che però avrebbero potuto essere ancora molto più rilevanti se non fossero stati stroncati tutti i tentativi di rendere "indigeno" nei nuovi popoli il cristianesimo, e se la Repubblica di San Marco non fosse stata contraria - com'è noto - ai Gesuiti, alla loro azione di rimodernamento sia politico sia pedagogico - cattolico [25].

Nella Contea di Pisino, considerata appendice della Carniola e già da tempo entrata a far parte dei domini ereditari di Casa d'Austria, il lavoro svolto da Primož Trubar ebbe notevole influenza, a tal punto che, dopo il 1598, veniva promosso alla sede vescovile di Pedena, l'aquileiese Antonio Zara, educato nel collegio gesuitico di Graz. Nella sua opera "Anatomia ingeniorum et scientiarum" pubblicata a Venezia nel 1615, ci ha lasciato una pagina in onore dei gesuiti e, nello stesso tempo, ci illustra l'aria di Graz di allora, avviata a divenire l'epicentro della controriforma: "Che dire di quell'emporio di tutte le scienze e di tutte le virtù?. di quel saldissimo baluardo della religione...?. E come il cielo s'illumina delle stelle, quella santa società è illuminata dalle luci delle sue virtù e per la fede cattolica e romana s'imporpora del sangue di tanti martiri," [26]

Tuttavia, lo Stobeo, per proteggere i territori italiani, dalle relazioni quotidiane con gli eretici, aveva consigliato Ferdinando di fondarvi il S. Ufficio con un tribunale speciale. Lo Zara, invece, spirito equilibrato e umanissimo, potrebbe aver consigliato Ferdinando di intraprendere altre misure come, ad esempio quella di "moltiplicare le cittadelle della Compagnia di Gesù", come egli stesso scrisse in un passo della sua opera dedicata all'intollerante Ferdinando: "Procuri il principe che uomini dotti e pii riconquistino con gli insegnamenti e l'esempio di una vita proba chi s'è straniato dalla nostra fede; (...) tenti di ricondurli a idee sane piuttosto con l'amore e le blandizie che col terrore e le minacce (...) dacché al postutto nessuna cosa suole essere costante e duratura per effetto di violenza e coazione, sopra tutto in questioni religiose" [27]

Le contromisure che la Chiesa cattolica in Istria aveva intrapreso contro i fautori del protestantesimo nel corso di tutto il Cinquecento, avevano portato a termine quel lungo programma di ricattolicizzazione che il concilio di Trento aveva stabilito nei dettagli nel corso delle varie sedute. Comunque, i verbali della visita apostolica del Valier, nonché la molteplice documentazione inerente ai verbali inquisitoriali, depositati a Venezia presso l'Archivio di Stato, dimostrano, sul finire del XVI secolo, l'esistenza di piccole comunità ereticali a Dignano, diocesi di Pola, e nella parte dell'Istria montana sotto la giurisdizione ecclesiastica della diocesi di Trieste. Dall'esame di questi si desume l'esistenza di un numero considerevole di sacerdoti accusati del reato di concubinaggio; probabilmente, il visitatore apostolico era venuto a conoscenza anche dei nominativi dei rei attraverso le confessioni dei fedeli nei luoghi visitati.

Il problema della disciplina del clero in Istria, e dell'atteggiamento da assumere verso i sacerdoti che vivevano in concubinato, aveva destato non poca preoccupazione ai visitatori in quanto, gran parte dei sacerdoti non rispettava l'obbligo della castità. Lo si poteva constatare non solamente nelle diocesi dell'Istria veneta, ma anche in quella austriaca e nella stessa città di Trieste [28].

L'atteggiamento della Chiesa nei confronti del fenomeno doveva tenere conto di molteplici fattori: indubbiamente, il concubinato del clero rappresentava una grave violazione di norme, che erano state imposte fin dall'epoca della riforma gregoriana; si era allora avuto, tra l'altro, lo scopo di garantire le proprietà ecclesiastiche contro le dispersioni, che facilmente potevano verificarsi, se il prete aveva famiglia. Tuttavia, il fenomeno era stato assai diffuso nel corso di tutto il Medio evo; nel Cinquecento, nel momento in cui la Riforma aveva assunto nuove dimensioni di sviluppo, la richiesta di autorizzare il matrimonio del clero cattolico era stata rivolta alla Santa Sede dagli stessi imperatori Carlo V e Ferdinando I. Varie erano state le cause della diffusione del fenomeno, certamente le ragioni sociali ed economiche avevano indotto il clero istriano a farsi una famiglia. Se n'era reso conto, prima del Valier, il visitatore apostolico Annibale Grisonio quando, visitando Pinguente, il 15 maggio del 1558, aveva riscontrato che il prete locale Giovanni Niconidis, conviveva con una donna che lo aiutava a vivere "tessendo lei pani de lana" [29].

La popolazione non vedeva nulla di male nel fatto che i sacerdoti convivessero con le loro "massaie" anzi, gli stessi fedeli, in più riprese, avevano sempre difeso i loro curati. Lo stesso Valier in Istria aveva trovato il concubinato ecclesiastico assai diffuso e complessivamente dei 37 sacerdoti esaminati nei territori veneziani compresi nella diocesi di Trieste, 18 furono condannati per concubinato nonché tre muggesani e il rettore di Materada, quest'ultimo non incriminato per l'età avanzata [30].

Il visitatore apostolico aveva lasciato la diocesi di Trieste convinto di avere bene operato anche se consapevole che il vescovo tergestino difficilmente avrebbe potuto intraprendere delle misure efficenti per eliminare il concubinato nella sua diocesi. Tuttavia, lo stesso vescovo Nicolo de Coret aveva informato il Valier di essersi comportato paternamente e di aver tollerato sacerdoti concubinari, pur tuttavia con la minaccia di scomunica, in quanto se avesse voluto condannare all'esilio i preti concubinari, la sua diocesi sarebbe rimasta "vedova" di sacerdoti: "Hactenus egit non severe sed paterne cantra concubinarios attamen cuni comminatione excommunicationis et hoc quia si voluisset exilio mulctare presbiteros concubinarios, viduam sacerdotum suam dioecesim reddidisset"[31].

La maggior parte dei sacerdoti esaminati dal Valier erano stati precedentemente incriminati per gli stessi reati nei 1558 dal capodistriano Annibale Grisonio. Si trattava del pievano di Pinguente Bonifacio Sotolij (Sotolich), ammonito verbalmente per essere stato "dedito al vino, per esser convissuto per circa 20 anni con tale Gerolama, dalla quale ebbe tre figli: Marco, Anna, Pasqua fattasi poi meretrice e Getrica, deceduta dopo il matrimonio." Verrà condannato a tre mesi di carcere con vitto di pane ed acqua ed alla pena pecuniaria di lire 100 da pagarsi prima della scarcerazione, 25 al monastero delle monache di S. Biagio di Capodistria, il rimanente alla Confraternita della S. ma Carità di Pinguente [32].

Giorgio Boiaz, accusato di incontinenza; risultò che da una certa Tomizza di Andrea da Pinguente aveva avuto tre figli: un maschio e due femmine. Anch'egli fu condannato con la privazione del beneficio di coadiutore in Pinguente e ad una nena pecuniaria di lire 50 [33].

Michele Mizarich, pievano di Sdregna, accusato di incontinenza, ammise di aver avuto pratica carnale con una certa Agnia, dalla quale "ha hauuto tre putte fetnine et un Putto maschio". Venne condannato al bando per la durata di 5 anni dalla villa di Sdregna e di tutto il territorio della diocesi di Trieste [34].

Giorgio Badovinich, curato di Sovignacco, condannato, per esser convissuto con una certa Fumiza (Eufemia) dalla quale avrebbe avuto un figlio di nome Giacomo, all'esilio da Sovignacco per un periodo di 10 anni, pena il pagamento di lire 100 ed il carcere di un mese ogni qualvolta avesse violato la sentenza [35].

Francesco Scurizza, curato di Sovignacco, processato per aver avuto due concubine: Catarina, dalla quale ebbe parecchi figli ed Eufemia. Fu condannato al bando da Sovignacco per il periodo di 5 anni [36].

Marco De Gasparinis, parroco di Verchi, accusato di concubinaggio per aver tenuto una concubina di nome Maria, dalla quale ebbe parecchi figli. Anch'egli venne condannato al bando per 5 anni dalla villa di Verchi e ad un mese di carcere ogni qualvolta avrebbe violato la sentenza [37].

Matteo Petrovich, curato di Draguccio, accusato per aver tenuto "in casa una concubina di nome Caterina, dalla quale ha hauuto più figli, l'ultimo dei quali di due anni". Fu condannato all'immediata incarcerazione per il periodo di un mese ed infine sospeso "a divinis" per due anni [38].

Gerolamo Gregorovich o Gorgorovich, curato di Draguccio e precedentemente pievano a Grimalda. Il 6 febbraio 150 aveva lasciato la seguente deposizione: "sono da 13 o 14 anni ch'io ho sempre tenuta in casa mia Orsa...lo incominciai prattica con questa donna quando ero piovano a Grimalda... non ho hauuto figli ne manco essa è mai stata gravida". Fu condannato a due anni di carcere con la privazione di cura d'anime e l'inibizione di somministrare i sacramenti nella diocesi di Trieste [39].

Simili sentenze furono emesse dal Valier contro i sacerdoti-curati di Colmo: Simone Garginich, Bartolomeo Juretich, Francesco Caligarich e Gerolamo Greblo, pievano il primo e cappellani gli altri due di Rozzo; Giovanni Micolevich e Giovanni Zorcovich, pievano e cappellano di Lonche e Marco Dragonich, pievano di Ospo [40].

A partire dalla seconda metà del XVI secolo, anche nell'Istria veneta gli interventi repressivi, intrapresi dai Valier contro ogni deviazione vanno inseriti nel contesto di quel particolare momento storico nel quale la nostra regione si trovava. Era partito per l'Istria con l'intenzione di estirpare decisamente e con ogni mezzo qualsiasi abuso, in modo particolare combattere il malcostume dei canonici, specialmente quelli che vivevano in evidente trasgressione del diritto canonico intorno alla residenza del vescovo. Nel corso di tutta la visita in Istria il Valier, esecutore scrupoloso e fedele del pensiero della Chiesa cattolica in quel particolare momento storico, non aveva mai usato azione di forza disgiunta da efficace azione pastorale. Egli era partito per l'Istria non solamente con giudici, ma anche con valenti predicatori e confessori per rendere più efficace il suo lavoro [41].

Particolarmente impegnativo si dimostrò il lavoro intrapreso dai collaboratori del Valier nella diocesi di Pola. Infatti, nel corso del 1580 venivano istituiti processi per eresia nelle parrocchie di Albona, Dignano, Sissano e Fianona. Il saggio di Armando Pitassio, incentrato sulle vicende religiose nelle località menzionate, dimostra come sul finire del XVI secolo il concubinato fosse ancora persistente nella nostra regione. Il fenomeno, precedentemente sottolineato anche dal vescovo di Pola, Antonio Elio, come appare da uno scambio epistolare fra il cardinale Alessandrino e il nunzio a Venezia, vescovo di Nicastro, trovava riscontro in tutta una serie di processi istituiti nella seconda metà del '500 contro i sacerdoti locali e portava, nello stesso tempo, alla scoperta di un folto gruppo di persone su posizioni eterodosse, nonché di stabili legami tra un cenacolo di riformati che trovava ospitalità presso Francesco Barbo, signore di Cosliaco nella Contea d'Istria asburgica.

I verbali del Valier attestano l'incertezza politica, la miseria economica, accompagnata e causata al tempo stesso dai correnti scontri militari tra l'Austria e Venezia e le frequenti calamità naturali, epidemie di peste, malaria, che in più riprese avevano investito, in modo particolare, l'Istria centro-meridionale, ma anche molti atteggiamenti anticattolici e, di conseguenza, ii ricorso della popolazione locale al sovrannaturale unico momento di certezza che però si manifestò in modi diversi da quelli raccomandati dalle autorità ecclesiastiche superiori [42].

Mentre l'ortodossia trionfava su tutto il territorio della Repubblica di Venezia grazie all'applicazione delle deliberazioni tridentine e all'opera repressiva dell'Inquisizione veneta, il Valier, nel corso della sua visita compiuta nelle diocesi istriane nel corso del 1580, aveva istituito numerosi processi per eresia specialmente nelle parrocchie di Albona, Dignano, Sissano e Gallesano. Tali processi dimostrano che il movimento ereticale, verso la fine del XVI secolo, continuava a persistere e prosperare nella nostra regione nonostante le misure repressive intraprese dagli stessi vescovi nelle rispettive diocesi istriane. Tra i sacerdoti inquisiti ricorderemo: Giovanni Hasportic, Giovanni Libric e mastro Melcinic di Albona; Pasqualino de Fabris, Beltramo de Rota, Pasquale Pasquali e Giacomo Cineo, canonici di Dignano. Il cenacolo dignanese, al quale possiamo aggiungere anche i membri della famiglia dei Callegher, Giovanni de Paolis, Pasqualino Velico, Andrea e Berto Cineo, pre' Biagio Tesser, verrà denunciato dallo stesso visitatore apostolico di Verona, Agostino Valier. In base a questa denuncia e ad altre, giunte al vescovo di Pola Matteo Barbabianca, nel 1580 venivano incarcerati Santo, figlio di Marco Callegher o Callegaro e Berto Cineo; il 13 maggio 1584, Andrea Callegher verrà condannato a morte e giustiziato per annegamento nella laguna veneta; Giovanni de Paolis, Andrea Cineo a varie condanne al carcere. Il processo contro il cenacolo dignanese pose fine alla persistenza di posizioni eterodosse nella maggior parte delle parrocchie nella diocesi di Pola [43].

Ad Albona, il 20 gennaio 1580, veniva intentato un processo contro il calzolaio locale Giovanni Libric. L'auditore Taffello, incaricato dal Valier di istituire il processo, ebbe l'opportunità di conoscere a fondo le sue credenze; infatti, per l'imputato " (...) il sangue di Christo non ha fatto tutto quello che è necessario" sicché era inutile invocare I santi e pregare per i morti. Non ammetteva l'esistenza del Purgatorio, inutili sarebbero state le indulgenze concesse dal papa, assurde le astinenze, istituite non da Dio bensì dal papa. Anche in questo caso, come a suo tempo per il Pagović, ci si trova di fronte alla negazione di una qualsiasi presenza divina nell'eucarestia, precedentemente riscontrata nei processi nella diocesi polese che, in un certo qual modo, testimonia che la propaganda vergeriana in Istria a favore delle tesi luterane aveva avuto successo limitato. L'imputato aveva partecipato a varie riunioni della comunità di Cosliaco e fu denunciato per aver letto libri sospetti. Infatti, mastro Melcinic testimoniò di aver visto ed ascoltato l'imputato "(...) legger un libretto qual era heretico et disse hauuto de Lemagna et egli non osava mostrarlo (...) et me lo lesse nella sua bottega". Possediamo solamente l'istruttoria del processo, in quanto il, 21 gennaio 1580, dovendo il visitatore allontanarsi da Albona, aveva demandato al vescovo di Pola il compito di portare a termine il processo [44].

Anche a Dignano, il visitatore ebbe l'opportunità di scoprire che gli appartenenti al cenacolo locale, negavano l'autorità del papa, l'intercessione ed il culto dei santi, la validità delle opere, della messa, della confessione, la giustezza delle astinenze e dei digiuni. Berto Cineo, ad esempio, affermava che nell'ostia consacrata "(...) non vi sia il corpo di Christo... non è altro che unpuoco di pasta con farina "; e Giovanni de Paolis, ai compaesani che si apprestavano a comunicarsi: " (...) che voi credete che in quell'hostia gli sia il corpo di Christo? Voi .siete ignoranti a creder queste cose"; mentre Andrea Callegher affermava "(...) che sono solamente dui sacramenti della chiesa, cioè il Battesimo ed il Matrimonio", che credeva solamente nel Vecchio Testamento e neppure in tutto ma soltanto in alcune parti di esso [45].

Il cenacolo dignanese aveva una propria organizzazione; eleggeva annualmente un gastaldo e la loro forza era rappresentata da una cinquantina di membri o sostenitori che costantemente cercavano di espandersi anche nelle zone circumvicine. Tuttavia, quando a Dignano giunse il Valier, la maggior parte dei membri del gruppo furono immediatamente denunciati. II processo al cenacolo dignanese pose definitivamente fine alla persistenza di posizioni eterodosse nel la parte veneta della diocesi di Pola. Nemmeno l'appoggio diretto delle nobili famiglie del luogo, come quella dei Barbo, dei De Petris di Cherso, bastava più a mantenere in vita i circoli contestatori della chiesa cattolica. Dopo i numerosi processi che il Valier aveva istituito nella seconda metà del XVI secolo, i gruppi eterodossi di Dignano, Pola e Albona, avevano continuato ancora, per un breve periodo, a vivere e prosperare; tuttavia, la materia di fede era ormai diventata monopolio di cerchie sempre più ristrette ed erano destinate con il tempo a scomparire. La nuova parola in materia di fede diventò così monopolio di singole persone, isolate tra loro, mentre il resto della popolazione accoglieva con entusiasmo l'idea che per essa aveva la chiesa postconciliare.

La comunità di Cosliaco dopo il 1580 dovette interessare esclusivamente i riformatori della parte asburgica della diocesi di Pola anche perché, dopo la pacificazione religiosa di Bruck fra Carlo II e gli Stati provinciali di Stiria, Carinzia e Carniola si permetteva la libertà di culto in queste regioni, ma la contea d'Istria non venne compresa nell'accordo.

Dai verbali del Valier possiamo constatare che il lavoro dei sacerdoti quali curatori d'anime nella diocesi di Pola era stato sempre condiviso e lodato dalla popolazione locale; infatti, quando, in diverse occasioni aveva avuto l'opportunità di interrogare gli abitanti del luogo circa il comportamento dei loro sacerdoti, essi non avevano mai assunto un atteggiamento censorio per un certo tipo di colpe come l'ignoranza, il concubinato, ecc. La convivenza con le domestiche era diventata ormai costume secolare tra il clero e il fenomeno veniva tollerato dalla popolazione locale. Il vescovo quindi, agiva solamente nel caso di particolari deviazioni suscettibili di disturbare l'equilibrio di un "modus vivendi" accettato dalla collettività intera. Condannare all'esilio perpetuo i sacerdoti accusati di concubinaggio o privarli dell'abito talare, significava per le diocesi rimanere privi di curatori d'anime; "Se volessi condannare all'esilio i sacerdoti concubinari, la mia diocesi rimarebbe vedova" aveva asserito il vescovo della diocesi di Trieste Nicolo de Coret al Valier durante la sua visita alla diocesi triestina [46].

Al Valier, in ogni caso, va il merito di aver saputo ridestare un nuovo atteggiamento nel clero e nel popolo verso i problemi della morale cattolica in tutte le diocesi della nostra regione sotto il governo veneto. Nell'Istria asburgica invece, come pure presso il gruppo protestante fiumano, il movimento eterodosso aveva continuato a vivere e prosperare; tuttavia, quando agli inizi del XVII secolo arrivarono a Fiume i primi Gesuiti, questi, come afferma il Pitassio ebbero modo di ridurre al cattolicesimo alcuni tra i rappresentanti del movimento ereticale; in realtà, si trattava delle ultime manifestazioni del movimento riformatore protestante che avevano interessato direttamente i paesi ereditari austriaci e che l'arciduca Ferdinando, con l'aiuto dei suoi consiglieri, Giorgio Stobeo, vescovo di Lavant e Martino Brenner, vescovo di Seckau, si era incaricato definitivamente di stroncare verso la fine del '500 [47].

Tale politica Asburgica di appoggio diretto alla Chiesa per ristabilire l'ordine e l'ortodossia nei domini ereditari ebbe, "come controparte utilissima, l'appoggi] dei Gesuiti con un'azione efficace nello spirituale quanto nel temporale, a tutto danno però delle autonomie tradizionali e delle libertà degli Stati provinciali". Secondo G. Cuscito, il moltiplicarsi dei collegi gesuitici ai confini della Giulia, da Graz (1572) a Lubiana (1596), a Gorizia (1614), a Trieste (1619), e a Fiume (1627), sembra rivelare un preciso disegno studiato per reprimere l'eresia in loco e peri elevare una sorte di cordone sanitario attorno alla Repubblica di Venezia, contraria - com'è noto - ai Gesuiti e alla politica curialistica e considerata addirittura filoriformista [48].

Il collegio dei Gesuiti fu istituito a Fiume nel 1540, e già nel 1556 la compagnia contava mille membri distribuiti in dodici provincie. Aiutati finanziariamente e materialmente dai principi, i Gesuiti fondarono il loro collegio secondo un programma ben stabilito dalla Chiesa e precisamente mirante a "mettere argine alla diffusione del protestantesimo e di educare ia gioventù e, in breve tempo, i Gesuiti pervennero in tanto credito, che l'educazione della gioventù nobile veniva quasi esclusivamente affidata a loro, e il popolo li guardava come suoi benefattori. Avendo essi saputo cogliere lo spirito di quel tempo, "erano considerati come liberali di fronte ad altri ordini monastici, che conservavano lo spirito dei secoli passati" [49].

L'imperatore Ferdinando II, l'8 aprile 1625, aveva concesso al collegio dei Gesuiti "la metà della decima del vino, delle granaglie e degli agnelli, la qual metà Fiume prestava al sovrano erario". Tuttavia, il 16 agosto 1627 vennero a Fiume due Gesuiti per gli opportuni provvedimenti, e furono accolti nell'abitazione del fiumano Giovanni Agatich, vescovo di Segna. In tale occasione, il Consiglio municipale assegnava al collegio "annui f. 200 per l'insegnamento, e pel culto divino la chiesa di S. Rocco, alla quale apparteneva una casetta con orto. Su ciò fu redatta formale scrittura il 2 ottobre, e nello stesso giorno fu consegnata la chiesa al P. Lorenzo Grisogono, primo rettore del collegio fiumano. Questo vincolo della città di Fiume, fu approvato colla sovrana patente del 31 luglio 1633 [50].

   
Orsola contessa Thonahausen, Fondatrice del Collegio dei Gesuiti in Fiume.
 

Particolarmente rilevanti furono le donazioni al collegio effettuate dalla contessa Orsola, vedova di Thonhausen, nata baronessa di Holneg. Suo marito, Baldassare conte di Thonhausen, il quale possedeva nella Stiria rilevanti domini avendo acquistato nel 1613 la signoria di Castua, nel 1625 la donava al collegio di Gesuiti allora fondato in Judenburg. Dopo la sua morte, l'amministrazione di questa signoria "in paese lontano essendo presto divenuta onerosa a quel collegio esso ne fu sollevato dalla contessa vedova, che ricomprò il dominio per f. 40000 germanici, e con atto del 29 settembre 1630 la donò al collegio di Fiume pel suo mantenimento, aggiungendovi f. 10000 in contanti per la fabbrica del convento." Questa donazione, approvata il 10 marzo 1633 con diploma dell'imperatore Ferdinando II, sanzionava la fondazione della Società dei Gesuiti: "Abbiamo trovato d'introdurre nella nostra città di Fiume la società dei Gesuiti onde provvedere al vantaggio della Liburnia, dell'Istria e della Dalmazia, e di fatto, sopra desiderio e domanda della città e con grande applauso dei popoli, li abbiamo colla nostra autorità introdotti nell'anno 1627, e prestato loro opportuni aiuti per incominciare il collegio" [51].

I Gesuiti del collegio fiumano furono operosi sul pulpito e nella scuola, utili consiglieri negli uffici pubblici e privati e sostenitori energici dei propri diritti. Il rettore "eletto per tre anni e rieleggibile sovrastava il collegio e lo rappresentava al di fuori; egli era considerato dalle autorità come vero signore terrestre e giusdicente di Castua; mediato superiore scolastico e del convitto era un reggente, il quale aveva anche da amministrare i fondi detti del seminario [52].

Tuttavia, l'esperienza dell'ordine già in atto a Gorizia, Graz, Klagenfurt, Lubiana e a Trieste, indicava nell'insediarsi anche nella nostra regione della Compagnia di Gesù, ed in particolare nella loro attività scolastico-educativa del Collegium, la principale strumentazione per l'avvio di una organica opera di riforma cattolica. Già nel 1633 era stato aperto a Fiume il ginnasio di sei scuole latine con tre professori, e nel 1725, avendo la municipalità aumentato il sussidio di altri 100 fiorini annui, vi fu aggiunta la filosofia e poco dopo la cattedra della pastorale; in tal modo la gioventù di Fiume e della zona circostante, che si applicava allo studio della teologia, della legge e della medicina, poteva terminare in soli tre anni il corso degli studi in qualche università [53].

Inoltre, ad istruire la gioventù "nei buoni costumi, nelle scienze e nelle arti liberali", aveva contribuito pure il Convitto aperto grazie alla sopra menzionata contessa di Thonhausen Orsola con atto, datato a Graz il 4 aprile 1646, e ne aveva affidato la cura ai PP. Gesuiti [54].

Tuttavia, dopo duecento anni di esistenza, l'ordine dei Gesuiti aveva deviato dalle norme della sua istituzione, e la sua attività aveva destato "l'invidia dei popoli commercianti". Essendo riuscite vane tutte le pratiche per un radicale cambiamento di sistema, gli stati europei di fede cattolica più importanti, quali la Francia, la Spagna, il Portogallo e il Regno di Napoli avevano espulso i Gesuiti dai loro stati tra il 1759 e il 1767. In Austria ed in Germania la smobilitazione fu più lenta ma in ogni caso inarrestabile. Il 21 luglio 1773, il pontefice Clemente XIV, per dare pace alla Chiesa, soppresse la Compagnia di Gesù con il breve Dominus ac Redemptor, mentre era Preposito Generale il padre Lorenzo Ricci, eletto nel 1758. La bolla di abolizione dell'Ordine terminava con le seguenti parole: " maturo consilio, ex certa scientia et plenitudine potestatis aspostolicae saepedictam societatem extinguimus et suprimimus, tollimus et abrogamus omnia et singula ejus officia, ministeria et administrationes, domus, scholas, collegia, hospitia,... et loca quaecumque quavis in provincia, regno et ditione existentia, modo quolibit ad eam pertinentia [55].

Codesta bolla, la cui esibizione per gli stati fu ammessa il 13 settembre dello stesso anno dall'imperatrice e regina Maria Teresa, salvi i diritti regi e dello stato politico, arrivò a Fiume il 22 settembre, e quindi ne conseguì la chiusura del Collegio. Siccome la fondazione del collegio dei Gesuiti e del seminario o convitto a Fiume aveva avuto lo scopo di istruire la gioventù, e siccome nel corso dell'attività dei Gesuiti i beni destinati per il collegio e per il convitto erano amministrati separatamente così, dopo l'abolizione dell'ordine, Sua Maestà aveva disposto che tali beni fossero adoperati per il mantenimento a Fiume del ginnasio e della chiesa di S. Vito. Tuttavia, i capitali provenienti dalla facoltà del collegio vennero a formare il fondo degli studi e il rispettivo fondo convittuale [56].

 
Altare maggiore della Chiesa di San Vito.

I Gesuiti a Fiume, come del resto a Trieste, Gorizia, Lubiana e Graz, si servirono della predicazione, della catechesi e dell'istruzione in modo straordinario abile e intelligente per la conversione ed in genere per il consolidamento della fede cattolica nella popolazione. Dato l'elevato numero dei rettori, dei padri Gesuiti inserito nel libro della pia Congregazione del Crocifisso di S. Vito, dei magistri, come pure la gran quantità di mansioni svolte a Fiume e nella regione, il numero dei religiosi componenti il collegio doveva essere assai grande. In seno al nucleo urbano essi rappresentavano una comunità decisionale chiusa in se stessa, con un'organizzazione esemplare. Non mancavano tuttavia le questioni dei Gesuiti con la municipalità di Fiume circa la vendita minuta del vino della decima, che il collegio intraprendeva iniziando dal primo del mese di aprile di ogni anno. Tale privilegio era stato concesso dal sovrano diploma del 31 luglio 1633 che concedeva ai Gesuiti la facoltà di fissare il prezzo del vino senza pagare il dazio. Inoltre, la municipalità aveva contestato all'Ordine il terreno dove avevano costruito il collegio nei pressi "della vicina acqua Lesnjak" [57]. Un'altra lite tra i Gesuiti e la municipalità, che il collegio superò con accomodamento, fu quella degli stati provinciali della Carniola inerente il pagamento di "steore" per la signoria di Castua, da cui il collegio "si esimeva sostenendo che Castua non è ingremiata alla Carniola". La lite, tuttavia, venne risolta nel 1664; gli stati provinciali "rinunziavano al debito per gli anni decorsi, il collegio si vincolava di pagare in futuro a titolo di steora castuana annui f. 500 in buona moneta germanica e di riconoscere per sua autorità secolare il capitanato ducale nelle relazioni del dominio di Castua [58].

Il Collegio fiumano dei Gesuiti rappresenta un esempio eccellente di lavoro, fecondo e pieno di abnegazione, di ricercatori, magistri e professori che non appartenevano soltanto alla nostra regione. I risultati conseguiti nei più svariati campi della loro attività, parte integrante del programma della Compagnia di Gesù, vanno, tuttavia, messi in correlazione anche con la storia culturale della stessa regione istriana che, nel periodo preso in considerazione, gravitava tra i due grandi centri di produzione letterario-artistica quali erano Vienna e Venezia.

Il lavoro che il visitatore apostolico veronese Agostino Valier era riuscito a portare a termine con successo, verso la fine del XVI secolo nella parte veneta dell'Istria, ridestando un nuovo atteggiamento nel clero e nel popolo verso i problemi della morale cattolica, venne continuato e completato dai padri Gesuiti, accolti con tutti gli onori dalle popolazioni che andarono a visitare. A Fiume, ad esempio, i loro discorsi erano stati sempre ascoltati da una numerosissima folla "(...) ut templum alioqum amplissimum non sufficeret [59], che appunto testimonia l'importanza della loro attività pedagogico-culturale, delle loro istituzioni e della loro missione.


Note:

  1. Cfr. H. A. L. Fisher, Storia d'Europa, Milano, vol. Il, 1966, p. 105-118; AA.VV., Grande dizionario enciclopedico UTET, vol. XVI, Torino, 1971, p. 4-8; AA.VV, Enciclopedia europea, vol. VI, Milano, 1978, p. 99, 180-182: " (...) Furono i sovrani Ferdinando e Isabella a chiedere al papa Sisto IV nel 1478 il ripristino del tribunale inquisitoriale ottenendo la facoltà di designare essi stessi gli inquisitori: si costituì così un'organizzazione di tipo nazionale, prima per il regno di Castiglia poi anche per l'Aravano, a capo della quale era pinquisitore generale; al suo fianco un organo collegiale, il consiglio della 'Suprema'", con il compito di garantire un ulteriore legamo con gli altri consigli reali e la monarchia." In Italia invece, in seguito alla formazione dei blocchi religiosi contrapposti, il papato non solo restaurò i tribunali inquisitoriali, ma creò in Roma una commissione di cardinali '"caricati di coordinare tutti gli interventi repressivi nei confronti degli eretici, la congregazione della romana e universale inquisizione o Sant'Uffizio. Istituita da Paolo III nel 1542, essa si sviluppò nei decenni successivi e divenne uno dei perni della controriforma, ampliando la sfera di competenza durante i pontificati di Paolo IV e Pio V, fino ad affermarsi, come la prima di tutte le congregazioni nella riorganizzazione della curia romana, con Sisto V. L'Indice dei libri proibiti, elenco ufficiale di pubblicazioni ritenute contrarie alla fede o alla inorale, fu pubblicato per la prima volta con intenzioni di compiutezza nel 1559 dal Sant'Uffizio, sotto Paolo IV Carafa. Nel 1571 fu creata la congregazione dell'Indice, strettamente legata a quella del Sant'Uffizio, e incaricata di compilare e aggiornare l'Indice stesso. Tale congregazione fu assorbita dal Sant'Uffizio nel 1917, mentre l'Indice dei libri proibiti è stato abolito da Paolo VI nel 1965; con il motu proprio Integrae servandae, ha pubblicato il nuovo statuto del Sant'Uffizio, la cui denominazione viene cambiata in quella di sacra congregazione per la dottrina della fede." Cfr. pure D. Cantimori, "Recenti studi intorno alla riforma in Italia e ai riformatori italiani all'estero", Storici e storia: interpretazioni della riforma protestante, Torino, 1971, p. 19; M. Mieggge, II protestante nella storia, Torino, 1970; C. Church, I riformatori italiani, Firenze, vol. II ( 1935); A, Agnelli, "Recenti studi sulla visita in Istriadi Agostino Valicr", Atti del Centro di ricerche storiche (=ACRSR), Trieste-Rovigno, vol. VI (1975-1976), p. 201-221; A. Miculian, "Contributo alla storia della Riforma protestante", in ACRSR, vol. X, (1979-1980), p. 217-230; C. Cantit, Storia universale, tomo VIII, Torino, 1888, p. 376-377; L. von Pastor, Storia dei papi, vol. VI, Roma, 1922, p. 491-494.
  2. Cfr. H. A. L. Fisher. op. cit., p. 166.
  3. Cfr. Enciclopedia europea, cit., vol. IlI (1979), p. 725-726.
  4. La loro passione per il progresso religioso trovò in Italia un campo più pratico. Pronunciarono voti di obbedienza, furono ordinati preti, presero il nome di Compagnia di Gesù e finalmente, ii 27 settembre 1540, ottennero dal papa Paolo III la bolla Regimini militanlis ecclesiae, con cui si riconosceva la fondazione dell'Ordine dei Gesuiti. Cfr. G. Cervani, "Note sulla storia del collegio dei Gesuiti in Trieste. Le carte dell'Archivio di Stato relative alla soppressione del 1773", Italia del Risorgimento e mondo danubiano-balcanico, Udine, 1958; G. Cuscito, "II ritorno dei Gesuiti e la nuova parrocchia dei S. Cuore a Trieste", Miscellanea di studi giuliani in onore di G. Cervani per il suo LXX compleanno, Udine, 1990; B.Ziliotto, "La vita e l'opera di Antonio Zara nel quadro della Controriforma asburgica", Atti e Memorie della Società Istriana di archeologia e storia patria, (=AMSl), Trieste, vol. II (1952); S. Cavazza, "Primoz Trubar e le origini del luteranesimo nella Conica di Gorizia 1563-1565", Studi Goriziani, Gorizia, vol. LXI (1985); G. C. Sommavilla, La Compagnia di Gesù, Milano, 1986; G. Trebbi, Francesco Barbaro, patrizio Veneto e Patriarca di Aquileia, Udine, 1984.; AA. VV, I Gesuiti e gli Asburgo. Presenza della compagnia di Gesù nell'area meridionale dell'Impero asburgico nei secoli XVII-XVIII, Trieste, 1985. Per quanto riguarda l'iniziativa di Loyolae i privilegi dei Gesuiti, vedi H. A. L. Fisher, op. cit., v. II, p. 166-168; e C. Cantù, op. cit., p. 370-376. Cfr. anche L. von Pastor, op. cit., vol. V (1914), p. 354-431 e vol. VI, (1922), p. 125-146.
  5. Nel combattere il protestantesimo, che minacciava l'unitàdogmaticad'Italia, Giulio III, seguì totalmente le orme del suo predecessore. Uno dei primi atti del suo governo fu la conferma dell'Inquisizione romana nuovamente fondata dal papa Farnese. Il 27 febbraio 1550 nominò membri di questo tribunale sei cardinali: Cupis, Carata, Sfondrato, Morone, Crescenzi e Pole. l'Inquisizione romana doveva essere dunque un'autorità centrale Per tutti i paesi della cristianità. A tale riguardo cfr. L. von Pastor, op. cit., vol. VI, p. 146-154, 478-489 e il Privilegio di papa Paolo IV per gli officiali dell'Inquisizione romana, p. 640-642. Idem., Motuproprio di Papa Pio IV a favore dell' Inquisizione romana, Roma, vol. VII (1923), p. 627-628 e Motuproprio di Papa Pio IV per gli otto cardinali dell'Inquisizione romana, p. 632-635. Cfr. anche C. Cantù. op. cit., tomo VIII, p. 377.
  6. H. A. L. Fisher, op. cit., p. 168. Vedi pure C. Cantù", op. cit., tomo V III, p. 374-380. Il Concilio si tenne a Trento (1545-1563) sotto la presidenza di tre legati di Paolo III ch'egli intitolò "angeli della pace"; si trattava di Gianmaria Ciocchi dal Monte e Martello Cervini, italiani, che in seguito divennero papi, e Reginaldo Polo inglese. Scopo del Concilio rappresentava l'estirpazione delle eresie, l'emenda dei costumi e della disciplina, e la concordia fra i principi cristiani.
  7. Cfr. C Cantù, op.cit, p. 375 e nota 10. "(...) Sarebbe da riportarsi intera la serie dei trentatrè canoni dogmatici della Sessione VI; ne poniamo qui tre soli, i quali potranno invogliare di leggere il contesto dottrinale e l'intera serie degli anatemi tridentini contro gli errori nel tema della Grazia, del libero arbitrio, della necessità o possibilità della umana cooperazione, della perseveranza e del merito delle buone opere, ecc.:

    Can. III.- Si quis dixerit, sine praeveniente Spiritus Sancti inspiratione, atque ejus adutorio, hominem credere, sperare, diligere ani poenitere posse, sicut oportet, ut ei justificationis grada conferatur; anathema sit.

    IV.- Si quis dixerit, liberum hominis arbitrium a Deo motum, et excitatum nihil cooperari assentendo Deo excitanti atque vocanti, quo ad optinendam justificationis gratiam se disponat ac praeparet; neque posse dissentire, si velit; sed veluti inanime quoddam nihil omnino agere, mereque passive se habere: anathema sit.

    XVII.- Si quis justificationis gratiam nonnisi praedestinatis ad vitam conlingcre dixerit; reliquos vero omnes, qui vocantur, vocari quidem, sed gratiam non accipere, utpote divina potestate praedesitnatos ad malum: anathema sit.

    XIX.- Si quis dixerit, nihil praeceptum esse in Evangelio praeter fidem; cetera esse indifferentia, neque praecepta, neque prohibita, sed libera; aut decem praecepta nihil pertinere ad Christianos; anathema sit.". Per quanto riguarda la riapertura del concilio di Trento, sessioni 17-22 (1562-63), cfr, L. von Pastor, Storia dei papi, cit., vol. VII ( 1923), p. 192-236 e la conclusione del concilio tridentino e la sua importanza, p. 236-272.

  8. Tuttavia già precedentemente Paolo IV, istituendo i Teatini e rinunciando al vescovado per entrarvi, aveva combattuto a Trento per la parte più rigorosa, e si era meravigliato al vedersi elelto; allora, richiesto del come voleva essere trattato, aveva risposto: da gran principe e "trascinato in guerra dal desiderio di vedere sbrattata l'Italia dai forestieri, vi si mostrò mondano - Riformazione", un cardinale ebbe a dirgli: - Padre santo, la riformazione deve cominciare da noi ". Allora la verità nascosta gli si palesa; conosce i disonesti portamenti dei suoi nipoti, e li caccia d'impiego e di città; con grazie e con libertà rassicura i Romani; incoraggialo studio della diplomatica, facendo raccogliere documenti; poi s'accinge all'emendazione. Potè vantarsi di non aver passato giorno senza fare un ordine per purificare la Chiesa, e gli fu coniata una medaglia, portando Cristo che caccia dal tempio i profanatori. Cfr. C. Cantù, op.cit. p. 376.
  9. Cfr. Istria. Storia di una regione di frontiera, a cura di F. Salimbeni, Brescia, 1994, p. 90-91.
  10. Ibidem, p. 91-92. 1 lavori eseguiti dal Concilio di Trento sono riassunti in un'orazione latina, recitata nell'ultima sessione del vescovo Girolamo Ragazzoni, veneziano, Cfr. C. Cantù, cit., tomo VIlI, p. 381-383 e nota 20. Sull'importanza delle visite apostoliche, sull'attuazione dell'obbligo della residenza, sulla scelta dei vescovi, sull'azione riformatrice di vescovi italiani e sull'azione sinodale di Carlo Borromeo, cfr. L. von Pastor, Storia dei Papi, vol. IX {1925), p. 51-71.
  11. Ibidem, L. von Pastor, Storia dei Papi, vol. IX, p. 51. Su chi ne facesse parte in seguito, vedi in Appendice n. 14 la relazione del 1574.
  12. L'Archivio Segreto Vaticano, conserva una lunga serie di volumi che attestano il lavoro instancabile di Gregorio XIII nel promuovere la riforma di Trento attraverso le visite apostoliche. I verbali di queste rappresentano oggi fonti primarie, poiché esse con molta precisione trattano dello stato economico e morale delle diocesi, ci danno un'immagine delle condizioni religiose, dello stato materiale e della preparazione dei canonici nelle rispettive diocesi. Cfr. Istria, cit. p. 90-91.
  13. Babudri, "Parenzo nella storia ecclesiastica", in Parenzo per l'inaugurazione del nuovo palazzo del comune. Parenzo, 1910, p. 137-139.
  14. Ibidem, p. 138-139.
  15. Cfr. Istria, cit., p. 87-88. Per quanto riguarda l'Istria cfr E. Prandini - R. Bellamolla, "Le visite del Valier nelle diocesi istriane", tesi di laurea, Università di Padova, a.1969-70; L. Parentin, "La visita apostolica di Agostino Valier a Cittanova d'Istria (1580)", AMSI, vol. XCIV (1994), p. 155-161; A. Miculian, "Eusebio Caimo: visita alle chiese della diocesi di Cittanova (1622-1623)", ACRSR, vol. XIX (1988-89), p. 143-180; Idem, "Giannantonio Sintich e la visita alla diocesi di Veglia (1796)" ACRSR, vol. XXII (1992), p. 347-376; Idem, Agostino Valier: Chiese e confraternite di Buie nella seconda metà del XVI secolo". Aria Bullearum, Atti del convegno internazionale di studi Buie, 26-28 IX, 1997, Buie, 1999, p. 153-160; I. Grah, "Izvještaj novigradskih biskupa Svetoj Stolici (1588-1808) - I" / Relazioni dei vescovi di Cittanova alla Santa Sede, 1588-1808 /, Croatica Chistiana {=CC), Zagabria, n. 16(1985), p.63-92e 17, (1986), p. 113-147; ldem."lzvještaj pulskih biskupa Svetoj Stolici (1592-1802)" / Relazioni dei vescovi di Pola alla Santa Sede, 1592-1802 /, CC, n. 20, (1987), p. 26-67 e 21 (1988), p. 63-106.
  16. A tale riguardo, cfr. A. Miculian, "Contributo alla storia delia riforma protestante in Istria -  I", ACRSR, vol.X (1979-1980), p. 215-232 e volumi seguenti. A. Pitassio," Diffusione e tramonto della Riforma in Istria: la diocesi di Pola nel '500", Annali della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Perugia, Perugia, n. 10 (1970), p. 7-65. L. e M. M. Tacchella, II cardinale Agostino Valier e la riforma tridentina nella diocesi di Trieste, Udine, 1974; A. J. Schutte, Pier Paolo Vergerio e la Riforma a Venezia (1498-1549), Roma, 1988; L'umanesimo In Istria, Atti del Convegno internazionale di studio di Venezia, 30 marzo - 1 aprile 1981, a cura di V. Branca e S. Graciotti, Firenze, 1983, 203-214; P. PASCHINI, Eresia e riforma cattolica al confine orientale d'Italia, Roma, 1952. D. Cantimori, Prospettive di storia ereticale in Italia nel Cinquecento, Bari, I960; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Firenze, 1967, p. 77 e 79; A. Agnelli, op. cit., p. 201-211;F. Schuller, "La Riforma in Istria", Pagine Istriane, Trieste, 1950, n. 4; G. Cuscito," Sinodi e riforma catlolica nella diocesi di Parenzo", AMSI, vol. XXIII (1975), p. 113-223.
  17. Cfr. L. e M. M. Tacchella, op. cit., p. 85-91. Da tenere presente che il Valier era stato in precedenza nominalo, sempre da Gregorio XIII, visitatore apostolico per le diocesi della Dalmazia - breve 8 ottobre 1578 —. Compito né facile né agevole in quanto, in quella provincia ecclesiastica egli avrebbe dovuto recarsi per rendersi conto "de visu" dello stato reale delle diocesi e delle singole parrocchie, e prendere quindi quei provvedimenti disciplinari che fossero risultati necessari. Le lettere che il visitatore scrisse a S. Carlo dalla Dalmazia, fanno fede della bontà del suo operato. A questo fine il Valier ebbe l'opportunità di avere collaboratori preparati, si trattava di valenti sacerdoti condotti con sé da Verona, quale l'auditore Taffello de Taffelli, dotto canonista. In Dalmazia, il Valier aveva trovalo spesso siluazioni catastrofiche relativamente alla condona morale del clero e si era reso conto che anche in Dalmazia la riforma dei costumi doveva essere intrapresa operando con estrema decisione in una sola direzione, quella del clero. Rimase lontano dalla sua diocesi per sette mesi e sede giorni, come egli stesso comunicava con lettera del 13 luglio 1579 a S. Carlo. Nella stessa aveva informato l'arcivescovo di Milano, che mentre si trovava a Veglia, ultima delle 12 diocesi visitate in Dalmazia (Budua, Cattaro, Spalato, Nona, Traù, Sebenico, Zara, Curzola, Lesina, Ossero, Arbe e Veglia), aveva ricevuto un altro breve in data 6 giugno 1579 da parte di Gregorio XIII, con il quale il Papa gli affidava l'incarico di visitare anche le diocesi dell'Istria. Inoltre, il Valier visitò pure le diocesi di Antivari e Cherso. Sulla visita del Valier in Istria (Parenzo e Pola) vedi M. Pavat, La Riforma Tridentina del clero a Parenzo e Pola, Roma, 1960. Per quando riguarda la visita a Capodistria vedi A. Lavrić, Vizitacijsko poročih Agostina Valiera o Koprski Škofiji iz leta 1579 — Istriae visitatio apostolica 1579. Visitatio Iustinopolitana Augustini Valerii, Lubiana, 1986, p. 13-201.
  18. L. von Pastor, Storia dei papi, cit, vol. IX, p. 59-60.
  19. Cfr. L. e M. M. Tacchella, op. cit., p. 107 e nota 90.
  20. Archivio Segreto Vaticano, Sacra Cong. Concilio, 1579 Istriae, Visitatio Apostolica.
  21. A. Pitassio, op. cit. p. 7-65.
  22. A. Miculian, "Contributo", cit. p. 217-230, e volumi seguenti.
  23. C. De Franceschi, L'Istria. Note storiche, Parenzo, 1879; E. Ivetic, L'Istria moderna. Un'introduzione ai secoli XV!-XVII, Trieste-Rovigno, 1999 (Collana degli Atti del Centro di ricerche storiche. n. 17); G. Cervani - E. De Franceschi, "Fattori di spopolamento nell'Istoria veneta nei secoli XVI e XVII", ACRSR. vol. VI (1973): M. Bertoša, Jedna zemlja, jedan rat. Istra I6I5-16I8 / Una terra, una guerra. L'Istria 1615-1618 /, Pola, 1986: Idem, Mletačka Istra u XV! i XVII stoljeću / L'Istria veneta nel XVI e XVII secolo /, Pola, 1986, p. 13-56; Idem. Istra: doba Venecije (XVI-XVII stoljeće) / Istria: l'epoca veneziana (XVI-XVII secolo) /, Pola, 1995, p. 17-59: B. Schiavuzzi, "Le epidemie di peste bubbonica in Istria", AMSI, vol. VI, f. 3-4, (1888), p. 423-446. Alla fine del saggio riporta il Prospetto cronologico di peste bubbonica nell'Istria e Trieste dall'anno 192 fino al 1632, p. 447: Idem, "La malaria in Istria. Ricerche sulle cause che l'hanno prodotta e che la mantengono", AMSI, v. V, f. 3-4 (1889), p. 319-472; L. Parentin, "Cenni sulla peste in Istria e sulla difesa sanitaria", Archeografo Triestino (=AT), Trieste, s. IV, v. XXXIV (1974), p. 7-18.
  24. Cfr. G. Trebbi, op. cit., p. 308-309; G. Cuscito, "Smodi e riforma cattolica nella diocesi di Parenzo". AMSI, n. s. XXIII (1975), p. 28 dell'estratto.
  25. Cfr. I Gesuiti e gli Asburgo. Presenza della Compagnia di Gesù nell'area meridionale dell'Impera asburgico nei secoli XVII-XVIII, Trieste, 1995.
  26. G. Cuscito, "Cultura della controriforma e influenza gesuitica a Trieste e in Istria", I Gesuiti e gli Asburgo, cit., p. 158-159.
  27. Ibidem, p. 159.
  28. Cfr. A. Pitasso, op, cit., p. 18 e seg.; L. e M. Tacchella, op. cit., p. 22 e seg.; F. Salimbeni. "La riforma tndentina nella diocesi di Trieste. Osservazioni su un recente studio", Ricerche di Storia Sociale e Religiosa, n. s. 14 (1978), p. 323-332.
  29. L. e M. Tacchella. op. cit., p. 28.
  30. Ibidem, p. 157-160.
  31. Ibidem, p. 112. Maggiore prudenza nei confronti del clero concubinario era stata suggerita dagli autori "dell'Istruzione", redatta nel 1592 negli ambienti di curia, per il nuovo nunzio a Graz. Si riconosceva, in linea di principio, che l'eresia nascesse e si limitasse per i corrotti costumi degli ecclesiastici, e si ricordava inoltre il danno che il concubinato del clero poteva arrecare al patrimonio ecclesiastico. Però prima di giungere all'espulsione del clero concubinario, ci si sarebbe dovuti informare nel collegio dei Gesuiti di Graz sulle effettive disponibilità di nuovi sacerdoti, per non correre il pericolo di restare senza clero. Tuttavia si ammetteva, tra le necessarie riserve verbali, che i sacerdoti concubinari potessero essere lasciati nel loro ufficio, se non davano altro scandalo, ed erano saldi nella fede. cit. p., 117-1] 8.
  32. Ibidem, p. 140-141.
  33. Ibidem, p. 141-142.
  34. Ibidem, p. 143-144.
  35. Ibidem, p. 144-145.
  36. Ibidem, p. 146.
  37. Ibidem, p. 146-148.
  38. Ibidem, p. 148-149.
  39. Ibidem, p. 149-150.
  40. Ibidem, p. 149-156.
  41. La delegazione del Valier nella visita apostolica in Istria era formala dai canonici veronesi Taffello de Taffelli e Giovanni Francesco Tinto, entrambi laureati in "utroque jure" e rispettivamente nominati uditore e subdelegato del visitatore; il P. Gemiamo Ottello superiore dei Gesuiti in Verona, l'arciprete di Monforte Giacomo Curtino, il cancelliere Antonio Graziano, il notaio Andrea Ugolino ed i famigliari, Claudio Locatelli, Pietro Strata, Francesco de Merici e Malaguzio de Aresio.
  42. Cfr. C. De Franceschi, op. cit.; A. Pitassio, op, cit. p. 7-9; B. BenussI, "Abitanti, animali e pascoli in Rovigno e suo territorio nel XVI secolo", AMSI, Trieste, vol. IlI ( 1886); cfr. pure M. Bertoša, L'Istria veneta, cit.; B. Schiavuzzi, "Le epidemie", cit., p. 423-446.
  43. A. Pitassio, op, cit., p. 62-63. Vedi pure "Processi di luteranesimo in Istria", AMSI, vol. XVII, f. 1-2 e M (1901); e vol. XVIII, f. 1-e 3-4 (1902).
  44. Cfr. A. Pitassio. op, cit., p. 57-58.
  45. Ibidem, p. 61-62. Cfr. pure "Processi di luteranesimo in [stria", cit., vol. XVII, f. 3-4 (1901), p. 285 e vol. XVIII, f. 3-4 (1902), p. 262.
  46. Cfr. L. e M. Taccheixa, op, cit.. p. 9. 157-358: " Va rilevato, che se i sacerdoti in sede giudiziaria si dimostrano pienamente coscienti delle colpe loro addebitate, sono tuttavia sorpresi - e lo si rileva dai verbali delle loro deposizioni - del rigore improvviso ivi instaurato. La convivenza "more uxorio" con le domestiche era ormai, costume secolare tra il clero tergestino ed il fenomeno veniva tollerato dal popolo. Sono infatti i fedeli ad eleggere i loro parroci ed i loro cappellani alla cura; e per fa designazione alla candidatura, lo studio di concubinato non costituisce impedimento. Il prete che si l'ormava la sua famiglia non suscitava grave scandalo e non destava scalpore. Il vescovo quindi agisce solamente nel caso di particolari deviazioni, suscettibili di disturbare l'equilibrio di un "modus vivendi" accettato dalla collettività. Non sono adottate di conseguenza misure drastiche contro il clero colpevole."
  47. A. Pitassio, op, cit., p. 65. Considerando la storia tormentata e complessa dal punto di vista religioso della città di Fiume, appare evidente la conseguente mancanza in essa di continuità culturale, sociale ed economica. Anche l'organizzazione ecclesiastica stentò ad avere chiarezza e solidità di basi. Fino al 1786 era proposto alla Chiesa di Fiume l'Arcidiacono, dipendente dal vescovo di Pola. Dal 1786 al 1925 la Chiesa Cattolica di Fiume fece parte della diocesi di Segna-Modrussa. Nel 1925 divenne diocesi ed ebbe il suo primo vescovo, il Benedettino Isidoro Sain. Quanto alle famiglie religiosi: presenti in città: i Padri Agostiniani vi si trovarono fin dal sec. XIII; i Francescani erano presenti dal secolo XV; i Padri Cappuccini arrivarono a Fiume nel 1610; i Gesuiti nel 1627. Più modesta invece la presenza delle comunità religiose femminili. Vi giunsero prima le Monache Benedettine e poi, nel 1858, le Suore della Congregazione di San Vincenzo de' Paoli. Cfr. M.G. Corva, Storia della Congregazione delle Figlie del Sano Cuore di Gesù di Fiume, Arezzo, 1997, p. 58-60. Vedi Pure G. Kobler, Memorie per la storia della liburnica città di Fiume, Fiume, 1898, p. 105-108.
  48. AA.W., cit. p. 158. Ordine religioso di chierici regolari fondato nel 1534 da S. Ignazio di Loyola con 6 compagni, approvato da Paolo III nel 1606 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae (27-IX-1540) e annoverato da S. Pio V tra gli Ordini Mendicanti.
  49. G. Kobler, op, cit., p. 105: "Divisi in 32 provincie, nel 1618 avevano 13112 membri e nel 1759 ben 22589.
  50. Cfr. Ibidem, p. 107. Per quanto riguarda la chiesa di S. Vito e l'opera dei Gesuiti, Ibidem, p. 108-111.
  51. Ibidem, p. 107. Il 14 luglio 1637: "il collegio di Fiume oltre a Castua ottenne il possesso di Veprinaz e Moschenizze, dopo aver liquidato i conti con il collegio di Judenburg. Seguirono altri sussidi pecuniari della contessa: nel 1648 fiorini 14000 per la fabbrica del seminario, nel 1649 f. 16000, e nei 1650 f. 1000 per la fabbrica della chiesa di S. Vito. La signoria di Castua veniva amministrata dal rettore del collegio mediante capitani, che egli nominava per tre anni; siccome però al dominio appartenevano le dogane di Castua e Volosca, la manipolazione delle quali conveniva al governo dello Stato; così il collegio nel 1642 rinunziò al porto di Volosca in favore della Camera imperiale verso ii pagamento di fiorini 300 annui e a un magazzino ivi per la somma di f. 400, e nel 1653 alla dogana di Castua verso il compenso di annui fiorini 100. I privilegi sovranamente accordati a questo collegio erano, probabilmente, identici a quelli del collegio di Trieste. La municipalità di Fiume però non ha tentato, o non è riuscita, di esoperare quelle restrizioni che Trieste aveva esoperate nel 1640. Questi furono i primi mezzi con cui si fondò e si fece prosperare il collegio di Fiume.
  52. Serie dei rettori fiumani: Lorenzo Grisogono (dal 1627 al 1633), Leonardo Bagno 1634-1637, Martin Bauzer 1638-1640, Francesco Antonelli 1643-1645, Lodovico Venchiarutti 1646-1648, Stefano Erera 1649-1651, Martino Bauzer 1652-1654, Domenico Barelli 1655-1657, Francesco Antonelli 1658-1660, Giorgio Knifitz 1661-1663, Giovanni Zanon 1664-1666, Luigi Athems 1667-1669, Antonio Calorio 16700-1672, Carlo Vitelli 1674-1676, Paolo Moretti 1677-1679, Giorgio Baftamon 1680-1682, Carlo Vitelli 1683-1685, Giovanni Lovrencich 1686-1688, Antonio Ferriciuoli 1688-1690, Francesco Cavallo 1691-1693, Giuseppe Selenich 1694-1696, Valentino de Martena 1696-1698, Antonio Ferriciuoli 1699-1701,, Ambrogio Semler 1702-1704, Agostino Pallot 1705-1707, Antonio Sorba 1708-1710, Marco Glubicich 1711-1713, Giacomo Peltinori 1714-1716, Luca Slasto-per 1720-1725, Giovanni Barcich 1723-1725. Luca Slatoper 1726-1728, Simone Summovilla 1735, Tomaso Grebenovich 1736-1737, Giuseppe Tedeschi 1738-1740, 1747-1749, Francesco Stefanio 1750-1752, Pietro Pertold 1756-1758, Giovanni P. Ceselli morto nel 1764, Giuseppe Carina nel 1773.
  53. Cfr. G. Kobler, op.cit., p. 111-112: "II ginnasio era nell'edificio contiguo alla chiesa, che poi fu caserma pei trasporti militari: il collegio nell'odierno edilizio scolastico, che dal campanile di S. Vito discende verso oriente; il convitto nell'edifizio prossimo al convento delle monache. Nel convito venivano mantenuti ed educati studenti verso pagamento o gratuitamente con fondazioni. I Gesuiti rianimarono la devozione del vetusto Crocifisso di San Vito, e ne accesero il fervore coll'istituire nei 1656 una confraternita pia, che dicevasi dell'Agonia, e nel 1676 fecero il Calvario sulla vicina altura detta Vojak. Un'altra devozione era stata da loro istituita già nell'anno 1631 mediante la pia congregazione della B. V. Maria Addolorata, la quale confraternita sopravisse all'abolizione di altre confraternite fiumane e si è conservata sino al di d'oggi." Ibidem, vedi pure noia dell'autore 1, p. 112.
  54. Ibidem, p. 115: la contessa Orsola aveva assegnato al convitto "un capitale di 14000 fiorini germanici collocati presso gli stati provinciali della Carniola, un altro di fiorini 6000 collocato presso gli stati provinciali della Stiria, e un terzo di f. 10000 da convenirsi in beni stabili fruttanti. Il reddito di questi 30000 fiorini veniva adoperato per il mantenimento di un corrispondente numero di alunni". Seguirono poi altre fondazioni di alunnati, e precisamente: Matteo Modercin, canonico di Buccari (...), Lorenzo Zaccaria canonico di Csanàd f...), Giovanni Paolo Domicelli di Bogliuno d'Islria (...), e il gesuita Antonio Ferriciuolo (...).
  55. Ibidem, p. 116. Per quanto riguarda la .soppressione dell'Ordine, l'estratto dell'inventario, ecc, vedi Ibidem, p. 117-122. Cfr. anche il Grande Dizionario Enciclopedico UTET, Torino, vol. VIII (1968), p. 849-851.
  56. Cfr. G. Kobler, op, cit., p. 120-1.21: "Nell'anno 1796, giusta un r. dispaccio governiale, il fondo degli studi ammontava alla somma di f. 127968.49, il convittuale a fiorini 43884.18, assieme fiorini 171853.7; inoltre appartenevano al fondo degli sludi: l'edificio del collegio, ove in oggi sono le scuole normali e Iatine, e l'edifizio ginnasiale, che più tardi fu convertito in caserma della milizia nazionale ungarica; al fondo convittuale: l'edifizio ove fu il convitto degli alunni scolastici, poi caserma militare.
  57. Ibidem, p. 114; Quando i Gesuiti vennero a Fiume, avendo essi acquistato terreni dove poi costruirono il collegio e il seminario, effettuarono in seguito degli ampliamenti degli edifici che rimasero inosservati; scoperti dalla municipalità, la questione venne risolta il 26 giugno 1688 e precisamente: "1. si annullano le molte determinazioni scritte in proposito nei libri dei consigli, e la magnifica comunità promette che in avvenire non intraprenderà la difesa di cause dei privati; 2. La municipalità esborsa al rettore del collegio f. 400 a coprimento delle pretese, ed il P. Rettore si obbliga di non chiudere in modo alcuno il fonte Lesnjak, ma di lasciarlo libero e spettante al pubblico, e di fare su quest'acqua e su quella che viene dal lavatoio volti muniti di ferriate, onde queste acque e quella delle Luke possano sboccare nel fosso presso ii forte S. Maria; 3. Il Rettore si accontenta di fare la chiusa sopra l'acqua delle Luke all'ultimo termine del seminario attraverso dell'arco, onde l'acqua vada liberamente nel fosso della città, ed il muro dovrà unirsi col muro che il collegio erigerà per largo sino al confine delle sue Luke verso la Fiumara secondo i positivi segni; ma questi muri non accederanno la misura di un passo e mezzo sopra terra; 4. Quanto è contenuto in questo recinto, e proprietà assoluta del collegio in perpetuo, e così pure il muro entro i fissati confini sarà sua proprietà, colla sola riserva di non farvi mai un molino e di non chiudere il accorso dell'acqua al fosso; resta però libero al collegio di farvi spiragli come li hanno le monache, e nel caso che il comune facesse dappresso una strada pubblica, di fare in quel muro una porta."
  58. Ibidem, p. 113-114.
  59. A. Pitassio, op, cit., p. 65.

Sažetak

"Protureformacija u Istri, tridentski sabor i uloga Isusovaca" - U prvome dijelu ovog rada autor ističe s kakvim se poteškoćama susrela Crkva u trenutku kad je Martin Luter sa svojih 95 teza uzdrmao temelje cjelokupnog zapadnog kršćanskog svijeta.

Katolička Crkva zapodjenula je ogorčenu borbu protiv reformacije, oborivši se svom žestinom na progreške novog nauka, na njihove crkvene glavare i teologe. Inkvizicija u Španjolskoj, Nizozemskoj i Francuskoj pa i u Rimu te Indeks zabranjenih knjiga bila su sredstva kojima se poslužila u nastojanju da zaustavi luteranske "zablude". To može biti razlogom zašto su pape teško nalazile osobnu političku misao vodilju iako je protureformacija započela već u prvoj polovici 16. stoljeća. Prvi simptomi organiziranog i efikasnog otpora obilježeni su dvjema posve različitim inicijativama: s jedne strane Španjolac Ignacio Lovola spontano zahtijeva da se 1534. u Parizu osnuje spiritualna vojska Jezuita koji bi papi bili na raspolaganju kao misionari, osobito u Svetoj Zemlji, dok je s druge strane, na inicijativu Pavla III. u Rimu osnovana kardinalska komisija zadužena za borbu protiv širenja protestantizma na katoličkim područjima (Sveta kongregacija rimske Inkvizicije).

Tako su između 1534. i 1542. započeli prvi koraci protu-reformacije. U drugom dijelu autor obraća pozornost na ostvarivanje odluka Tridcntskog sabora, kao veoma složenog programa prema kojem se od biskupa i župnika zahtijeva da imaju prebivalište u vlastitoj dijecezi, odnosno župi, te osnivanje sjemeništa u kojima bi svećenici stjecali dostojnu naobrazbu. Prema istom programu trebali su se održavati dijecezanski i provincijalni sinodi, propisuju se pastoralne i apostolske vizitacije, uredno vođenje matičnih knjiga te kanoničkih knjiga i dr.

Potkraj 16. stoljeća, iako su uvedeni tridentski kanoni, papa Grgur XIII. povjerava veronskom biskupu Agostinu Valieru vizitaciju istarskih biskupija. Analiza zapisnika te apostolske vizitacije omogućuje širi pristup kako religioznoj, tako i društveno-povijesnoj, ekonomskoj, demografskoj i lingvističkoj problematici naše regije.

Ono što je Valier uspješno priveo kraju u mletačkom dijelu Istre, u habsburškom su proveli Isusovci sa sjedištem u Rijeci tek početkom 17. stoljeća.

Povzetek

"Protirefortnacija v Istri; Tridentinski koncil in pomen Jezuitov" - V prvem delu eseja so poudarjene težave rimske katoliške cerkve glede na nov položaj, do katerega je prišlo v Evropi, od trenutka, ko je Martin Luter s svojimi 95 tezami dal v pretres tradicionalno ogrodje zahodnega kršćanstva. Katoliška cerkev je takoj sprožila zagrizen boj proti napakam protestantov na teološkem področju tako s strani cerkvenih oblasti kot s strani spornih teologov: inkvizicija v Španiji in na Nizozemskem, v Franciji in nazadnje v Rimu, kot tuđi indeks Librorum Prohibitorum, so predstavljali primerna sredstva za omejitev širjenja luteranskih napak. To delno pojasnjuje zakaj je papeštvo dolgo s težavo iskalo svojo politično linijo posega, Čeprav se je boj protiprotestantskim napakam na teološkem področju že začel v prvi polovici leta 1500.

Prve začetke organiziranoga in učinkovitoga odpora karakterizirala dve posebno različni dejanji: z ene strani naravna neprisiljena pobuda Španca Ignacija Lojolskega, in sicer ustanoviti leta 1534 v Parizu vojake duha: Jezuite, ki naj bi bili na razpolago papežu za misijonarske potrebe predvsem v Sveti dežeii; z druge strani na podubo papeža Pavla III. ustanoviti v Rimu komisijo kardinalov z nalogo, da koordinirajo boj proti pristašem protestantizma v katoliških krogih: Sveta Kongregacija rimske Inkvizicije. Na ta način sta se med leti 1534 in 1542 sprožila prva dva dejavnika Protireformacije.

V drugem delu pa se posveča pozornost izvajanju odlokov, ki so nastali na Tridentinskem koncilu; precej obsežen program, ki je predvideval obveznost bivanja škofov in duhovnikov v svojih škofijah, odnosno v svojih župnijah in ustanovitev semenišč, da bi nudili duhovnikom boljšo in duševno pripravo; ta program je poleg tega predvideval pokrajinske škofijske sinode, dusnopastirske, apostolske obiske in obiske ad limina ter izpolnjevanje knjig rojstev, krščenih, porok, smrti in tako imenovanih kanonskih knjig ali dnevnikov, itd.

Vsekakor proti koncu XVI. stoletja je papež Gregorij XIII. kljub izvajanju tridentinskih pravil dal škofu iz Verone Avguštinu Valierju nalogo, da obišče tuđi istrske škofije. Zapisniki apostolskega obiska, ki so bili pregledani, predstavljajo primarni vir za poglobitev argumenta naše dežele, ne samo z verskega vidika, ampak tuđi s socialno-zgodovinskega, gospodarskoga, demografskega, jezikovnega in tako naprej.

To kar je Valierju uspelo izpeljati do konca na beneški strani Istre, so na habsburški strani v začetku XVII. stoletja naredili Jezuiti in odnosno Kolegij v misiji na Reki.

Tratto da:

  • Antonio Miculian, "La controriforma in Istria: Il concilio di Trento e il ruolo dei gesuiti", Atti, vol. XXIX, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno (Trieste-Rovigno, 1999),  p. 200-226.  ©  All rights reserved.

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Created: Friday, August 04, 2006; Updated Sunday, February 20, 2022
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