La storia, arte e
cultura di Duecastelli - Dvigrad di Dario Alberi
In mezzo all'Istria, fuori da ogni circuito turistico,
su uno sperone di roccia che spunta in mezzo alla valle della Draga,
l'antico proseguimento in terraferma del canale di Leme, si trova una
piccola Pompei medievale abbandonata da tre secoli e, da quel tempo, per
nulla mutata. Lo scheletro di Duecastelli, detto Docastei dagli
Istriani, si presenta ora con le mura in rovina e con le torri, i
bastioni e le case in parte diroccate. È uno spettacolo veramente
interessante, oltre che singolare e pittoresco, come la sua storia e la
sua fine. Questa scena affascinante la si ammira in special modo
voltando le spalle al sole durante il tramonto che colora il tutto di un
effetto rossastro e che fa evidenziare i corsi obliqui del calcare che
strapiombano sul fianco del vallone.
Questa località, senz'altro da
vedere, la si raggiunge dal Canal di Leme prendendo la strada per
Canfanaro e da qui si scende nella valle sottostante [1421] lungo
una bella strada asfaltata, un potortuosa, che supera l'avvallamento per
dirigersi poi a San Lorenzo del Pasenatico passando per Morgani e
Villanova al Leme. Ora è stata realizzata una superstrada che dalla
Flavia, in località Medaki, porta a Canfanaro superando la Draga su un
grande ponte a cinque campate alto 170 m, a circa 1 km a sud di
Duecastelli. Questo castello fu una cittadina notevole nel tempo
della sua massima prosperità, dal XIV al XVI secolo e le sue case, oltre
la cinta muraria, erano inerpicate sulle sponde del vallone; allora la
sua popolazione superava i 1000 abitanti ed il suo territorio
comprendeva, all'incirca, tutto l'attuale comune di Canfanaro che, fino
all'abbandono di Duecastelli da parte della popolazione, fu a questo
soggetto.Il suo nome deriva dall'esistenza, nelle sue immediate
vicinanze, attorno al Mille, di un altro maniero. Nel basso medioevo
l'attuale Duecastelli si chiamava Moncastello mentre l'altro, di
appoggio al primo, aveva il nome di Castel Parentino. In questo
sito l'uomo s'insediò in epoca preistorica e nell'antico
castelliere
furono ritrovate anche ceramiche del tipo praghese, il che denota
un'ancora più lontana origine illirica. Dopo un lungo intervallo di
abbandono del castelliere, seguito all'occupazione romana del 177 a.C,
entrambe le antiche fortificazioni di Moncastello e Castel Parentino
furono erette nel VI secolo; a tale epoca si riferiscono i reperti
rinvenuti durante i recenti scavi archeologici. Tra di essi spicca
un'ara votiva, di epoca romana, dedicata ad un cittadino polese, che
ricorda la divinità autoctona istriana Eia, molto onorata in questo
luogo situato ai confini tra l'agro polese e quello parentino.
Nell'iscrizione la divinità viene definita, in forma
sincretica, come Eia Augusta. I castelli ebbero la duplice funzione di
dimora sicura per i loro abitanti e di rifugio per quelli del
circondano, già fuggiaschi dall'Istria nord-orientale e dai territori
della Pannonia e del Norico, a causa delle invasioni barbariche. Castel
Parentino, con una poderosa torre della quale rimangono le fondazioni,
posto sulla sponda destra della Draga, scomparve nel tardo medioevo e
Moncastello, divenuto un piccolo centro urbano, assunse il nome comune
di Duecastelli. Le rovine che ora si possono visitare sono circoscritte
in un perimetro ovalizzato. Vi si accede per l'unico ingresso attraverso
un passaggio tra le due muraglie che difendono il borgo esterno nella
parte meridionale, superando una triplice porta ad arco rotondo. Si
continua fra stretti vicoli e piazzole, dove emergono parte dei ruderi
delle antiche case, tutte in pietra calcarea, e culminanti nel punto più
alto con i resti dell'antico complesso romanico della basilica di
Santa Sofia. Quest'ultima troneggiava sopra la piazzetta
principale nella quale esistevano i palazzotti del Comune, del
Podestà, del Capitolo ed il Fondaco, tutti in calcare
a corsi regolari. In mezzo alla piazzetta si ergeva il pilo in
pietra del 1475, con l'arma del podestà Francesco Almerigotti, nobile
capodistriano, che reggeva il gonfalone della Serenissima. La cittadina,
in caso di assedio, si approvvigionava d'acqua da una grande
cisterna, di forma rettangolare, situata ad oriente del borgo e
costruita nel 1443 sopra una risorgiva. Le fortificazioni attuali
di Duecastelli, ancora possenti, un tempo merlate alla guelfa, furono
restaurate da Marco Loredan nei primi anni del XVII secolo e da recenti
scavi archeologici possono essere datate al VI o VII secolo. Le sculture
in pietra, preromaniche ad intreccio, e le pitture murali dell'abside di
Santa Sofia risalente all'VIII secolo, ormai scomparse, fanno parte
delle testimonianze della continuità dello sviluppo delle arti e della
cultura istriane. I reperti archeologici trovati nel cimitero,
dell'epoca fra [1424] , il V l'XI secolo, e della parte
paleocristiana della fine del V secolo della basilica di Santa Sofia,
attestano la sua lontana origine, benché la maggior parte dei resti
appartengano al quarto decennio del secolo XIII. Questi reperti
scultorei sono ora a Pola, nel lapidario di S. Francesco. Interessante è
una lastra di pietra sulla quale è raffigurato l'Albero della Vita,
collocata da un'iscrizione nel 1245.
La basilica di Santa Sofia,
costruita nei secoli VII e VIII sopra le rovine di [1425] una
chiesa più antica è nata a navata unica con tre absidi interne. Venne
poi , ampliata, nel 1249, in tre navate, sempre entro un perimetro
rettangolare, tsostenute da cinque colonne per lato e con tre absidi
semicircolari, a somic glianza della coeva chiesa parrocchiale di San
Lorenzo al Pasenatico. Altre iscrizioni riportano dati che ricordano la
nobile famiglia polese dei De Castro, potenziali committenti e
organizzatori dei cospicui lavori di riedificazione della basilica nel
1249. Lunga 25 metri e larga la metà, nel suo essenziale [1426]
stile romanico, era stata costruita sopra una cavità naturale
trasformata in cripta. La facciata era ornata da sei lesene e vi si
accedeva lungo due scalinate ai lati della porta arcuata. Fu ricostruita
nuovamente nel 1381 ed ora rimangono in piedi solo le pareti perimetrali
con la scala d'accesso laterale. All'intemo della basilica si vedono
rocchi di colonne, tombe scoperchiate con i bordi in pietra calcarea
scolpiti e decorati. La quinta anteriore della navata destra,
miracolosamente ancora in piedi con il suo grande arco, è
pericolosamente inclinata; sarebbe necessario un pronto intervento di
puntellazione per evitare il probabile crollo.
Il vescovo
Tommasini
di Cittanova, che la visitò nel XVII secolo, raccontò che nell'abside
centrale vi era rappresentata Gerusalemme semidistrutta e un'armata
navale composta da galere.Altre rappresentazioni affrescate mostravano
scene dell'Antico Testamento con la passione di Cristo. La chiesa
possedeva un pergamo, o pulpito esagonale, del XIII secolo, tutto in
marmo istriano e che ricorda il primo periodo dell'arte gotica, con
sei colonnine ed il parapetto decorato con sculture varie e l'insegna
civica; una statua di Santa Sofia regge i due castelli turriti ed
illeggìo a libro poggia su una colomba. Tutto ciò è oggi visibile nella
chiesa parrocchiale di Canfanaro. In questa località venne traslato
anche il fonte battesimale risalente all'anno 1249, con i nomi del
gastaldione Facina e del diacono Enrico, ma quest'opera pregevole era
scomparsa già nell'altro secolo. Nel suo ampio territorio erano soggette
alla collegiata di Duecastelli ben 27 chiese, in parte scomparse, in
parte inserite nei paesi che si formarono attorno a queste, talvolta
assumendone il nome.
Ai piedi del colle, sul fondo della valle, fu eretta la chiesa
sepolcrale romanica di Santa Maria o Madonna del Lacuzzo
il cui predicato deriva da laghetto.All'interno contiene interessanti
affreschi dipinti da Giovanni degli Orefici da Pinguente eseguiti nel
1487 e raffiguranti scene del Nuovo Testamento e della Madonna. Euna
costruzione in pietra calcarea squadrata, a corsi regolari, con un
campaniletto a vela sulla facciata con una bifora. Sopra il portale, un
affresco sbiadito della Madonna, incoronata da due angeli, è protetto da
un protiro ad arco gotico, pure in pietra, formato da un tettuccio
sostenuto da due mensoloni. All'interno, l'abside semicircolare è
inscritta nella muratura. La costruzione risale al XIII-XIV secolo. Sul
sagrato della chiesa il piccolo [1427] cimitero viene ancora
usato dagli abitanti delle vicine località di Coreni e Morgani. Questo
venne usato quando l'antico cimitero sul monte S. Antonio, chiamato
Kacavanoc dai Croati, venne abbandonato, circa nel XII secolo.
Un'altra cappella dedicata a San Michele, protettore di Leme, si
trovava sulla cima dell'alto sperone roccioso che spunta lateralmente
alla strada che scende da Canfanaro, poco prima di arrivare a
Duecastelli. C'erano ancora altre chiesette fuori le mura: quella di
S. Giacomo apostolo e la chiesa di S. Agata presso la quale
furono trovate rovine di una costruzione, forse un battifredo di
appoggio a Moncastello. Più a valle di questa chiesetta, ora del tutto
scomparsa, si trovava la chiesuola di
S. Lorenzo; qui, secondo il vescovo
Tommasini, furono scoperti
bronzi, vetri e monete. Pure la mensa d'altare era formata, pare, da
un'antica pietra con una scritta illeggibile. Dalla chiesa cimiteriale
di Santa Maria del Lacuzzo, una carrareccia s'inoltra nella valle verso
est; dopo 500 metri si nota una bassa elevazione, al centro della
vallata coltivata, tutta coperta da una boscaglia e sulla cima di questa
collinetta, che si raggiunge per un sentiero, si trova l'antica chiesa
di Sant'Elia, tuttora in buone condizioni di conservazione. E una
chiesetta del XV secolo, tutta in pietra calcarea ad opera incerta con
un grosso architrave monolitico sopra il portale d'entrata, sostenuto da
due mensoloni; sopra questo si apre una finestrella a forma di croce.
Piccolissime aperture ai Iati contribuiscono all'illuminazione
dell'interno. Ha la copertura del tetto in lastre di pietra; un
campanile a vela decapitato della parte superiore e una piccola abside
circolare, con il tetto conico, completano l'edificio. Un'altra
cappella, che ancora resiste al tempo, è quella dedicata a S.
Antonio Abate, che si trova sul costone della strada per Canfanaro,
cento metri prima di arrivare a Duecastelli, a sinistra per chi scende
nella valle. E una piccola costruzione, a blocchi regolari di calcare a
corsi, rigidamente tardo-gotica. Del campanile a vela rimane solo la
base; il tetto, un tempo in lastre di pietra, è stato recentemente
restaurato e ricoperto con tegole. La chiesetta porta ancora i resti di
affreschi sulla parete dietro l'altare eseguiti nel XV secolo dallo
stesso Giovanni degli Orefici che affrescò la chiesetta della Madonna
del Lacuzzo. Questo pittore pinguentino ebbe uno stile proprio, nel
quale il carattere tedesco si associò ai forti e marcati accenti
italiani e tese a movimentare le figure, spezzando il formalismo e la
stabilità medioevali. L'Alisi vide, nel museo di
Pola, un'ancona
scolpita proveniente da questa chiesa.
Nelle vicinanze della strada
che da Canfanaro scende a Duecastelli, prima dei tornanti che portano a
valle, sulla sinistra esisteva un importante monastero benedettino che
portò il nome di Santa Petronilla; la tradizione popolare
racconta che a fondarlo fu
San Romualdo, il leggendario frate troglodita
di San Michele al [1428] Leme. Esistono ancora le mura
perimetrali alte tre metri, con l'abside della chiesetta sul lato più
corto; vi si entra da una carrareccia, che corre lungo uno dei lati,
perpendicolare alla strada. Le murature della costruzione, lunga circa
30 metri e larga la metà, sono ricoperte d'edera e soffocate da un
intricato viluppo di frassini. L'abbazia durò lo spazio di tre secoli:
il primo abate ricordato si chiamava Jerusalem ed il documento nel quale
viene nominato è del 1194, mentre nel 1449 risulta essere ultimo abate
Benedetto di Tommaso. In quell'anno il convento di Santa Petronilla,
ormai abbandonato, venne annesso, per volontà di papa Nicolò V al
monastero di San Michele Sottoterra, situato presso Santa Domenica di
Visignano. Già, però, nel 1410 il monastero fu abbandonato
daiBenedettini per le insufficienti entrate; l'abate Paolo,
veneziano,ebbe allora in consegna, comprese le rendite, dal vescovo
parentino Giovanni Lombardo, il monastero femminile di Santo Stefano in
Cimarè di Parenzo, in quel tempo reso deserto per lo sterminio delle
monache uccise dalla
peste. Il monastero di Santa Petronilla, nei suoi
anni migliori, ebbe una notevole importanza e le sue rendite erano
dovute ai possedimenti terrieri che nel tempo, per donazioni varie, si
ingrandirono fino al Leme. Nel 1266 metà dei territori del Leme, già
posseduti dal cenobio di San Michele al Leme, che era collegato ai
Benedettini di Duecastelli, furono ceduti dall'abate Matteo, con il
consenso del vescovo Ottone di
Parenzo, all'abate Semprebono del vicino
monastero di San Pietro in Selve. Dopo il 1449, avvenuta la
sottomissione del monastero a quello di San Michele Sottoterra, l'abate
di questo cenobio, Francesco da Zara, incaricò un tale Jurio Furlani di
Duecastelli di conservare la cappella di S. Maria Assunta,
esistente nei pressi dell'abbazia ed appartenente ad una confraternita [1429]
religiosa, che faceva capo a Santa Petronilla, la quale non aveva
rispettato l'obbligo di celebrare la messa mensile concordata con
l'abate. A tale scopo gli cedette in cornrnodato un terreno presso
Gimino, dal quale il cenobio ricavava una rendita in frumento e noci.
Ora, dell'abbazia di Santa Petronilla rimangono le rovine del monastero
ricoperto d'edera e le basse mura della chiesa.
La storia dei due
manieri, Castel Parentino e Moncastello, ed in seguito le vicende di
Duecastelli, risalgono alla fine del primo millennio. Il territorio di
Duecastelli faceva parte, già in epoca romana, dell'agro giurisdizionale
polesano, che comprendeva all'incirca l'area tra il Leme e l'Arsa, e ciò
durò fino all'occupazione franca di Carlo Magno, alla fine dell'VIII
secolo. I due castelli erano dipendenze ecclesiastiche del vescovo di
Parenzo che vi percepiva la quarta parte delle decime feudali, il
cosidetto "quartese". Precedentemente la chiesa di Duecastelli fu
assoggettata al patriarca d'Aquileia Massenzio, nell'832, levandola al
vescovo di Pola, da cui dipendeva. I patriarchi la devolsero poi alla
diocesi parentina, nel 965. La conferma del conferimento di Moncastello
e Castel Parentino alla chiesa parentina risulta in un documento
imperiale del 983 rilasciato da Ottone II, nel quale è ricordata la
donazione dei due manieri ai vescovi di
Parenzo da parte del re Ugo di
Provenza, nel 929. Fino alla fine dell'XI secolo la località fu di
scarsa importanza ed anche il suo territorio non era molto esteso.
Nel 996 Ottone III ridette alla chiesa d'Aquileia l'autorità di
sottomettere i vescovadi istriani, alla quale questi diritti erano stati
tolti nel 967 da Ottone I e confermati poi da Ottone II. Parte delle
decime erano devolute al fisco reale, poi passate ai conti d'Istria
della famiglia dei conti di Gorizia; ciò generò frequenti questioni fra
i due beneficiari, i vescovi parentini ed i conti goriziani. Il
patriarca d'Aquileia, al quale il vescovado di
Parenzo era sottoposto,
verso il Mille, volle confermare i suoi diritti occupando Duecastelli,
Valle e
Rovigno, per cui al vescovo parentino non rimase che ricorrere
al papa Silvestro per intimare al patriarca di ritirarsi dal castello.
Appena nel 1010 papa Sergio IV, con un'apposita bolla, assicurò al
vescovo di Parenzo il possesso di Duecastelli, minacciando la scomunica
contro coloro che avessero violato tale privilegio. Anche l'imperatore
Enrico IV, nel 1077, confermò alla chiesa di
Parenzo il diritto di
percepire le decime eccelsiastiche di questo feudo. La proprietà di
Duecastelli fu, però, sempre del patriarca. Nel 1096 il patriarca
Volrico degli Eppenstein concesse al gastaldo Guecello o Vedello di
Moncastello la sconosciuta località di Montesello fino al porto
di Leme con la chiesa di San Lorenzo situata a Cul di Leme,
ricordata dal
Tommasini, ampliando così notevolmente la sua giurisdizione
territoriale. Nel 1177 il vescovo Pietro di
Parenzo riuscì ad ottenere
una bolla del papa Alessandro III nella quale gli venne confermata ed attrebuita ecclesiasticamente con la protezione
apostolica, la chiesa di Duecastelli. Verso la fine del XII secolo, non
si sa per quale fatto i conti di Gorizia avevano pretese su una parte
delle decime di Duecastelli oltre a quelle di
Valle e
Rovigno. Sembra
che siano stati investiti di questo diritto feudale dai vescovi di
Parenzo. Ancora nel 1200 il nobile Leonardo da
Valle aveva ottenuto in
feudo dal vescovo di Parenzo una parte del territorio di Duecastelli.
I conti goriziani, che si erano impossessati dopo il 1200, con la forza,
anche dei beni del feudo di S. Apollinare della chiesa di Ravenna,
infeudarono, circa nel 1220, Giroldo da
Pola e sua sorella Valfiorita
dei beni di questo feudo nel quale era compresa parte delle decime di
Duecastelli. Dopo il passaggio della marca istriana sotto la sovranità
della chiesa d'Aquileia, il patriarca Volchero, nel 1211,confermò
al vescovo Fulcherio di Parenzo i suoi diritti su Moncastello e Castel
Parentino i quali nel 1289 furono devoluti, per investitura, ad Almerico
da Montona e nel 1330 a suo figlio Nicoletto. Tra il 1230 ed il 1250
Duecastelli passò sotto il governo di
Capodistria cui appartenne per
titolo feudale fino al XVIII secolo, fermo restando alcuni diritti che
rimasero al vescovo di Parenzo. Nel 1252, per intervento del vescovo di
Parenzo, Giovanni, vennero concordate le divergenze confinarie fra
Duecastelli e San Vincenti. Il borgo fortificato di Duecastelli, esclusa
la parte delle decime devolute al feudo di S. Apollinare, fu concesso
per investitura ai Sergi di Pola, più tardi chiamati Castropola, nel
1251, dal patriarca Gregorio di Montelongo. I Giroldi vendettero poi,
nel 1265, la parte delle decime di Duecastelli di pertinenza del feudo
di S. Apollinare a Monfiorito di Castropola, il quale ricevette, a sua
volta, l'investitura formale dal conte Alberto II nello stesso anno, con
delega del patriarca. I conti di
Pola divennero in tal modo signori di
Duecastelli a tutti gli effetti.
Il Monfiorito fu in quel tempo, dal
1265 al 1278, giudice provinciale o vicario del marchesato istriano
sotto la sovranità dei patriarchi d'Aquileia. Duecastelli era un grande
comune, univa a sè parecchie località minori ed era pressoche
indipendente da Pola, prima del 1230, avendo, tra l'altro, un proprio
tribunale penale e civile. Aveva un proprio Consiglio ed un suo statuto;
vi partecipavano i capofamiglia, con alla testa un marico o meriga e due
giudici. Quale castello posto ai confini della contea di
Pisino, per
l'importanza strategica che aveva assunto, fu sottoposto alla
giurisdizione di un comando militare e vi era stanziato un adeguato
presidio. Nel 1277 a Duecastelli scoppiò una rivolta contro il potere
patriarchino, aizzata dai Veneziani e condotta dal gastaldo Merulo,
conclusasi con l'uccisione del meriga Serzone e di Lotario, entrambi
ufficiali del patriarca
Raimondo de Della Torre. Questi scese
personalmente in Istria e prese a forza il borgo fortificato affidando
poi al Monfiorito il compito di scoprire gli assassini e
coloro che avevano commesso furti e saccheggi durante la rivolta; il
Monfiorito fu pure obbligato a nominare un nuovo gastaldione al posto
del precedente Merulo che aveva appoggiato la rivolta. Dopo la morte di
Monfiorito, nel 1278, le decime passarono in successione a suo fratello
Nascinguerra II, il quale venne infeudato dal conte di Gorizia nel 1285.
Con la fine della guerra fra Venezia ed
Aquileia e la susseguente pace
di Treviso del 1291, Duecastelli ebbe il perdono del patriarca per aver
agito contro
Aquileia a favore dei Veneziani e riebbe il governo del suo
Comune. Nel 1295, in occasione di una delle tante guerre combattute
contro i patriarchi dai conti di Gorizia, proprietari della contea di
Pisino, Duecastelli con
Valle,
Albona,
Fianona e
Pinguente fu
occupato dai soldati della vicina Contea; essi furono però costretti a
riconsegnarlo, l'anno successivo, al patriarca, dopo l'arbitraggio
sentenziato dai giudici Gerardo da Camino ed Artuico di Castello. Nel
1305 l'investitura di Duecastelli passò a Pietro, figlio di Nascinguerra
II de Castropola. Nel 1328 gran parte dei terreni di Duecastelli venne
in possesso dei fratelli Odorligo e Zolino Merulo di Prata, ma nel
medesimo anno il patriarca li riscosse per affidarli a Sergio II ed a
Nascinguerra IV de Castropola. Nel XIV secolo il borgo parteggiò
talvolta per i Veneziani e probabilmente per un certo periodo si liberò
dal potere di
Aquileia ma rimase sempre territorio patriarchino.
Combattè con i Castropola contro il conte di Gorizia, Giovanni Enrico,
nel 1330, e Duecastelli fu poi condannato a rifondere parte dei danni
dovuti alle devastazioni perpetrate nel territorio pisinese di
Barbana.
L'anno successivo i Castropola furono cacciati da
Pola e pertanto
persero i loro diritti anche su Duecastelli. Appena nel 1368 Fiorino de
Castropola, figlio di Nascinguerra IV, potè ritornare a Duecastelli.
Il
Kandler asserì che nel 1354, essendo Duecastelli in quel tempo
alleato ai Veneziani, durante il saccheggio di
Parenzo da parte dei
Genovesi, questi si spinsero fino a questa località diroccandola e
danneggiando la chiesa di S. Sofia, ma ciò non è sufficientemente
comprovato. Nel 1366 Duecastelli risultò essere ancora
proprietà della chiesa di
Aquileia
e, dopo la nomina del nuovo patriarca Marquardo de Randech, inviò doni
al suo Signore. Due anni dopo il patriarca estese l'autorità del
capitano della terra d'Albona, Lovrizza,
anche sul territorio di Duecastelli e incaricò Lauricha d'Albona, il
capitano d'Istria Marcellino ed il nobile Giovanni de Stenberg a
redimere una questione confinaria fra il territorio di Duecastelli e la
contea di Pisino. Sembra che nel 1377 Duecastelli sia stato nuovamente
in mano veneziana, se corrisponde al vero un ulteriore assalto dei
Genovesi che l'avrebbero distrutto dopo il saccheggio; questi poi
l'avrebbero riconsegnato al patriarca. Il metropolita aquileiese fece
nuovamente ricostruire le fortificazioni abbattute per contrapporsi alle
pressioni dei Veneti i quali, terminati i combattimenti contro Genova
nel 1381, condussero assieme agli abitanti di San Lorenzo del Pasenatico
un assalto alle rocche di Moncastello e Castel Parentino, uccidendo in
gran parte gli abitanti, bruciando il paese ed asportando le reliquie
dei santi Vittore e Corona, protettori di Duecastelli; ancora oggi
queste reliquie sono venerate nella parrocchia di S. Lorenzo del
Pasenatico. Da allora, Castel Parentino non è più risorto mentre
Moncastello fu ricostruito assieme al borgo, che si sviluppò anche fuori
le mura. Allora Moncastello cambiò il nome in Duecastelli.
Le
continue guerre fra patriachi, Veneti e conti di
Pisino non permettono
di accertare con sufficiente sicurezza le posizioni assunte da
Duecastelli nelle varie occasioni; dopo la guerra fra i Veneziani ed i
Genovesi, alleati del patriarca d'Aquileia, guerra finita con la pace di
Torino del 1381, Duecastelli rimase comunque patriarchina. Alla fine del
XIV secolo il potere aquileiese, nei pochi borghi rimasti sotto la sua
sovranità, si fece sempre più debole e nel 1397, quando il patriarca
Antonio I Caetani impose a Duecastelli quale podestà il nobile Ermacora
di Cramagna di Udine, ciò suscitò i risentimenti della popolazione che
aspirava ad una maggiore autonomia. Fra il 1410 ed il 1411, durante la
guerra fra il patriarca Panciera ed i duchi d'Austria, da tempo padroni
della contea di Pisino, il capodistriano Lugnano de Lugnani si
autonominò rettore di Duecastelli dopo essersi impadronito, in
circostanze ignote, del borgo. Nel 1413 una delegazione del comune di
Duecastelli si recò a Venezia per chiedere al Doge l'invio di un rettore
obbediente e fedele alla Repubblica veneta. Il podestà di
Capodistria fu
allora incaricato dal Doge di rimuovere il Lugnani, contro il quale la
delegazione aveva espresso il suo dissenso, e di nominare un nuovo
rettore per amministrare la giustizia. Dopo la definitiva scomparsa nel
1420 del potere temporale dei patriarchi in terra istriana, Duecastelli
venne a far parte dei possedimenti veneti e nel 1423 il Doge incaricò il
podestà di Capodistria di nominare un podestà per Duecastelli
scegliendolo fra la nobiltà di quella città.
Lo statuto di Duecastelli
risale al XIV secolo, ancora in epoca patriachina e fu confermato da
Venezia nel 1429. Dopo l'annessione a quest'ultima, per tutto il XV
secolo Duecastelli mantenne la sua esigua prosperità grazie
all'agricoltura ed alla vendita del pietrame e della legna, oltreche
alla pesca nel Canal di Leme. Anche in questa località, come in altre
della Polesana, si continuò a parlare l'istrioto,
un dialetto derivato dall'antica parlata latina, senza influenze
veneziane. Le carestie e le
pestilenze del XVI secolo infierirono
sulla popolazione che gradatamente si diradò; pur essendo compensate le
perdite con l'immigrazione di genti slave e dalmate e con Croati che,
provenienti dalla vicina contea di
Pisino annessa all'Austria, cercavano
una migliore vita nel territorio veneto, Duecastelli s'immiserì
progressivamente in quanto queste nuove famiglie preferirono installarsi
in zone più salubri ai bordi della Draga, fondando così i paesi
circostanti a Duecastelli, come Coreni, Morgani, Morosini, Sossi,
Braicovici ed altri, mentre le più antiche località di Barato, Rojal e
Canfanaro accrebbero la loro popolazione. Un tentativo, nel 1601, di
queste borgate slave di staccarsi dalla giurisdizione di Duecastelli fu
stroncata dalla La Madonna del Lacuzzo decisa fermeiza di Venezia il
1615, per Duecastelli, fu l'anno dell'inizio drammatico della fine del
borgo; gli Uscocchi, alleati agli Austriaci, presero d'assalto la
cittadella distruggendo tutto ciò che esisteva al di fuori delle mura
del castello, compresa la vicina Canfanaro; il nucleo fortificato,
rinforzato da nuove opere difensive fatte erigere dal provveditore Marco
Loredan, resistette, pur con notevoli perdite. Fu tentata un'estrema
ricostruzione ma, nel 1630, durante la grande
pestilenza, Duecastelli fu
decimata e, per la conseguente mancanza di braccia, progredì la
malaria
a causa del ristagno delle acque nel vallone e la pressoche totale
mancanza di ogni prescrizione igienica. Lentamente ciò comportò
l'abbandono di questa località; nella metà del XVlI secolo Duecastelli
risulta completamente deserta e con gli edifici in progressivo
disfacimento. Il vescovo
Tommasini di
Cittanova, nel 1650, riferì di
aver visto in questo abitato solo tre poveri contadini. Le autorità
civili e religiose si erano trasferite stabilimente nella
vicina Canfanaro; solamente la chiesa di Santa Sofia conservava ancora
il tabernacolo. Nel 1714 il vescovo Antonio Vaira di
Parenzo visitò
Duecastelli e, rimasto impressionato dalla decadenza della chiesa, fece
trasferire, con una solenne processione, il tabernacolo nella chiesa di
San Silvestro di Canfanaro decretando così la definitiva fine di questa
borgata nella quale, da allora, regnò il silenzio rotto solamente dal
gracchiare dei corvi e dal canto lugubre dei gufi. Precedentemente
furono trasportati a Canfanaro, oltre i libri ed i paramenti sacri
cinquecenteschi, anche il pulpito del XIV secolo con l'ambone esagonale.
Assieme a queste opere d'arte furono traslate anche le statue lignee
della Madonna e di papa Sisto II, del XV e XVI secolo, e pure la statua
di legno della Madonna col Bambino, anch'essa opera del Quattrocento.
Ora, in questi ultimi anni, la ricerca di nuovi richiami turistici ha
fatto sì che le autorità locali si siano mosse piano piano, e che il
complesso della cittadina venga valorizzato; forse, fra un certo tempo,
Duecastelli potrà rivivere la sua seconda vita.Tratto da:
- © Dario Alberi. ISTRIA - storia, arte, cultura.
LINT (Trieste,
1997).
|