Sul Carso liburnico,
quasi all’ombra del Sissol, sorge un pittoresco paese
Bersezio e i suoi due compari
di Mario Schiavato
[Tratto da
©
La Voce del Popolo, 9 giugno
2010 - http://www.edit.hr/lavoce/2010/100609/speciale.htm.]
Al di sopra di una delle dorsali
calcaree del Carso Liburnico, che si stende dal
Monte Maggiore verso
Fianona, sotto il Sissol, l’ultima vetta di una certa
importanza, sorge il paesino di Bersezio (Brseč) 157 metri sul
livello del mare. Pochissimi cenni di storia: dal 1275 fu con
Laurana feudo della Contea di
Pisino o meglio della Contea dell’Istria. Poi con la caduta del
potere secolare dei patriarchi di
Aquileia che ne erano proprietari, questa Contea nel 1374 passò
all’Austria e “fu ingrandita con altri acquisti fatti dagli Asburgo
– come annota
Bernardo Benussi nella sua “L’Istria nei suoi due millenni di
storia” – e alla fine del Medio Evo il suo confine (...) dal piede
dell’Alpe Grande e del
M. Maggiore scendeva a raggiungere sotto San Pietro in Selve il
vallone di Leme (la Draga) dove piegava verso l’Arsa, i Caldera ed
il Quarnaro. Comprendeva quindi anche Bersetz e Lovrana”.
Il testamento di
Ugone
In seguito figurò con Moschiena nel
testamento di Ugone da Duino formando un tutto con
Castua e Apriano. Più tardi ancora entrò nella giurisdizione con
Volosca. Comunque bisogna sottolineare che il piccolo borgo è sempre
vissuto al margine dei grandi avvenimenti e particolarmente
interessante è il fatto che non abbia posseduto mai un suo statuto
come quasi tutte le altre località di questo tratto di costa. Nelle
sue note storiche c’è comunque da ricordare ancora il vano assalto
al castello fortificato, nel novembre del 1600, da parte dei
Veneziani,
castello praticamente oggi quasi scomparso perché sulle
fondamenta delle sue mura sono sorte le case addossate le une alle
altre fino sull’orlo dell’enorme spuntone che precipita verso il
mare.
Sull’orlo del
precipizio
Oggi c’è un’unica e stretta porta di
accesso al borgo antico e all’interno, tra le abitazioni, è tutto un
affastellarsi di vicoli stretti e ripidi, lungo i quali spesso si
incontrano archi rudimentali, volti, ballatoi,
cisterne, scale talvolta scavate nella roccia e naturalmente, la
chiesa, il tozzo e isolato campanile con la sua guglia ottagonale.
Tutt’intorno, specie verso il mare, una serie di terrazzi fertili,
ben coltivati a
vigna e a frutteto che si spingono fin sull’orlo del precipizio
a conquistare quel po’ di terra coltivabile che il clima, dai
caratteri mediterranei particolarmente spiccati, favorisce. In basso
sulla costa a picco, al riparo di alcuni enormi massi calcarei che
spuntano dalle acque, si intravedono le poche barche che escono per
una pesca che integra i pochi profitti della povera agricoltura. Il
turismo ancora non ha quasi messo piede, anche se da qui si gode una
stupenda veduta sul Quarnero e sull’isola di
Cherso che sembra di poter toccare allungando le braccia, e la
cui vegetazione ripete le caratteristiche vegetali del brullo
versante di questa costa che declina ripida sul mare.
Le molte fiabe e
leggende
Di recente ci è capitato tra le mani
il libro “Fiabe e leggende istriane” tutte scritte in un nostro
dialetto un po’ arcaico a cura di
Giuseppe Radole, un musicista nato a
Barbana il quale, dopo aver studiato nel seminario di
Capodistria, si è diplomato al Conservatorio di Pesaro e ha
quindi per molti anni collaborato a rubriche musicali e
folcloristiche di Radio Trieste, nonché insegnato armonia alla
Scuola di musica “Tartini” della stessa città.
A dire la verità molte di queste
leggende le abbiamo già conosciute perché ci sono state narrate,
durante il nostro vagabondare, da vari abitanti dell’Istria e delle
isole. Comunque, quelle che in questo libro si riferiscono al
paesino di Bersezio, sempre legate a due soli personaggi un tantino
sprovveduti se così possiamo dire, sono davvero divertenti e in un
certo modo rispecchiano il carattere canzonatorio della poca
popolazione che si tiene saldamente legata alle sue antiche
tradizioni. Infatti, nell’osteria, mentre brindavamo con un buon
bicchiere del vino aspro della zona, un vecchio col naso rosso sopra
due baffoni grigi ci ha detto, dopo averci fatto l’occhietto: Chi
mete radise qua, qua de sicuro el more in piè!
I fichi per il re
Per facilitare la lettura ridurremo
alquanto e anche tradurremo in lingua le fiabe narrate in dialetto.
Ecco la prima. Due compari di
Bersezio si incontrarono. Il primo disse: - Quest’anno le patate
sono venute proprio belle. Ne portiamo un cesto al re?
L’altro rispose: - Patate al re? Sei matto? Meglio fichi!
Raccolsero un bel cesto di fichi e
partirono. La strada però era lunga, lunga e difficoltosa. Quando
arrivarono davanti al trono dissero:
- Signor sovrano le abbiamo portato
un bel cesto di nostri fichi.
- Bravi bravi! – rispose pronto il
re. – Avevo proprio una gran voglia di mangiarne qualcuno bello
fresco e succoso. – E se ne andò subito a prendere una terrina per
metterli dentro. Però, dato che la strada era stata lunga, tutti i
buoni frutti s’erano mastruzzadi! Quando s’accorse in quale stato
erano ridotti, il sovrano arrabbiato disse: - Brutti manigoldi
bonidegnente, sono questi i fichi da portare a un re?
Senza aggiungere altro li fece
imprigionare, legare a un palo e quindi obbligò tutti coloro che
passavano di là a gettare addosso ai due poveracci almeno uno di
quei fichi mastruzzadi. Così tutti i passanti si divertirono e dopo
un po’ i berseciani furono ridotti proprio male, imbrattati dalla
testa ai piedi, bisunti e per giunta coperti di vespe e di mosche.
Patirono, sì, ma anche si consolarono a vicenda:
- Meno male che sono solo fichi. Se
avessimo portato le patate la gente ci avrebbe spaccato la testa!
Il campanile allungato, la chiesa
allargata
Un giorno i due compari di Bersezio
decisero di allungare il campanile e allargare la chiesa, perché
secondo loro il primo era troppo basso e l’altra troppo piccola.
Andarono a consultarsi con il sacrestano il quale disse loro
infervorato:
- Per quanto riguarda il campanile,
non avete altro da fare che andare su in alto fino alla cella
campanaria a legare una resta di salsicce così lunga da toccare il
suolo.
I due compari un tanto fecero e poi,
pronti, andarono a dormire. Durante la notte il sacrestano rubò
quasi tutte le salsicce, ne lasciò appese solo un paio tanto che al
mattino i due compari stupefatti poterono dire:
- Accidenti! Come s’è allungato il
campanile!
- Eh già, ieri sera le salsicce
toccavano il suolo e adesso sono tanto in alto che non si possono
toccare neanche mettendoci in cima a una scala!
Soddisfatti andarono di nuovo dal
sacrestano per chiedere come fare per allargare la chiesa. E questi
subito pronto disse:
- Sapete che cosa dovete fare? Dovete
levarvi le giacche, deporle fuori fino nel punto dove vorreste far
arrivare i muri e quindi entrare e spingere e spingere.
I due, soddisfatti del suggerimento,
si levarono le giacche, le deposero per terra a circa un metro dai
muri ed entrarono a spingere. Uno dalla parte destra e l’altro da
quella sinistra. Quante ore spinsero con le loro forti spallacce?
Chissà, certamente molte di sicuro. Quando uscirono dalla chiesa, ed
era già il tramonto, non trovano più le giacche. Però ad aspettarli
c’era il sacrestano che nel frattempo le aveva rubate, il quale
disse:
- Bravi, bravi! Avete davvero
allargato la chiesa. Peccato per i vostri panni che sono rimasti
sotto i muri.
I due fecero spallucce e, ancora una
volta soddisfatti, se ne andarono felici di avere, con le loro forti
spalle, allargato la chiesa.
Semi d’asino
Qualche giorno dopo i due compari si
trovarono di nuovo e decisero di recarsi nella bottega del paese a
chiedere semi per far nascere gli asini. Il bottegaio sorpreso al
momento non seppe cosa fare ma, dopo averci pensato un po’ su,
vendette loro una bella zucca e disse:
- Zappate bene una letica di terra e
poi piantateci i semi che troverete nella zucca. Verranno fuori
degli asini che voi neanche immaginate!
I due così fecero. Presero le zappe e
giù, colpi su colpi da farle diventare lucide. Quando però cercarono
di aprire la zucca per togliere i semi questa sfuggì loro di mano,
rotolò e rotolò fino a finire in un cespuglio dove era nascosta una
lepre. La quale, rapidissima, scattò via a gambe levate.
I due si guardarono allibiti e poi
dissero:
- Peccato! Per la verità era un asino
piuttosto piccolo!
- Già, era piccolo, ma certamente
sarebbe cresciuto!
I pali di ferro
Un’ultima volta venne loro in mente
di seminare i pali di ferro per le loro vigne. Si recarono perciò di
nuovo in bottega e questa volta il proprietario vendette loro una
bustina di aghi da cucire e disse loro:
- Terra buona la nostra! Sotto con la
zappa allora. Non avete da far altro che seminare questi aghi e
vedrete che pali di ferro ne verranno fuori!
E così fecero. Zapparono, seminarono
e poi si recarono ogni giorno sulla letica in attesa che si compisse
il miracolo, senza però vedere spuntar niente di niente. Dopo
qualche giorno uno disse:
- Di sicuro saranno le cavallette, i
scacavzi, a mangiare i pali appena spuntano dalla terra.
E l’altro:
- Hai ragione. Dobbiamo venir qui a
fare la guardia.
Detto fatto. Si recarono subito a
casa a prendere il fucile da caccia e quindi tornarono sulla letica.
Sennonché, mentre aspettavano in piedi silenziosi, ecco che una
cavalletta saltò sul petto di uno di loro.
- Un scacavaz! – urlò questi.
L’altro puntò pronto il fucile e
sparò. La cavalletta con un gran balzo riuscì a scappare ma il
compare – per fortuna l’altro non aveva centrato bene – cadde a
terra, grazie al cielo, soltanto ferito a una spalla.
Pare che per quel giorno i due non si
siano più frequentati...
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