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Il monte maggiore dal
Carso Liburnico. |
MONTE MAGGIORE,
UN PUNTO DOVE SI INCONTRANO E SCONTRANO IL CLIMA CONTINENTALE E
QUELLO MEDITERRANEO
Il Re di
Sassonia e la sua passione per le piante
di Mario Schiavato
[Versione carta]
[Tratto da: © La Voce del
Popolo - https://www.edit.hr/lavoce/2009/091114/speciale.htm.]
Il nostro Monte Maggiore ha una
particolarità floristica interessantissima che già dai tempi
antichi, quando la botanica era ancora agli inizi, ha attirato sul
suo territorio studiosi di chiara fama, come ad esempio il vescovo
di Cittanova
Giacomo Filippo
Tommasini (1597-1655), nativo di Padova che ci lasciò in eredità
un prezioso manoscritto dove vengono elencate le piante medicinali,
nonché
Johann Jeronimus Zanichelli
(1662-1729), pietra miliare della flora istriana la cui opera
uscì postuma ma che si presentò già come qualcosa di ben diverso da
un semplice, per quanto importante, elenco di piante. Infatti, sulle
falde del Monte Maggiore praticamente si incontrano e spesso anche
si scontrano, due climi: il continentale e il mediterraneo, il che
ha reso possibile lo sviluppo e l’attecchimento di piante tipiche di
ciascuna di queste due aree climatiche. Tanto per fare un esempio,
lungo tutto lo sviluppo delle gobbe della anticamente detta
Caldiera, tra le altre piante si può trovare, soprattutto sul monte
Sissol, sopra Bersezio, anche la
Fritillaria Maggiore, una pianta endemica simile a un tulipano
rovesciato e con i petali a quadretti gialli e rossi che, a
differenza di quella Minore, reperibile pure sul Velebit, si può
riscontrare in limitatissimo numero ancora sui Pirenei. Poi ci
sarebbe la faccenda della
Stella alpina,
ma di quella parleremo alla fine dell’articolo.
Tempo avverso per il re
Ecco dunque il perché dell’interesse
dei botanici, uno dei quali, celebre, fu Federico Augusto re di
Sassonia che arrivò sul Monte Maggiore accompagnato dal dignanese di
nascita
Bartolomeo Biasoletto,
altro illustre conoscitore della flora del nostro territorio. Ma
anche di lui narreremo più innanzi. Come avvenne la visita del re di
Sassonia? Non è che si riscontrino dei documenti che la descrivano,
però si sa che l’illustre ospite si era imbarcato a
Trieste su un panfilo con l’intenzione di fare delle ricerche
lungo tutto il territorio che dall’Istria si estende giù per la
Dalmazia fino a raggiungere il Biokovo. Né si sa con esattezza come
raggiunse il Monte Maggiore, meglio il
Passo del Poklon. Molto probabilmente
con una solida carrozza lungo la allora polverosa strada Giuseppina.
Comunque non ebbe molta fortuna durante quella sua escursione, in
quanto il tempo fu piuttosto brutto, addirittura con violenti
scrosci di pioggia. Durò comunque un’intera giornata e la discesa
avvenne a Laurana e un tale avvenimento è ancora oggi documentato da
due lapidi – recentemente restaurate, – murate sulla cinta della
vecchia villa “Istria, che sorge davanti l’antica torre medioevale.
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La torretta sulla
vetta che ha portato la sua altezza a 1400 metri esatti. |
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Uno dei duemila
"dvori" che una volta offrivano rifugio ai pastori e ai
contadini. |
L’enigma della lapide
La prima, in latino, dice
semplicemente senza neanche riportare l’anno:
Federicus
Felix Sassonie Rex
ista sub celtide
sedebat
11 juni.
Il che in traduzione significa:
“Federico felice re di Sassonia qui sotto il
lodogno (enorme, con una panca attorno, ma che, seccato, dovette
essere tagliato) sedette l’11 giugno”.
Più esplicita la seconda lapide
scritta in italiano:
11 giugno 1845
FEDERICO AUGUSTO
re di Sassonia
degli studi botanici cultore
solerte, esimio, liberale,
rivisitato il Monte Maggiore
nel piccolo tratto
che qui venne a riposo
coll’animo affabile e dolce
si guadagnò
il cuore dei lovranesi.
Perché
di tanto ospite
resti duratura e grata memoria
F.S. Lettis.
Chi sia stato questo Lettis che fece
mettere la lapide non ci è noto, ma la stessa ci pone ancora un
altro problema che invano abbiamo cercato di risolvere: quel
“rivisitato”. Quindi vorrebbe dire che quella non fu l’unica visita
dell’illustre ospite e che probabilmente ce ne fu una anteriore e in
data ancora più antica.
Il ricchissimo erbario di
Bartolomeo Biasoletto
Adesso alcune notizie su quel
Bartolomeo Biasoletto
che accompagnò l’illustre ospite (ci giunge notizia che a
Dignano qualche anno fa sia stata
posta una lapide sulla casa in cui vide la luce). Nacque dunque a
Dignano il 24 aprile 1793 da Biagio e Fosca Manzin, contadini.
Ancora fanciullo, trovò lavoro nella locale farmacia Cozzetti. Era
analfabeta ma affascinato dalle scritte sui vasi della spezieria si
sforzò di imparare a leggere. L’allora parroco Tromba e i frati
locali lo aiutarono negli studi. Appreso il latino, dalla sua povera
casa sui Vartai partì pieno di speranze prima verso
Fiume e poi a
Trieste dove seguì gli studi di
farmacia. Spinto quindi da vivo interesse per le scienze naturali,
frequentò l’Università di Vienna e ben presto si fece conoscere nel
mondo scientifico europeo con pubblicazioni di saggi sulla fauna e
sulla flora della regione giuliana, nonché del mare che la circonda.
Quindi si laureò a Padova in filosofia e a
Trieste continuò a dedicarsi alle
scienze naturali raccogliendo piante per il suo ricchissimo erbario.
Prese parte a importanti congressi ove portò il prezioso contributo
delle sue esperienze e delle sue ricerche.
Sopra: Fossili
trovati negli anfratti vicino a Mala Učka.
A destra:
Anemoni del Monte Maggiore |
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Le basi della geografia botanica
dell’Istria
Migliaia di piante da lui raccolte
andarono ad arricchire gli erbari di facoltà e musei di mezza Europa
e persino dell’America. Accompagnò studiosi e amatori nobili e
ricchi dell’epoca nei viaggi di esplorazione e di studio. Oltre a
Federico re di Sassonia, anche il conte Caspar von Sternberg e von
Hochstetter, poi Agardt, Hoppe, Kutzing, Welden, Bentham, Sternberg
ecc. In queste ripetute e ben pianificate perlustrazioni del Monte
Maggiore e della penisola nascono le basi per la geografia botanica
dell’Istria. Nel 1828 fondò a Trieste,
dove questa scienza era ancora un campo sconosciuto, l’orto botanico
su un fondo concesso da un civico magistrato e con la sovvenzione di
amici e scienziati. Su quest’area tenne corsi regolari di botanica,
gratuiti, frequentati da molti allievi e fu per un lungo periodo
presidente del noto “Gabinetto Minerva”, antica e notissima
istituzione culturale triestina. Donò ai suoi concittadini dignanesi
un “nucleo della biblioteca civica” ma i libri donati andarono
dispersi, né si sa quale fine abbiano fatto un massiccio calamaio
d’argento donato all’ufficio del podestà e il prezioso smeraldo
destinato alla parrocchia di Dignano
e donato al
Biasoletto appunto
dal re Federico di Sassonia dopo la non troppo fortunata escursione
sul Monte Maggiore.
Ancora, fondò a
Trieste la farmacia sul
Ponterosso che porta il suo nome ed è ancora in funzione. Alcune
piante da lui scoperte e studiate portano il suo nome come il
Trifolium Biasolettii (lo trovò sull’isola maggiore delle Brioni)
l’Atremista Biasolettiana, l’Eliptica, la Hutchinsia ecc. Tra le sue
opere maggiori: “Relazioni di viaggi e di studi in Istria, Dalmazia,
Montenegro”; “Alcune alghe microscopiche”; “Escursioni botaniche
sullo Schneeberg (Nevoso sloveno)”; “Studi sulle malattie dell’uva”
ecc. Si spense il 17 maggio 1859. Un suo busto venne eretto
nell’orto botanico triestino con la dedica: A
Bartolomeo Biasoletto / Dignanese / Botanico insigne / di questo
già sterile poggio / ravvivatore /
Trieste e l’Istria / riconoscenti
/ 1778.
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Le
stelle alpine del Monte Secco. |
Alcuni fiori della Fritillaria Maggiore fotgrafati
sul Sissol. |
La passione di Enrico Ulrich
Abbiamo già parlato della Fritillaria
Maggiore
(no
such listing, perhaps F. messanensis
or F. liburnica?)
una pianta rarissima che si può trovare a primavera inoltrata tra le
rocce del Sissol, quel monte che sovrasta da una parte Bersezio e
dall’altra la Vallata di Cepich,
pianta endemica presente solo ancora sui Pirenei. Un fatto questo
interpretato male da parecchia stampa nostrana, anche specializzata,
che ne negava la presenza anche se io la pianta l’avevo più volte
trovata e fotografata. Praticamente successe come per le
stelle alpine
del Monte Maggiore, da tutti questi “esperti” ritenuta una
particolarità endemica del Monte Secco (Suhi Vrh) una delle cime
della nostra Caldiera senza sapere che invece erano state
trapiantate su quelle rocce glabre da un cantridano, un appassionato
botanico autodidatta, il cui ricchissimo erbario alla sua morte
venne dalla famiglia regalato all’Università di Padova con la quale
il defunto era in particolar modo legato. Costui si chiamava Enrico
Ulrich, di professione era falegname e modellista e lavorò per molti
anni nelle officine dei cantieri navali.
Le stelle alpine trapiantate
Dato che era figlio di una numerosa
famiglia operaia, Enrico non riuscì a studiare regolarmente, ma
quale magnachilometri fece molte ricerche sulle piante del nostro
territorio, soprattutto del Carso liburnico e del Gorski kotar. Nel
1931 gli venne l’idea di trapiantare le
stelle alpine
dal Risnjak sulle falde rocciose del Monte Secco. Detto fatto. Con
grande attenzione compì quest’opera un po’ fuori regola se vogliamo,
ma la prima volta la sua operazione non ebbe successo, le
stelle alpine
non attecchirono. Il nostro non si perse d’animo. Ripeté la manovra
nel 1934. Con successo questa volta tanto che le piante si
propagarono parecchio in soli pochi anni. Che questa impresa – anche
se non apprezzata dai botanici – abbia un esatto fondamento lo
comprova la lapide posta sulla tomba dell’Urlich che si trova nel
cosiddetto “ferro di cavallo” del cimitero di Cosala. Morto nel
1948, su questa lapide e precisamente sopra la sua immagine sono
state poste due
stelle alpine bronzee a ricordo di quella sua lontana e
appassionante impresa. Che io non avrei conosciuto se non me
l’avesse raccontata quell’Andrea Petrič, alpinista cantridano e
grande amico dell’Ulrich. Ancora una particolarità: la direzione del
Parco Naturale del Monte Maggiore, alla quale ho raccontato questo
fatto, non ha voluto accettarlo come effettivamente accaduto.
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Una foto di Mala Učka
risalente a parecchi anni fa. |
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Un vecchio mulino
alimentato dalle acque periodiche del Torrente dei
gamberi. |
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