Vasti ghiaioni e
incredibili formazioni calcaree
Lo
splendore della valle delle meraviglie
Mario
Schiavato
[Tratto da: © La Voce del Popolo,
16 settembre 2006, Speciale -
https://www.edit.hr/lavoce/060916/speciale.htm.]
Erano quelli gli anni del mio primo
andare in montagna, trascinato da quel caro amico che era Willy Petric,
cantridano e “carsiano autentico” (la Carsia era una società alpinistica
fiumana operaia di prima della Seconda guerra) membro di una nota
famiglia de magnachilometri co’i zaini sempre sg’ionfi de robe bone,
ah quele sarme e quei gnochi de susini! Io per la verità ero
cantridano... di adozione, in seguito al matrimonio con una patoca
del posto. Le nostre mete più frequenti erano naturalmente il Monte
Maggiore e dintorni, anzi non proprio dintorni se consideriamo il
Lisina, l’Alpe Grande, il Sasso delle Acque, lo Zupano, il Monte Sega,
il Sissol, l’Aquila di Mune, la Sbevnica, e poi il Risnjak, il Fratar,
l’Obruč dall’altra parte e chi più ne ha più ne metta. Ma il fatto era
che per raggiungere la vetta del Monte Maggiore spesso si partiva da
Fiume, meglio da Cantrida, nel pomeriggio di sabato per poter arrivare
dapprima a Mattuglie e da qui su e su, a piedi naturalmente, fino a
raggiungere l’osteria di Peruz (prima che gli alpinisti di Abbazia
adattassero a rifugio un’ex casermetta della Finanza italiana), dove nel
fienile, tra una barzelletta e l’altra, ci si riposava un paio d’ore per
poi ripartire ed essere puntualmente in vetta allo spuntare del sole.
Il ritorno di solito si svolgeva lungo la
dorsale sud, cioè giù per il ripido canalone dapprima, poi lungo le
praterie, da una parte fino ad Abbazia e dall’altra, sfiorando il
Grnjac, per la Scala Santa fino a Laurana o a Medea dove si usava
attendere il vaporetto che ci riportava a casa cantando, vaporetto che
spesso faceva tappa anche presso il moletto del cantiere “3 maggio”
davanti al bagno “Savoia”.
Erano tempi eroici quelli. Bastava uno
zaino fatto di un sacchetto con due bretelle, meza pinca de pan con
do ovi in fritaia, e una borraccia, di quelle militari, piena di tè.
Le braghe alla zuava, erano state ricavate da un paio di
pantaloni ai quali s’erano tagliate le parti basse e per scarpe si
usavano
quele de ginastica, che i fortunati ricevevano gratis con una
maglietta quando andavano a portare la Staffetta per il compleanno di
Tito e che riempivano i piedi di vesciche e vescichette...
Dunque dalla parte istriana del Monte
Maggiore io non ero sceso mai, anche se parecchie volte avevo fatto
tutta la traversata del cosiddetto Carso Liburnico, fino a raggiungere
il Sissol e poi Fianona con la speranza di trovare un posto in piedi sui
rarissimi autobus della linea Pola-Fiume. Per questo quando nel 1961 un
amico di Trieste mi regalò il libro “Alpinismo eroico” di Emilio Comici,
praticamente la storia della sua avventurosa vita alpinistica che s’era
conclusa tragicamente per una stupidissima corda che s’era spezzata
durante una scalata da niente, nello sfogliarlo e nel leggere tutta la
serie delle sue prime salite, a un certo punto non potei fare a meno di
meravigliarmi davanti a una foto della “Candela” della Valle Aurania
(Monte Maggiore, Istria), scalata la prima volta da Comici-Stauder il 20
dicembre del 1931, dunque quando io avevo pochi mesi. E più avanti
nelle note si diceva ancora: 1931: 20-XI: Candela del Cañon delle
Meraviglie (Istria-Monte Maggiore-Val Aurania) con Giorgio Stauderi.
Nello stesso giorno: Gran Torre del Cañon delle Meraviglie sempre con
Giorgio Stauderi. La descrizione di queste salite si dovrebbe trovare
sul libro “Un uomo va sui monti” di G. Brunner, libro che, nonostante le
mie ricerche, non sono riuscito a trovare. Dunque Cañon delle Meraviglie
del Monte Maggiore. Ma dov’era questo benedetto posto che aveva attirato
l’attenzione di quel grande rocciatore? Anche l’amico Willy rimase
alquanto perplesso. Sì, ne aveva sentito parlare da suo padre Andrea, ma
non sapeva dove esattamente si trovasse. Ci venne in aiuto il caro
Ernesto Tonsich, un’altra figura carismatica dell’alpinismo fiumano, il
quale
Tonzo, con i fratelli Duiz, dopo Comici aveva più volte scalato tutte
le torri.
E fu dunque così che un sabato
c’incamminammo. Raggiungemmo Mattuglie in treno, roba da siori,
poi a notte fonda fummo presso l’osteria di Peruz che ormai da qualche
anno era chiusa e perciò finimmo a pernottare nel fienile di un pastore
di Vela Učka che ci ospitò con la raccomandazione di non fumare.
Non era ancora arrivata l’alba quando
partimmo infilando la vecchia strada Giuseppina. Riempimmo le boracce
presso la fontana dell’Imperatore e poi svelti avanti fino a raggiungere
le pochissime case di Brci. E in una, in quella della cara vecchia Fume,
la prima sorpresa: lei infatti ridacchiando allegra si affrettò non solo
a darci tutte le spiegazioni per raggiungere l’orlo del canalone, ma ci
offrì anche uno scodellone a testa di buon latte di capra con la
raccomandazione tuttavia di non dirlo a nessuno perché allora in quella
parte dell’Istria era proibito allevare delle capre, e lei le teneva
nascoste in una stalletta, altrimenti jadna ja, kako bi preživjela?
Ricordo ancora molto bene il breve tragitto
dalla strada bianca alla Valle Aurania, oggi Vranjska Draga. Da quando
il sito è diventato Ente pubblico “Parco naturale del Monte
Maggiore”, il sentiero è un altro, molto ben segnato e mantenuto.
Tuttavia si arriva allo stesso punto. Ma ora, su quella specie di
terrazzone, ci sono panche e panchine, vari cartelli con descrizioni in
diverse lingue e quant’altro. Si sottolinea che sui torrioni e sulle
pareti adiacenti ci sono addirittura 58 vie di salita che vanno dai 10
ai 100 metri. Si vede bene che i rangers si danno parecchio da
fare ed è giusto che sia così, che si pubblicizzi adeguatamente una
località prima tanto trascurata.
Per tornare a noi, devo dire che la prima
impressione fu quasi di commozione, specialmente quando cominciammo a
scendere per il sentierucolo tracciato sul ghiaione aprendoci un varco
tra la fitta vegetazione. E fu così che dapprima ammirammo il muraglione
chiamato “Il castello di Barbablù”, poi la “Candela”, più avanti il
celebre “Guanto di Comici” con il suo ditone, per finire nei pressi
della “Torre Grande” e poi giù e giù ancora, fino a quella specie di
torrentello che scorreva rapido accanto a una specie di piccola grotta,
meglio una rientranza, che in caso di necessità, agli scalatori di oggi
può offrire anche un ricovero.
Da notizie che cercai di avere da varie
parti, appresi che sono state le erosioni dei venti e delle piogge a
creare queste incredibili formazioni calcaree. Ma altre notizie, che io
ritengo molto probabilmente più esatte, parlano di stalattiti e
stalagmiti di un’enorme grotta che i millenni hanno demolito. Ne sono
esatta testimonianza i vasti ghiaioni. Ed è ancora interessante annotare
che nelle vicinanze si trovano moltissimi fossili, soprattutto nummuliti
sparsi in ogni dove sulle rocce affioranti.
Naturalmente la nostra avventura non finì
quel giorno. Nella Valle delle Meraviglie ritornammo ancora, io e
l’amico Willy. E anche con una corda – di quelle vecchie di canapa che
non si usano più perché oggi ci sono quelle di nylon che se si bagnano
non diventano dure e inservibili – e con un paio di chiodi ruggini e di
moschettoni infilati attorno a un cordino legato alla vita. E in cima
alla “Torre Grande” (quella almeno), arrivammo anche noi e ci
abbracciammo in una giornata che ci aveva fatto diventare da semplici
magnachilometri, autentici scalatori.
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