AI PIEDI DELLA CATENA DEI CALDIERA, IL BORGO NATALE DELLO SCRITTORE CROATO EUGEN KUMIČIĆ

Tra cielo e mare Bersezio, cresciuta sulle caverne del Sisol

[Tratto da © La Voce del Popolo, 5 novembre 2005 - http://www.edit.hr/lavoce/051105/speciale.htm.]

La strada da percorrere è la panoramica costiera. Quella che un tempo chiamavano Liburnica e che da Abbazia corre fino a Fianona, con da una parte i valloni ed i verdi pendii delle montagne carsiche del Monte Maggiore e dall’altra le ripide scogliere, le rare spiagge fatte tutte di ciottoli bianchi e rotondi e quel mare infinitamente azzurro che la natura sembra aver quasi voluto obbligare ad insinuarsi tra la terraferma e il frastagliato litorale dell’isola di Cherso. Qui, a metà strada tra il blu intenso e il verde smeraldo delle acque limpide del Quarnero e gli 803 metri della vetta rocciosa del Sisol – l’ultima cima della dorsale del Monte Maggiore, prima che la catena dei Caldiera affondi nel blu – la stessa che ispirò tanto lo scrittore croato Eugen Kumičić, da indurlo a firmare le sue prime novelle con lo pseudonimo di Jenio Sisolski, si è arroccata Bersezio.

Ai suoi piedi l'acqua che piove lassù in alto, sui monti, si insinua per antri e cunicoli sotterranei fino a sgorgare impetuosa nei fondali del mare, per formare in superficie dei turbinosi vortici. È un fenomeno tipicamente carsico e piuttosto frequente lungo la costa orientale dell’Istria. Grotte e anfratti da queste parti hanno indotto spesso in passato la popolazione locale a credere anche a stranissime leggende. Oggi quelle caverne millennarie sospese tra la terra e il mare attirano sempre di più l’interesse di turisti subacquei e speleologi. Ma fino agli anni ’20 del secolo scorso le genti di Bersezio non osavano quasi neanche parlarne.

Anche perché, raccontano ancora da queste parti i pochi anziani che popolano l’abitato e che hanno buona memoria, ai tempi della grande recessione, subito dopo la I Guerra mondiale, nella speranza di trovare un fantomatico tesoro nascosto, un gruppo di loro compaesani organizzò delle ricerche in una delle tante piccole caverne del versante meridionale del Sisol. Trovarono in quell’antro, racconta la leggenda, un antico sarcofago di pietra ma prima che riuscissero a impadronirsene, il soffitto della grotta crollò. I membri di quella strana missione riuscirono a cavarsela ma nessuno in paese osò mai più azzardarsi a ritornare in quella spelonca. Strane storie che affondano le radici molto probabilmente in leggende assai più antiche, forse giunte fino a noi addirittura dai tempi in cui Bersezio era ancora abitata dai Giapodi e dai Liburni. Erano gli albori della storia.

Molti insediamenti liburnici poi abbandonati, si ripopolarono durante il periodo tardo antico ai tempi delle invasioni dei Barbari, in quanto le pendici di queste montagne, da sempre impervie e difficilmente accessibili rappresentavano un rifugio relativamente sicuro per tutte quelle popolazioni che in fuga dinanzi alle orde nemiche, migravano in cerca di riparo. Bersezio, come diversi altri abitati che a quei tempi erano sotto dominio bizantino, si ripopolò in quel periodo. Nel 1040 Bersezio aveva 180 abitanti. Oggi ne ha appena un centinaio. Negli atti d'archivio il luogo si cità già nel lontano 1102 e nel 1546 compare sulle carte geografiche di Giacomo Gastaldi, con il nome di Bresej.

Passeggiando per le suggestive stradine del paese, che si diramano in un groviglio di calli tra deliziosi esempi di un’architettura tipicamente mediterranea, caratterizzata da case tutte con tetti a coppo dai quali sembrano spuntare, come funghi al sole, tanti comignoli pittoreschi, tante molto vecchie ma assai ben ristrutturate, ci si può piacevolmente lasciar coinvolgere dalla quiete del luogo. Il nucleo storico di Bersezio è riuscito a mantenere integra l’atmosfera che aveva un tempo anche se le vecchie fortificazioni del castello da tanto tempo non esistono più.

Sono rimaste intatte tuttavia l’antica porta cittadina e la vecchia loggia. Attraversando volti e portici qua e là s’intravedono antiche iscrizioni scolpite sugli stipiti dei portoni: palazzi anche antichissimi che ricordano i tempi in cui Bersezio era di proprietà dei Duinati. Poi nel XV secolo il borgo fu venduto alla Contea di Pisino, e già nel 1465, estintasi la casata dei Walsee, passò in mano agli Asburgo. Bersezio ha parecchie chiesine piccole e antiche fuori paese: Santo Stefano, al cimitero, San Nicola, Santa Trinità, Santa Margherita.

In centro ce ne sono due soltanto: la cappelletta di Santa Croce e la chiesa principale accanto alla quale s’erge un tozzo campanile. La parrocchiale di San Giorgio è di quel periodo. È una costruzione medievale a navata unica dalla facciata semplice e modesta, sottoposta a rifacimenti e ricostruzioni nel XVII secolo, al cui interno si celano i resti di alcuni bellissimi affreschi quattrocenteschi raffiguranti Santa Barbara e antichi altari settecenteschi di stile veneziano in legno intagliato, uno dei quali, consacrato a Sant’Aurelio, molto venerato da queste parti anche perché Bersezio ne conservava alcune reliquie (la testa e la parte di una mano) è del 1654. Accanto alla chiesa s’erge un tozzo campanile. Qui ha voluto esser sepolto nel 1998 l’arcivescovo Josip Uhač, nato a Bersezio, e morto a Roma all’età di 74 anni proprio un giorno prima che papa Giovanni Paolo II lo nominasse cardinale.

Il vecchio e il mare

Arroccata a strapiombo sul Golfo del Quarnero, su un promontorio che s’erge a 150 metri di quota al di sopra del livello del mare, rivolta verso Fiume da una parte e verso campi un tempo coltivati a viti e a ulivi dall’altra, Bersezio vive insieme ad un pugno di abitanti la sua quiete. Tra i profumi salmastri del pino e dell’alloro, che a seconda del variar delle stagioni qui si confondono all’odore più dolce del mirto e a quelli più acri e più intensi dei carpini, dei frassini e delle querce, qui la vita, che d’estate è quasi quella di una stazione di sosta per turisti in transito, d’inverno diventa quella di un eremo. Oggi il luogo conta esattamente 98 abitanti e neanche quelli sono tutti residenti fissi. Quasi tutta gente anziana: di bambini in paese ce ne saranno due o tre.

“Eh, un tempo non era così” ci rivela uno dei pochi abitanti del borgo che incontriamo dinanzi alla parrocchiale di San Giorgio. Ha i capelli canuti e la carnagione scura. Il tempo ha segnato il suo volto ma le sue non sono le rughe del contadino. I solchi della sua pelle sono diversi da quelli di chi ha lavorato da sempre i campi. Anche il portamento è un altro. L’aspetto è diverso. Somiglia vagamente a qualcuno. No. Non è qualcuno che conosciamo. È il personaggio di un libro. Ecco chi è che ricorda: ricorda il Santiago de “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. È vero. Dušan Galović è un vecchio lupo di mare. Ha la bellezza di 81 anni ma li porta apparentemente senza peso, con dignità e con una punta d’orgoglio.

Come tanti altri suoi compaesani ha navigato tutta la vita. Fare il marittimo per chi nasceva da queste parti era un tempo una tradizione più che una scelta di mestiere. Mentre ci parla della Bersezio di un tempo se ne sta lì, intento a scrutare quelle pittoresche radure che circondano il suo paese natio. Quasi come se i suoi occhi, stanchi del blu intenso del mare fossero avidi di altre tinte: del verde, del giallo e del rosso. Dei colori dei campi e dei boschi tinti d’autunno e di malinconia. E da quei nostalgici colori Dušan Galović sembra trarre ispirazione per far riaffiorare alla mente i ricordi della sua infanzia.

“Quando andavo a scuola io qui di bambini ce n’erano 47. Era un villaggio pieno di vita. Adesso da Draga di Moschiena a Sant’Elena ci saranno sì e no 6 o 7 bimbi. Qui in paese c’è scuola fino alla III elementare. Poi per arrivare fino all’VIII devono continuare la scuola a Draga di Moschiena”.

“È che è tanta la gente è andata via da qua” - ci spiega in nostro interlocutore. “Tanti anni fa si espatriava chi in America, chi altrove nel mondo. Noi uomini si andava per mare. Io ho navigato tutta una vita e ho girato il mondo. Ma le famiglie restavano a vivere qua, in paese. Adesso è diverso. Ci si trasferisce semplicemente a Fiume o ad Abbazia per questioni di comodità e di lavoro. Noi da giovani a Fiume si andava sì ma a ballare, in Sala Bianca o al Talia. Ma poi si ritornava a casa. Oggi i tempi sono cambiati. Qui in paese ormai siamo quasi tutti pensionati. Io devo ammetterlo, ho la fortuna di avere in paese anche i miei figli che hanno messo su casa ma tanti altri anziani sono rimasti soli”.


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Created: Friday, October 26, 2007; Last updated: Sunday, November 14, 2021
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