La storia, arte e cultura di Duecastelli - Dvigrad

di Dario Alberi

In mezzo all'Istria, fuori da ogni circuito turistico, su uno sperone di roccia che spunta in mezzo alla valle della Draga, l'antico proseguimento in terraferma del canale di Leme, si trova una piccola Pompei medievale abbandonata da tre secoli e, da quel tempo, per nulla mutata. Lo scheletro di Duecastelli, detto Docastei dagli Istriani, si presenta ora con le mura in rovina e con le torri, i bastioni e le case in parte diroccate. È uno spettacolo veramente interessante, oltre che singolare e pittoresco, come la sua storia e la sua fine. Questa scena affascinante la si ammira in special modo voltando le spalle al sole durante il tramonto che colora il tutto di un effetto rossastro e che fa evidenziare i corsi obliqui del calcare che strapiombano sul fianco del vallone. 

Questa località, senz'altro da vedere, la si raggiunge dal Canal di Leme prendendo la strada per Canfanaro e da qui si scende nella valle sottostante [1421] lungo una bella strada asfaltata, un potortuosa, che supera l'avvallamento per dirigersi poi a San Lorenzo del Pasenatico passando per Morgani e Villanova al Leme. Ora è stata realizzata una superstrada che dalla Flavia, in località Medaki, porta a Canfanaro superando la Draga su un grande ponte a cinque campate alto 170 m, a circa 1 km a sud di Duecastelli. 

Questo castello fu una cittadina notevole nel tempo della sua massima prosperità, dal XIV al XVI secolo e le sue case, oltre la cinta muraria, erano inerpicate sulle sponde del vallone; allora la sua popolazione superava i 1000 abitanti ed il suo territorio comprendeva, all'incirca, tutto l'attuale comune di Canfanaro che, fino all'abbandono di Duecastelli da parte della popolazione, fu a questo soggetto.Il suo nome deriva dall'esistenza, nelle sue immediate vicinanze, attorno al Mille, di un altro maniero. Nel basso medioevo l'attuale Duecastelli si chiamava Moncastello mentre l'altro, di appoggio al primo, aveva il nome di Castel Parentino. In questo sito l'uomo s'insediò in epoca preistorica e nell'antico castelliere furono ritrovate anche ceramiche del tipo praghese, il che denota un'ancora più lontana origine illirica. Dopo un lungo intervallo di abbandono del castelliere, seguito all'occupazione romana del 177 a.C, entrambe le antiche fortificazioni di Moncastello e Castel Parentino furono erette nel VI secolo; a tale epoca si riferiscono i reperti rinvenuti durante i recenti scavi archeologici. Tra di essi spicca un'ara votiva, di epoca romana, dedicata ad un cittadino polese, che ricorda la divinità autoctona istriana Eia, molto onorata in questo luogo situato ai confini tra l'agro polese e quello parentino. Nell'iscrizione la divinità viene definita, in forma sincretica, come Eia Augusta.

I castelli ebbero la duplice funzione di dimora sicura per i loro abitanti e di rifugio per quelli del circondano, già fuggiaschi dall'Istria nord-orientale e dai territori della Pannonia e del Norico, a causa delle invasioni barbariche. Castel Parentino, con una poderosa torre della quale rimangono le fondazioni, posto sulla sponda destra della Draga, scomparve nel tardo medioevo e Moncastello, divenuto un piccolo centro urbano, assunse il nome comune di Duecastelli. Le rovine che ora si possono visitare sono circoscritte in un perimetro ovalizzato. Vi si accede per l'unico ingresso attraverso un passaggio tra le due muraglie che difendono il borgo esterno nella parte meridionale, superando una triplice porta ad arco rotondo. Si continua fra stretti vicoli e piazzole, dove emergono parte dei ruderi delle antiche case, tutte in pietra calcarea, e culminanti nel punto più alto con i resti dell'antico complesso romanico della basilica di Santa Sofia.

Quest'ultima troneggiava sopra la piazzetta principale nella quale esistevano i palazzotti del Comune, del Podestà, del Capitolo ed il Fondaco, tutti in calcare a corsi regolari. In mezzo alla piazzetta si ergeva il pilo in pietra del 1475, con l'arma del podestà Francesco Almerigotti, nobile capodistriano, che reggeva il gonfalone della Serenissima. La cittadina, in caso di assedio, si approvvigionava d'acqua da una grande cisterna, di forma rettangolare, situata ad oriente del borgo e costruita nel 1443 sopra una risorgiva. Le fortificazioni attuali di Duecastelli, ancora possenti, un tempo merlate alla guelfa, furono restaurate da Marco Loredan nei primi anni del XVII secolo e da recenti scavi archeologici possono essere datate al VI o VII secolo. Le sculture in pietra, preromaniche ad intreccio, e le pitture murali dell'abside di Santa Sofia risalente all'VIII secolo, ormai scomparse, fanno parte delle testimonianze della continuità dello sviluppo delle arti e della cultura istriane. I reperti archeologici trovati nel cimitero, dell'epoca fra [1424] , il V  l'XI secolo, e della parte paleocristiana della fine del V secolo della basilica di Santa Sofia, attestano la sua lontana origine, benché la maggior parte dei resti appartengano al quarto decennio del secolo XIII. Questi reperti scultorei sono ora a Pola, nel lapidario di S. Francesco. Interessante è una lastra di pietra sulla quale è raffigurato l'Albero della Vita, collocata da un'iscrizione nel 1245. 

La basilica di Santa Sofia, costruita nei secoli VII e VIII sopra le rovine di [1425] una chiesa più antica è nata a navata unica con tre absidi interne. Venne poi , ampliata, nel 1249, in tre navate, sempre entro un perimetro rettangolare, tsostenute da cinque colonne per lato e con tre absidi semicircolari, a somic glianza della coeva chiesa parrocchiale di San Lorenzo al Pasenatico. Altre iscrizioni riportano dati che ricordano la nobile famiglia polese dei De Castro, potenziali committenti e organizzatori dei cospicui lavori di riedificazione della basilica nel 1249. Lunga 25 metri e larga la metà, nel suo essenziale [1426] stile romanico, era stata costruita sopra una cavità naturale trasformata in cripta. La facciata era ornata da sei lesene e vi si accedeva lungo due scalinate ai lati della porta arcuata. Fu ricostruita nuovamente nel 1381 ed ora rimangono in piedi solo le pareti perimetrali con la scala d'accesso laterale. All'intemo della basilica si vedono rocchi di colonne, tombe scoperchiate con i bordi in pietra calcarea scolpiti e decorati. La quinta anteriore della navata destra, miracolosamente ancora in piedi con il suo grande arco, è pericolosamente inclinata; sarebbe necessario un pronto intervento di puntellazione per evitare il probabile crollo. 

Il vescovo Tommasini di Cittanova, che la visitò nel XVII secolo, raccontò che nell'abside centrale vi era rappresentata Gerusalemme semidistrutta e un'armata navale composta da galere.Altre rappresentazioni affrescate mostravano scene dell'Antico Testamento con la passione di Cristo. La chiesa possedeva un pergamo, o pulpito esagonale, del XIII secolo, tutto in marmo istriano e che ricorda il primo periodo dell'arte gotica, con sei colonnine ed il parapetto decorato con sculture varie e l'insegna civica; una statua di Santa Sofia regge i due castelli turriti ed illeggìo a libro poggia su una colomba. Tutto ciò è oggi visibile nella chiesa parrocchiale di Canfanaro. In questa località venne traslato anche il fonte battesimale risalente all'anno 1249, con i nomi del gastaldione Facina e del diacono Enrico, ma quest'opera pregevole era scomparsa già nell'altro secolo. Nel suo ampio territorio erano soggette alla collegiata di Duecastelli ben 27 chiese, in parte scomparse, in parte inserite nei paesi che si formarono attorno a queste, talvolta assumendone il nome. 

Ai piedi del colle, sul fondo della valle, fu eretta la chiesa sepolcrale romanica di Santa Maria o Madonna del Lacuzzo il cui predicato deriva da laghetto.All'interno contiene interessanti affreschi dipinti da Giovanni degli Orefici da Pinguente eseguiti nel 1487 e raffiguranti scene del Nuovo Testamento e della Madonna. Euna costruzione in pietra calcarea squadrata, a corsi regolari, con un campaniletto a vela sulla facciata con una bifora. Sopra il portale, un affresco sbiadito della Madonna, incoronata da due angeli, è protetto da un protiro ad arco gotico, pure in pietra, formato da un tettuccio sostenuto da due mensoloni. All'interno, l'abside semicircolare è inscritta nella muratura. La costruzione risale al XIII-XIV secolo. Sul sagrato della chiesa il piccolo [1427] cimitero viene ancora usato dagli abitanti delle vicine località di Coreni e Morgani. Questo venne usato quando l'antico cimitero sul monte S. Antonio, chiamato Kacavanoc dai Croati, venne abbandonato, circa nel XII secolo.

Un'altra cappella dedicata a San Michele, protettore di Leme, si trovava sulla cima dell'alto sperone roccioso che spunta lateralmente alla strada che scende da Canfanaro, poco prima di arrivare a Duecastelli. C'erano ancora altre chiesette fuori le mura: quella di S. Giacomo apostolo e la chiesa di S. Agata presso la quale furono trovate rovine di una costruzione, forse un battifredo di appoggio a Moncastello. Più a valle di questa chiesetta, ora del tutto scomparsa, si trovava la chiesuola di S. Lorenzo; qui, secondo il vescovo Tommasini, furono scoperti bronzi, vetri e monete. Pure la mensa d'altare era formata, pare, da un'antica pietra con una scritta illeggibile. Dalla chiesa cimiteriale di Santa Maria del Lacuzzo, una carrareccia s'inoltra nella valle verso est; dopo 500 metri si nota una bassa elevazione, al centro della vallata coltivata, tutta coperta da una boscaglia e sulla cima di questa collinetta, che si raggiunge per un sentiero, si trova l'antica chiesa di Sant'Elia, tuttora in buone condizioni di conservazione. E una chiesetta del XV secolo, tutta in pietra calcarea ad opera incerta con un grosso architrave monolitico sopra il portale d'entrata, sostenuto da due mensoloni; sopra questo si apre una finestrella a forma di croce. Piccolissime aperture ai Iati contribuiscono all'illuminazione dell'interno. Ha la copertura del tetto in lastre di pietra; un campanile a vela decapitato della parte superiore e una piccola abside circolare, con il tetto conico, completano l'edificio. Un'altra cappella, che ancora resiste al tempo, è quella dedicata a S. Antonio Abate, che si trova sul costone della strada per Canfanaro, cento metri prima di arrivare a Duecastelli, a sinistra per chi scende nella valle. E una piccola costruzione, a blocchi regolari di calcare a corsi, rigidamente tardo-gotica. Del campanile a vela rimane solo la base; il tetto, un tempo in lastre di pietra, è stato recentemente restaurato e ricoperto con tegole. La chiesetta porta ancora i resti di affreschi sulla parete dietro l'altare eseguiti nel XV secolo dallo stesso Giovanni degli Orefici che affrescò la chiesetta della Madonna del Lacuzzo. Questo pittore pinguentino ebbe uno stile proprio, nel quale il carattere tedesco si associò ai forti e marcati accenti italiani e tese a movimentare le figure, spezzando il formalismo e la stabilità medioevali. L'Alisi vide, nel museo di Pola, un'ancona scolpita proveniente da questa chiesa. 

Nelle vicinanze della strada che da Canfanaro scende a Duecastelli, prima dei tornanti che portano a valle, sulla sinistra esisteva un importante monastero benedettino che portò il nome di Santa Petronilla; la tradizione popolare racconta che a fondarlo fu San Romualdo, il leggendario frate troglodita di San Michele al [1428] Leme. Esistono ancora le mura perimetrali alte tre metri, con l'abside della chiesetta sul lato più corto; vi si entra da una carrareccia, che corre lungo uno dei lati, perpendicolare alla strada. Le murature della costruzione, lunga circa 30 metri e larga la metà, sono ricoperte d'edera e soffocate da un intricato viluppo di frassini. L'abbazia durò lo spazio di tre secoli: il primo abate ricordato si chiamava Jerusalem ed il documento nel quale viene nominato è del 1194, mentre nel 1449 risulta essere ultimo abate Benedetto di Tommaso. In quell'anno il convento di Santa Petronilla, ormai abbandonato, venne annesso, per volontà di papa Nicolò V al monastero di San Michele Sottoterra, situato presso Santa Domenica di Visignano. Già, però, nel 1410 il monastero fu abbandonato daiBenedettini per le insufficienti entrate; l'abate Paolo, veneziano,ebbe allora in consegna, comprese le rendite, dal vescovo parentino Giovanni Lombardo, il monastero femminile di Santo Stefano in Cimarè di Parenzo, in quel tempo reso deserto per lo sterminio delle monache uccise dalla peste. Il monastero di Santa Petronilla, nei suoi anni migliori, ebbe una notevole importanza e le sue rendite erano dovute ai possedimenti terrieri che nel tempo, per donazioni varie, si ingrandirono fino al Leme. Nel 1266 metà dei territori del Leme, già posseduti dal cenobio di San Michele al Leme, che era collegato ai Benedettini di Duecastelli, furono ceduti dall'abate Matteo, con il consenso del vescovo Ottone di Parenzo, all'abate Semprebono del vicino monastero di San Pietro in Selve. Dopo il 1449, avvenuta la sottomissione del monastero a quello di San Michele Sottoterra, l'abate di questo cenobio, Francesco da Zara, incaricò un tale Jurio Furlani di Duecastelli di conservare la cappella di S. Maria Assunta, esistente nei pressi dell'abbazia ed appartenente ad una confraternita [1429] religiosa, che faceva capo a Santa Petronilla, la quale non aveva rispettato l'obbligo di celebrare la messa mensile concordata con l'abate. A tale scopo gli cedette in cornrnodato un terreno presso Gimino, dal quale il cenobio ricavava una rendita in frumento e noci. Ora, dell'abbazia di Santa Petronilla rimangono le rovine del monastero ricoperto d'edera e le basse mura della chiesa.

La storia dei due manieri, Castel Parentino e Moncastello, ed in seguito le vicende di Duecastelli, risalgono alla fine del primo millennio. Il territorio di Duecastelli faceva parte, già in epoca romana, dell'agro giurisdizionale polesano, che comprendeva all'incirca l'area tra il Leme e l'Arsa, e ciò durò fino all'occupazione franca di Carlo Magno, alla fine dell'VIII secolo. I due castelli erano dipendenze ecclesiastiche del vescovo di Parenzo che vi percepiva la quarta parte delle decime feudali, il cosidetto "quartese". Precedentemente la chiesa di Duecastelli fu assoggettata al patriarca d'Aquileia Massenzio, nell'832, levandola al vescovo di Pola, da cui dipendeva. I patriarchi la devolsero poi alla diocesi parentina, nel 965. La conferma del conferimento di Moncastello e Castel Parentino alla chiesa parentina risulta in un documento imperiale del 983 rilasciato da Ottone II, nel quale è ricordata la donazione dei due manieri ai vescovi di Parenzo da parte del re Ugo di Provenza, nel 929. Fino alla fine dell'XI secolo la località fu di scarsa importanza ed anche il suo territorio non era molto esteso. 

Nel 996 Ottone III ridette alla chiesa d'Aquileia l'autorità di sottomettere i vescovadi istriani, alla quale questi diritti erano stati tolti nel 967 da Ottone I e confermati poi da Ottone II. Parte delle decime erano devolute al fisco reale, poi passate ai conti d'Istria della famiglia dei conti di Gorizia; ciò generò frequenti questioni fra i due beneficiari, i vescovi parentini ed i conti goriziani. Il patriarca d'Aquileia, al quale il vescovado di Parenzo era sottoposto, verso il Mille, volle confermare i suoi diritti occupando Duecastelli, Valle e Rovigno, per cui al vescovo parentino non rimase che ricorrere al papa Silvestro per intimare al patriarca di ritirarsi dal castello. Appena nel 1010 papa Sergio IV, con un'apposita bolla, assicurò al vescovo di Parenzo il possesso di Duecastelli, minacciando la scomunica contro coloro che avessero violato tale privilegio. Anche l'imperatore Enrico IV, nel 1077, confermò alla chiesa di Parenzo il diritto di percepire le decime eccelsiastiche di questo feudo. La proprietà di Duecastelli fu, però, sempre del patriarca. Nel 1096 il patriarca Volrico degli Eppenstein concesse al gastaldo Guecello o Vedello di Moncastello la sconosciuta località di Montesello fino al porto di Leme con la chiesa di San Lorenzo situata a Cul di Leme, ricordata dal Tommasini, ampliando così notevolmente la sua giurisdizione territoriale. Nel 1177 il vescovo Pietro di Parenzo riuscì ad ottenere una bolla del papa Alessandro III nella quale gli venne confermata ed attrebuita ecclesiasticamente con la protezione apostolica, la chiesa di Duecastelli. Verso la fine del XII secolo, non si sa per quale fatto i conti di Gorizia avevano pretese su una parte delle decime di Duecastelli oltre a quelle di Valle e Rovigno. Sembra che siano stati investiti di questo diritto feudale dai vescovi di Parenzo. Ancora nel 1200 il nobile Leonardo da Valle aveva ottenuto in feudo dal vescovo di Parenzo una parte del territorio di Duecastelli. 

I conti goriziani, che si erano impossessati dopo il 1200, con la forza, anche dei beni del feudo di S. Apollinare della chiesa di Ravenna, infeudarono, circa nel 1220, Giroldo da Pola e sua sorella Valfiorita dei beni di questo feudo nel quale era compresa parte delle decime di Duecastelli. Dopo il passaggio della marca istriana sotto la sovranità della chiesa d'Aquileia, il patriarca Volchero,  nel 1211,confermò al vescovo Fulcherio di Parenzo i suoi diritti su Moncastello e Castel Parentino i quali nel 1289 furono devoluti, per investitura, ad Almerico da Montona e nel 1330 a suo figlio Nicoletto. Tra il 1230 ed il 1250 Duecastelli passò sotto il governo di Capodistria cui appartenne per titolo feudale fino al XVIII secolo, fermo restando alcuni diritti che rimasero al vescovo di Parenzo. Nel 1252, per intervento del vescovo di Parenzo, Giovanni, vennero concordate le divergenze confinarie fra Duecastelli e San Vincenti. Il borgo fortificato di Duecastelli, esclusa la parte delle decime devolute al feudo di S. Apollinare, fu concesso per investitura ai Sergi di Pola, più tardi chiamati Castropola, nel 1251, dal patriarca Gregorio di Montelongo. I Giroldi vendettero poi, nel 1265, la parte delle decime di Duecastelli di pertinenza del feudo di S. Apollinare a Monfiorito di Castropola, il quale ricevette, a sua volta, l'investitura formale dal conte Alberto II nello stesso anno, con delega del patriarca. I conti di Pola divennero in tal modo signori di Duecastelli a tutti gli effetti. 

Il Monfiorito fu in quel tempo, dal 1265 al 1278, giudice provinciale o vicario del marchesato istriano sotto la sovranità dei patriarchi d'Aquileia. Duecastelli era un grande comune, univa a sè parecchie località minori ed era pressoche indipendente da Pola, prima del 1230, avendo, tra l'altro, un proprio tribunale penale e civile. Aveva un proprio Consiglio ed un suo statuto; vi partecipavano i capofamiglia, con alla testa un marico o meriga e due giudici. Quale castello posto ai confini della contea di Pisino, per l'importanza strategica che aveva assunto, fu sottoposto alla giurisdizione di un comando militare e vi era stanziato un adeguato presidio. Nel 1277 a Duecastelli scoppiò una rivolta contro il potere patriarchino, aizzata dai Veneziani e condotta dal gastaldo Merulo, conclusasi con l'uccisione del meriga Serzone e di Lotario, entrambi ufficiali del patriarca Raimondo de Della Torre. Questi scese personalmente in Istria e prese a forza il borgo fortificato affidando poi al Monfiorito il compito di scoprire gli assassini e coloro che avevano commesso furti e saccheggi durante la rivolta; il Monfiorito fu pure obbligato a nominare un nuovo gastaldione al posto del precedente Merulo che aveva appoggiato la rivolta. Dopo la morte di Monfiorito, nel 1278, le decime passarono in successione a suo fratello Nascinguerra II, il quale venne infeudato dal conte di Gorizia nel 1285. Con la fine della guerra fra Venezia ed Aquileia e la susseguente pace di Treviso del 1291, Duecastelli ebbe il perdono del patriarca per aver agito contro Aquileia a favore dei Veneziani e riebbe il governo del suo Comune. 

Nel 1295, in occasione di una delle tante guerre combattute contro i patriarchi dai conti di Gorizia, proprietari della contea di Pisino, Duecastelli con Valle, Albona, Fianona e Pinguente fu occupato dai soldati della vicina Contea; essi furono però costretti a riconsegnarlo, l'anno successivo, al patriarca, dopo l'arbitraggio sentenziato dai giudici Gerardo da Camino ed Artuico di Castello. Nel 1305 l'investitura di Duecastelli passò a Pietro, figlio di Nascinguerra II de Castropola. Nel 1328 gran parte dei terreni di Duecastelli venne in possesso dei fratelli Odorligo e Zolino Merulo di Prata, ma nel medesimo anno il patriarca li riscosse per affidarli a Sergio II ed a Nascinguerra IV de Castropola. Nel XIV secolo il borgo parteggiò talvolta per i Veneziani e probabilmente per un certo periodo si liberò dal potere di Aquileia ma rimase sempre territorio patriarchino. Combattè con i Castropola contro il conte di Gorizia, Giovanni Enrico, nel 1330, e Duecastelli fu poi condannato a rifondere parte dei danni dovuti alle devastazioni perpetrate nel territorio pisinese di Barbana. L'anno successivo i Castropola furono cacciati da Pola e pertanto persero i loro diritti anche su Duecastelli. Appena nel 1368 Fiorino de Castropola, figlio di Nascinguerra IV, potè ritornare a Duecastelli. 

Il Kandler asserì che nel 1354, essendo Duecastelli in quel tempo alleato ai Veneziani, durante il saccheggio di Parenzo da parte dei Genovesi, questi si spinsero fino a questa località diroccandola e danneggiando la chiesa di S. Sofia, ma ciò non è sufficientemente comprovato. Nel 1366 Duecastelli risultò essere ancora proprietà della chiesa di Aquileia e, dopo la nomina del nuovo patriarca Marquardo de Randech, inviò doni al suo Signore. Due anni dopo il patriarca estese l'autorità del capitano della terra d'Albona, Lovrizza, anche sul territorio di Duecastelli e incaricò Lauricha d'Albona, il capitano d'Istria Marcellino ed il nobile Giovanni de Stenberg a redimere una questione confinaria fra il territorio di Duecastelli e la contea di Pisino. Sembra che nel 1377 Duecastelli sia stato nuovamente in mano veneziana, se corrisponde al vero un ulteriore assalto dei Genovesi che l'avrebbero distrutto dopo il saccheggio; questi poi l'avrebbero riconsegnato al patriarca. Il metropolita aquileiese fece nuovamente ricostruire le fortificazioni abbattute per contrapporsi alle pressioni dei Veneti i quali, terminati i combattimenti contro Genova nel 1381, condussero assieme agli abitanti di San Lorenzo del Pasenatico un assalto alle rocche di Moncastello e Castel Parentino, uccidendo in gran parte gli abitanti, bruciando il paese ed asportando le reliquie dei santi Vittore e Corona, protettori di Duecastelli; ancora oggi queste reliquie sono venerate nella parrocchia di S. Lorenzo del Pasenatico. Da allora, Castel Parentino non è più risorto mentre Moncastello fu ricostruito assieme al borgo, che si sviluppò anche fuori le mura. Allora Moncastello cambiò il nome in Duecastelli. 

Le continue guerre fra patriachi, Veneti e conti di Pisino non permettono di accertare con sufficiente sicurezza le posizioni assunte da Duecastelli nelle varie occasioni; dopo la guerra fra i Veneziani ed i Genovesi, alleati del patriarca d'Aquileia, guerra finita con la pace di Torino del 1381, Duecastelli rimase comunque patriarchina. Alla fine del XIV secolo il potere aquileiese, nei pochi borghi rimasti sotto la sua sovranità, si fece sempre più debole e nel 1397, quando il patriarca Antonio I Caetani impose a Duecastelli quale podestà il nobile Ermacora di Cramagna di Udine, ciò suscitò i risentimenti della popolazione che aspirava ad una maggiore autonomia. Fra il 1410 ed il 1411, durante la guerra fra il patriarca Panciera ed i duchi d'Austria, da tempo padroni della contea di Pisino, il capodistriano Lugnano de Lugnani si autonominò rettore di Duecastelli dopo essersi impadronito, in circostanze ignote, del borgo. Nel 1413 una delegazione del comune di Duecastelli si recò a Venezia per chiedere al Doge l'invio di un rettore obbediente e fedele alla Repubblica veneta. Il podestà di Capodistria fu allora incaricato dal Doge di rimuovere il Lugnani, contro il quale la delegazione aveva espresso il suo dissenso, e di nominare un nuovo rettore per amministrare la giustizia. Dopo la definitiva scomparsa nel 1420 del potere temporale dei patriarchi in terra istriana, Duecastelli venne a far parte dei possedimenti veneti e nel 1423 il Doge incaricò il podestà di Capodistria di nominare un podestà per Duecastelli scegliendolo fra la nobiltà di quella città.

Lo statuto di Duecastelli risale al XIV secolo, ancora in epoca patriachina e fu confermato da Venezia nel 1429. Dopo l'annessione a quest'ultima, per tutto il XV secolo Duecastelli mantenne la sua esigua prosperità grazie all'agricoltura ed alla vendita del pietrame e della legna, oltreche alla pesca nel Canal di Leme. Anche in questa località, come in altre della Polesana, si continuò a parlare l'istrioto, un dialetto derivato dall'antica parlata latina, senza influenze veneziane. 

Le carestie e le pestilenze del XVI secolo infierirono sulla popolazione che gradatamente si diradò; pur essendo compensate le perdite con l'immigrazione di genti slave e dalmate e con Croati che, provenienti dalla vicina contea di Pisino annessa all'Austria, cercavano una migliore vita nel territorio veneto, Duecastelli s'immiserì progressivamente in quanto queste nuove famiglie preferirono installarsi in zone più salubri ai bordi della Draga, fondando così i paesi circostanti a Duecastelli, come Coreni, Morgani, Morosini, Sossi, Braicovici ed altri, mentre le più antiche località di Barato, Rojal e Canfanaro accrebbero la loro popolazione. Un tentativo, nel 1601, di queste borgate slave di staccarsi dalla giurisdizione di Duecastelli fu stroncata dalla La Madonna del Lacuzzo decisa fermeiza di Venezia il 1615, per Duecastelli, fu l'anno dell'inizio drammatico della fine del borgo; gli Uscocchi, alleati agli Austriaci, presero d'assalto la cittadella distruggendo tutto ciò che esisteva al di fuori delle mura del castello, compresa la vicina Canfanaro; il nucleo fortificato, rinforzato da nuove opere difensive fatte erigere dal provveditore Marco Loredan, resistette, pur con notevoli perdite. Fu tentata un'estrema ricostruzione ma, nel 1630, durante la grande pestilenza, Duecastelli fu decimata e, per la conseguente mancanza di braccia, progredì la malaria a causa del ristagno delle acque nel vallone e la pressoche totale mancanza di ogni prescrizione igienica. Lentamente ciò comportò l'abbandono di questa località; nella metà del XVlI secolo Duecastelli risulta completamente deserta e con gli edifici in progressivo disfacimento. Il vescovo Tommasini di Cittanova, nel 1650, riferì di aver visto in questo abitato solo tre poveri contadini. Le autorità civili e religiose si erano trasferite stabilimente nella vicina Canfanaro; solamente la chiesa di Santa Sofia conservava ancora il tabernacolo. Nel 1714 il vescovo Antonio Vaira di Parenzo visitò Duecastelli e, rimasto impressionato dalla decadenza della chiesa, fece trasferire, con una solenne processione, il tabernacolo nella chiesa di San Silvestro di Canfanaro decretando così la definitiva fine di questa borgata nella quale, da allora, regnò il silenzio rotto solamente dal gracchiare dei corvi e dal canto lugubre dei gufi. Precedentemente furono trasportati a Canfanaro, oltre i libri ed i paramenti sacri cinquecenteschi, anche il pulpito del XIV secolo con l'ambone esagonale. Assieme a queste opere d'arte furono traslate anche le statue lignee della Madonna e di papa Sisto II, del XV e XVI secolo, e pure la statua di legno della Madonna col Bambino, anch'essa opera del Quattrocento. 

Ora, in questi ultimi anni, la ricerca di nuovi richiami turistici ha fatto sì che le autorità locali si siano mosse piano piano, e che il complesso della cittadina venga valorizzato; forse, fra un certo tempo, Duecastelli potrà rivivere la sua seconda vita.

Tratto da:

  • © Dario Alberi. ISTRIA - storia, arte, cultura. LINT (Trieste, 1997).

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Created: Thursday, January 31, 2002; Last updated: Sunday February 20, 2022
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