IL CAMPANILE DEL PAESE È PERFETTAMENTE ALLINEATO CON QUELLI DI VETTA,
DI SOVIGNACCO E DI STRIDONE
Draguccio: una strada, due piazze e
infinite sorpese
Dalla secondaria che da Cerreto porta a Prodani e scorre
quasi interamente lungo un paesaggio corrugato da rigogliose e docili
alture, cosparse di frassini e lecci - che come i camaleonti, assume
sfumature di un verde intenso d'estate che si tramuta in giallo
arancio o rosso bruno d'autunno e d'inverno - la strada si dirama ad
un certo punto in direzione di un colle che si spinge quasi a dominare
la grande vallata del maggiore affluente del Quieto: il Bottonega. È
da qui che si entra e si esce dal paese. La strada per Draguccio oggi
è questa: una sola. Ma in passato era l'inverso. Nel borgo fortificato
e difeso da un muraglione di pietra quattrocentesco si entrava dalla
parte opposta proprio là dove si trova la chiesetta di San Rocco, una
delle più belle chiesette medievali dell'Istria, affrescata dal famoso
Antonio da Padova e senz'altro la più interessante tra le sette che
arricchiscono il borgo.
Questo luogo deve il suo nome a una piccola draga attraversata dal
torrente Draguć. Un tempo questo borgo era molto più vivace, oggi
purtroppo è quasi spopolato. Cinquant'anni la località aveva almeno
cinquecento abitanti. Oggi le famiglie che vivono qui sono in tutto
una quarantina. Come tanti altri paesini dell'Istria interna,
Draguccio nel corso dell'immediato dopoguerra vide molti dei suoi
abitanti andarsene. Non per questo ha comunque perso fascino. Era ed è
rimasto uno dei borghi più pittoreschi del Pisinese. S'erge a 450
metri d'altezza sul livello del mare.
Dal 1500 in poi
Draguccio, come Colmo, Sovignacco, Lindaro, Chersano e Gimino, si
ritrovò ai confini tra la
Serenissima e la Contea di Pisino, per cui subì spesso le conseguenze
di duri attacchi e terribili razzie. Tanto che antichi documenti
dell'epoca, che parlano delle conseguenze dei saccheggi del 1620,
dovuti agli Uscocchi, rilevano che la popolazione del posto non aveva
più di che nutrirsi se non di bietole e di altre erbe cotte. Ciò
nonostante nelle fertili valli sottostanti il paese, gli abitanti
sopravvissuti alle tragedie continuarono a coltivare la vite e, dal
1750 in poi, anche molte patate e tanto granturco.
Le tracce lasciate a Draguccio da chi dominò in quei tempi lontani sul
borgo sono ancora oggi evidenti su chiese, fontane, bastioni di questo
piccolo paese così ricco di curiosità storiche. Lapidi con iscrizioni
scolpite, stemmi patrizi e leoni di San Marco si individuano un po'
ovunque nel centro dell'abitato.
Chi entrando in paese sosta un attimo nei pressi del piccolo
cimitero per ammirare il bel panorama che da qui si gode su tutto il
villaggio, non mancherà di notare immediatamente i campanili di ben
tre chiese - quello della quarta da qui non si vede - che appaiono
allineati sopra i tetti di case e palazzine, costruite in fila
indiana, una dietro l'altra, su ambedue i margini della via principale
del borgo. Le altre abitazioni, poste tutte in secondo piano, ai lati
della collina, si affacciano sulle grandi distese dei campi coltivati
e dei vigneti circostanti.
Entrati in paese, un centinaio di metri più in là dal
cimitero, in cui si trova la cappelletta medievale di Sant' Eliseo
costruita nel XII secolo, si giunge al sagrato della chiesa della
Madonna del Santo Rosario, che, come la prima, è un'altra piccola
perla d'arte sacra medievale. Da questo primo piazzale, dominato da un
vecchio lodogno il cui tronco sembra ormai stanco di sopportare il
peso delle fronde curve e nodose della sua immensa chioma, la strada
principale, lastricata in pietra, prosegue in linea retta verso la
grande piazza del paese. Ed è qui che - come quando ci si appresta ad
aprire una di quelle scatole che ne contengono altre e altre ancora,
sempre più piccole, ciascuna con una sorpresa - continuerete a
scoprire, uno dopo l'altro, i tanti piccoli segreti della stupenda
Draguccio.
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La chiesa parrocchiale della
Santa Croce |
A partire dalla chiesa parrocchiale dedicata alla Santa Croce: una
costruzione non molto grande, che risale al XV secolo e la quale,
seppur sottoposta nel corso dei secoli a diversi interventi di
ristrutturazione e rinnovo, è riuscita a mantenere integra la sua
bella facciata gotica. È una chiesa a tre navate che oltre a custodire
al suo interno un grande e prezioso fanò in legno settecentesco, tutto
dorato e intagliato, conserva tra i suoi tesori anche alcuni raffinati
calici e un preziosissimo ostensorio del 1500. Quest'ultimo
rappresenta un raro e curioso esempio di arte artigianale dell'epoca:
sopra un ampio piede di base si erge un fusto con raffigurati, in
rilievo, i volti degli angeli e gli strumenti della passione di
Cristo: a partire da sotto, ammirandolo verso l'alto, si notano in
prima fila la croce, la corona di spine, i chiodi e il velo della
Veronica; nella seconda vengono raffigurati martello, scala, spugna,
lancia e tenaglie. Intorno alla teca l'abilissimo artista che ha
cesellato questa piccola opera d'arte ha voluto raffigurare poi i
flagelli: il coltello e l'orecchio che San Pietro tagliò a Malco al
momento dell'arresto do Gesù. Sul cupolino infine appaiono raffigurate
la borsa, la tunica, il gallo e una mano trafitta.
Ritornando alla chiesa, l'altare maggiore, in marmo, del
1866, è arricchito dalle statue in pietra di San Pietro e San Paolo e
da un olio su tela raffigurante San Fabiano e San Sebastiano del 1849,
opera del dignanese Venerio Trevisan. All'entrata due belle
acquasantiere. Il campanile esterno, alto 28 metri e provvisto di due
campane, è staccato dalla chiesa. Fu costruito nel 1847 e sono in
pochi a sapere che è perfettamente allineato con i campanili delle
chiese di Vetta, della vicina Sovignacco e della piuttosto lontana
Stridone.
Una volta visitata la
parrocchiale e ritornati in piazza merita soffermarsi ad ammirare la
palazzina più bella del borgo che era una volta il fondaco, sotto alla
quale passa uno dei più bei porticati del borgo e recarsi nella parte
a nord ovest del paese, dove si notano ancora i resti dell'antico
castello: alcuni contrafforti e un bastione rotondo che si adagiavano
in passato alle case adiacenti le cui mura avevano a loro volta
funzione di difesa. Un po' più in là si giunge allo spiazzo verde sul
quale domina la bellissima chiesetta di San Rocco e San Sebastiano che
è forse il più bel gioiello d'arte sacra del luogo. Da qui si gode tra
l'altro anche di un meraviglioso panorama: dall'alto di questo
cucuzzolo la vista si estende sull'intero vallone del Bottonega.
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Il leone marciano di Draguccio |
Lo stemma di Basadonna |
A difendere l'acqua preziosa, un baffuto mascherone e un rubinetto di piombo
a forma di testa di serpente
Ogni angolo della piazza principale di Draguccio - dominata dall'alto
campanile della parrocchiale di Santa Croce e da una decina di imponenti
bagolari che d'estate riparano dal sole il belvedere che è rivolto alle colline
circostanti e la singolare fontana pubblica, posta al centro del vasto piazzale
rettangolare - cela un briciolo di storia.
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La fontana di Draguccio |
Il rubinetto in piombo |
A impreziosire la fonte che si trova proprio
dirimpetto alla torre campanaria, c'è uno di quei baffuti mascheroni dagli occhi
sgranati e dall'aria seria che così spesso decorano, un po' ovunque in Istria,
anche i portoni dei palazzi. L'hanno scolpito proprio sopra il rubinetto un po'
rudimentale dal quale un tempo sgorgava l'acqua: è una semplice una canna di
ferro ormai arrugginita alla cui parte esterna, rivestita di piombo, un ignoto
artista ha dato la forma di una testa di serpente. Due figure oscure e
minacciose alle quali sembra quasi che qualcuno abbia affidato apposta il
compito di intimorire chi si avvicinava alla fontana, come a voler urlargli in
faccia: "Bada a non sprecarla quest'acqua, che è preziosa!". Prima dell'arrivo
dell'acquedotto anche qui, come altrove in Istria, c'era infatti penuria d'acqua
e quella fonte, alimentata da una sorgente naturale, nei periodi di grande
siccità seccava. Sotto un altro dei grandi lodogni c'è il tavolo in pietra
intorno al quale in passato si raccoglievano i saggi del luogo.
Sui lati murati di un terrapieno di difesa,
costruito nel lontano 1570, sotto l'insegna gentilizia del provveditore veneto
che lo fece erigere, un'iscrizione latina del 1625 recita: "Francesco Basadonna provisori Istriae generali senatori inegerrimo huius castri benigno
restaurato comunitates Dra-guchi exanmi gratitudine P.". Una frase che rende
merito a quel ricco e potente Basadonna, provveditore veneto per l'Istria il
quale, dopo i danni subiti dal villaggio nelle guerre dell'epoca, fece
restaurare il borgo.
Incassato sul muro di cinta dello stesso bastione ma dall'altra parte,
scolpito di faccia, c'è un piccolo e baffuto leone di San Marco con il libro
aperto, scolpito in un masso di pietra bianca di dimensioni ridotte. È quasi
identico a quello finito secoli or sono da Gradigne a Montona, oggi murato nel
lapidario che rende monumentale la porta principale di questa cittadina che da
Draguccio dista soltanto pochi chilometri.
Sette chiese: ciascuna è un museo
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Chiesetta di San Rocco e San
Sebastiano |
Chiesa cimitero |
Le chiese medievali
del paese sono testimoni più validi della lussuosa ricchezza che
Draguccio aveva in passato. Sono ben sette. La piú antica, del XIII
secolo, é la cappelletta del piccolo cimitero che è consacrata a Sant'
Eliseo.
Al
suo interno custodisce degli stupendi affreschi di chiaro stile
romanico occidentale. Non si sa con certezza chi sia stato a dipingere
queste opere d'arte ma in compenso si è certi che a realizzare quelli
altrettanto preziosi della chiesetta di San Rocco e San Sebastiano -
che si trova un po' isolata in mezzo a un prato dall'altra parte del
paese, sul ciglio della spianata del promontorio di Draguccio, e che
ai tempi delle epidemie di peste era chiesa votiva – fu, nel 1529 e
nel 1537, il famosissimo Antonio di Padova, autore della ben nota
“Danza macabra” che impreziosisce la chiesina della Santa Maria delle
Lastre a Vermo. La chiesetta di San Rocco e San Sebastiano appartiene
all'architettura sacrale tardogotica della prima metá del XVI secolo.
Ha un bel porticato sorretto da cinque colonne e un piccolo campanile
a vela monoforo. La colonna centrale, che si trova dirimpetto alla
bellissima porta romanica dagli stipiti scolpiti, ha in effetti
funzione di altare all'aperto. È l'unico esempio di questo tipo in
Istria.
La facciata principale
ha due minuscole finestre quadrangolari simmetriche. Accanto
all'uscio, sovrastato dall'effigie scolpita e stilizzata di un angelo
e di una croce, c'è, incassata alla parete, un'acquasantiera rotonda
in pietra. Ma ciò che rende questa chiesa particolarmente interessante
sono gli affreschi interni. Sulle pareti laterali, sul soffitto a
volta gotica bombato, che termina ad arco ogivale e sopra l'unico
piccolo altare, un vero e proprio ciclo di pitture di una forza
espressiva che lascia effettivamente tutti a bocca aperta. Sono
trentadue riquadri affrescati che raccontano la vita di Cristo: scene
della Natività, della cavalcata dei Re Magi, della Fuga in Egitto, di
Cristo, Pilato ed Erode della presentazione al Tempio.
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Chiesa della Madonna del
Rosario |
Subito sopra l'altare
Antonio da Padova ha raffigurato racchiudendoli in un perimetro
rettangolare, quasi a volerli incorniciare in un quadro, San Rocco,
San Sebastiano ed il vescovo Fabiano. Le tre immagini sono affiancate,
dall'una e dall'altra parte, dalle figure di altri quattro santi. Su
tutto dominano i dipinti, anche se molto sbiaditi e danneggiati,
dell'arcangelo Gabriele e della Vergine. In una cornice posta ai piedi
della figura dell'angelo sta scritto “L'Annunziata da Fiorenza" e in
un'altra si leggono in numeri romani anno ed il nome dell'artista:
“An. D. MDXXXIIIIIII Autore Paduan Pinxit".
A confronto con opere d'arte di questo calibro quelle custodite nella
bella parrocchiale della Santa Croce, per quanto degne di menzione,
perdono un po' di peso anche perché sono meno antiche: l'A confronto con opere
d'arte di questo calibro quelle custodite nella bella parrocchiale
della Santa Croce, per quanto degne di menzione, perdono un po' di
peso anche perché sono meno antiche: l'organo è del 1717, e la pala
dell'altare che a sua volta raffigura San Fabiano e San Sebastiano,
fu dipinta nel 1848 dall'artista dignanese ottocentesco Venerio
Tervisan. All'interno comunque, oltre a conservare un vero tesoro tra
arredi liturgici, paramenti sacri, ostensori e preziosi calici, ci
sono anche delle lapidi tombali del 1717. Merita infine far visita
alla chiesina della Madonna del Rosario, costruita nel 1641 al posto
di una chiesa precedente della quale conserva l'altare con la statua
tardo gotica della Madonna di Carmelo e una statua di San Silvestro.
Per l'Epifania in chiesa si fa il bilancio di funerali, matrimoni e battesimi
Scherzando sull'argomento gli abitanti del
posto vi racconteranno che a Draguccio negli anni duri e difficili della guerra, si soffriva la
fame. Ma qui la gente ha sempre coltivato molto mais e di polenta ne aveva a
sufficienza: e una cotenna in un modo o nell'altro, la si recuperava, per dare
un po' di sapore alla tradizionalissima minestra di "bobici".
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Sandro Grozich |
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"Prima dell'esodo qui eravamo in tanti - ci racconta a proposito Sandro
Grozich che incontriamo all'uscita della sua stalla dopo aver passeggiato un po'
per le suggestive calli del luogo.
"A quei tempi il paese aveva sì e no cinquecento persone. Qui c'erano almeno
45 famiglie" - ci spiega, invitandoci a entrare nella sua cantina dove ci fa assaggiare poco dopo un ottimo bicchiere di malvasia. Ci
racconta anche che il paese un tempo era comune, che aveva una scuola, una
banda, un panificio, una macelleria. Aveva addirittura dei servizi pubblici di
nettezza urbana. Poi vennero i tempi in cui dicevano che "non era Tito a volere
l'Istria ma che era l'Istria che voleva Tito"... e tantissima gente se ne andò.
"Oggi qui siamo rimasti davvero in pochi" - ci spiega con una punta di
nostalgia nella voce Sandro Grozich, ricordando gli anni ormai lontani in cui in
paese c'era ancora la scuola. "Ora saremo in tutta una ventina di famiglie. Sono
rimasti a vivere in paese soltanto coloro che hanno ancora la forza e la voglia di lavorare la terra e di fare la dura vita contadina. Più che
altro gente anziana" - ci spiega. "E siamo sempre di meno. Basta dirvi che
l'anno scorso abbiamo avuto 18 funerali, un unico sposalizio ed un solo
battesimo" - aggiunge, spiegandoci che a Draguccio, all'inizio di ogni nuovo
anno, in occasione dell'Epifania, si rispetta ancora l'antica abitudine di fare
una conta di questo tipo in chiesa, insieme al parroco.
Poi con una punta d'orgoglio aggiunge: "Mio figlio per fortuna vive ancora
qui. Ha messo su casa in piazza con la sua famiglia, mi dà una mano e io e mia
moglie, a differenza di altri anziani rimasti, grazie a Dio, abbiamo la fortuna
di goderci ogni giorno i nostri bei nipotini".
Per queste calli hanno recitato Nastassja Kinski, Sandra Ceccarelli, Gerard
Depardieu e Michael York
Con la sua atmosfera, la sua bellezza e il suo fascino Draguccio non incanta
soltanto turisti occasionali. Ammalia anche scenografi, registi e cineasti.
Tanto che per le suggestive calli di questo borgo - che seppur semi disabitato è
riuscito a mantenere integre tutte le caratteristiche della classica, piccola
cittadina medievale - sono state effettuate le riprese di decine di film e di
documentari. Le stradine e le palazzine di questo luogo hanno stregato anche i
produttori di Hollywood. Qui anni or sono il regista californiano Steve Boyum ha
effettuato le riprese del suo film "La moschettiera" ("La Femme Musketeer"),
con nei ruoli principali l'affascinate bella berlinese Nastassja Kinski e attori
del calibro di Gerard Depardieu e
Michael York. Che dire di più, sulla bellezza
del luogo, se l'incantevole Draguccio è riuscita ad averla vinta in
quell'occasione, seppure in acerrima concorrenza con le località di mezza
Francia sulle quali poteva facilmente cadere la scelta dello staff per
effettuare le riprese di una storia che racconta le vicende romanzate della
figlia del leggendario D'Artagnan? In un film di produzione croata incentrato
sulla vita e sull'opera di Marin Držić, nel quale recita anche l'attrice
milanese Sandra Ceccarelli, la minuscola Draguccio ha assunto addirittura le
sembianze della bella Firenze. Moltissime scene di questo film diretto dal
regista Veljko Bulajić sono state effettuate infatti a palazzo Zanelli, che è
una delle costruzioni più rappresentative del borgo e nella chiesa parrocchiale
di Santa Croce.
Tratto da:
-
La Voce del Popolo, 15 gennaio 2005 -http://www.edit.hr/lavoce/050115/reportage.htm
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