1899 Pèdena

Pèdena / Pićan - antica terra di fede

Pèdena sta arroccata su di un erto colle (m. 365), affacciato sul comprensorio, bonificato negli anni Trenta, dell'Arsa. A sinistra domina il Monte Maggiore, in giu si stende il Quarnero, «che Italia chiude e i suoi termini bagna», direbbe Dante.

Una buona strada la raggiunge da Pisino, scendendo da Lindaro e Gallignana. Durante Ie nostre escursioni ai castelli istriani, Giusto Borri ed io salimmo da Chersano e l'ultimo tratto fu l'orrenda strada vecchia. La borgata soggiace al criterio medioevale di sfruttare al massimo lo spazio entro lo stretto giro di mura, ora appena riconoscibile. Interessati di tutto, prendemmo visione e documentazione. Piu tardi vi ritornai.

Vicoli contorti abbracciano case di solida muratura, quasi tutte malconce, ma che conservano un ricordo di decoro e di rustica compostezza. Scalinate esterne, a lato arconi di pietra a vista sostengono massicci e congenial! ballatoi, tra i quali luci ed ombre scandiscono scorci pittoreschi. L'ex episcopio mostra porte e balconate barocche di ottima profilatura e davanzali ornati dagli stemmi dei vescovi che ristrutturarono l'edificio. Osservai un dignitoso caseggiato sormontato da beccatelli e lo stupendo camino che vigila sul sottoportico

La Porta Romana
(disegno di G. deFranceschi)

 

 

L'unica porta civica, detta Porta Romana  un tempo erano due  e stata fortificata con piombatoio nel tardo Cinquecento. In fondo fa riscontro una postierla. Cimelio degno d'attenzione per me l'iscrizione romana inserita in un muro (altre purtroppo sono scomparse). Essa, tradotta e ricomposta senza abbreviazioni, laconicamente recita: «Lucio Canalio, figlio di Lucio, della tribu Pupinia, d'anni cinquanta». Memoria sepolcrale che rimanda ad una persona distinta del tempo romano, quando Pèdena era gia fiorente. Difatti, antico castelliere degli Istri, come Monte Medighi, si configura poi come oppido romanizzato delle genti Secusses. All'aperto, un altro manufatto, e una grande pietra mutila, con tre incavi, usata per la misurazione dei grani e dei liquidi.

Pèdena, appartata, ma di ricco territorio arativo e vignato ha estesi prati e boschi, fonti un tempo di colture e di apprezzati prodotti. C'è chi attribuisce a queste terre generose il famoso vino «pucinum», che, secondo gli antichi autori, allietava Ie mense di Livia Augusta.

Anche Pèdena subì invasioni e decadenza per varie cause, ma continue ad avere la sua importanza sotto i Bizantini. Nel Placito del Risano anche Pèdena reclame contro l'ordinamento feudale e contro l'introduzione di famiglie slave (anno 804). La sua notorietà nei secoli e dovuta al fatto che è stata scelta a sede vescovile. Ha una storia che si identifica col suo vescovato e si riannoda alla Contea dell'Istria e alia Signoria di Pisino. Perciò, nonostante la perduta importanza strategica ed economica, ebbe e conserve il rango e il titolo di citta, al pari di Trieste, Capodistria, Cittanova, Parenzo e Pola, sebbene fosse la piu piccola diocesi istriana. Ma forse un tempo comprendeva anche Albona e Fiume, queste definitivamente passate alia diocesi Pola.

II suo primo vescovo noto è Marciano, come pare, il quale sottoscrisse il Sinodo di Grado (571-577). Sino all'epoca della soppressione e del suo assorbimento nella diocesi di Trieste (1788), contava dodici parrocchie: Pèdena, Gallignana, Lindaro, Novacco di Pisino, Cerreto (Cerovlje), Chersicia, Grimalda, Monclavo (Gologorizza), Cherbune, Briani (Berdo), Felicia (Cepich), S. Giovanni d'Arsa (Sant'lvanaz). Inoltre, sei cappellanie, cioè: Sarezzo, Previs, Scopliacco, Tupliacco, Grobnico, e Gradigne. Tutta la diocesi non superava 68.000 anime. Inoltre c'era il piccolo convento della Madonna del Lago con alcuni frati paolini.

 

Chiesa della Annunzione della B. V. Maria

Come Ie diocesi sorelle del Patriarcato di Aquileia, la chiesa Pèdenate era intitolata alia B.V. Assunta e aveva per protettore San Niceforo, che il Kandler, il Gams e altri credono suo primo vescovo (solennizzato il 30 dicembre). Una leggenda narra che questo santo, tornando da Aquileia, dov'era andato per giustificarsi di odiose imputazioni, sia morto a Umago. C'e di piu da dire. Nel culto è stato introdotto un altro S. Niceforo, un'orientale martirizzato sotto Valeriano. II quale è stato assunto come compatrono (festa il 9 febbraio).

La presenza di due santi dello stesso nome lascia assai perplessi gli storici, ma non la devozione popolare. Ambedue, il vescovo paludato e il giovane martire, sono effigiati nelle nicchie angolari della facciata, ai lati del maestoso altare maggiore, nell'argenteria, nonche dipinti in una pala e nell'ovale del soffitto in cattedrale. Probabilmente il culto di S. Niceforo fu introdotto dai Bizantini è creduto un santo locale. Che dire? teniamoci, comunque, in buoni rapporti coi santi.

La serie dei vescovi presenta una sessantina di nominativi, scelti tra stranieri e religiosi eletti dall'imperatore. Pochi risiedettero a Pèdena. Venivano aiutati economicamente con prebende personali in vista anche dei servigi che gestivano a Lubiana e a Vienna per conto del governo. Tra i piu noti ricordo Pascasio, che, vita durante, risiedeva nella sua Gallignana, borgata vicina è più confortevole di Pèdena. Lì eresse il palazzetto vescovile e l'annessa cappella gotica, sola esistente, e colà morì nel 1490. Gli successe il lubianese Giorgio Slatkojna, umanista e musicologo.

Vennero traslati alia piu importante sede tergestina i vescovi Coronini, Marenzi e Vaccano. A proposito di quest'ultimo, 1650-1663, mentre stava a Lubiana, addetto agli affari di corte, scoppio nella Contea una sommossa di sudditi, esacerbati dalla fiscalita feudale, con l'uccisione di due funzionari. La repressione seguita coinvolse pure la gente di Pèdena, che ebbe danneggiato l' episcopio e distrutto l'archivio.

Vescovi sepolti a Pèdena: Giovanni Barbo, da Cosliacco, nel 1547, Giorgio Raitgartler nel 1600, Antonio Zara, da Aquileia, nel 1621, Giuseppe Cecotti nel 1765. Persona illustre e letterato e stato lo gesuita, che curo la sede e decise di ristrutturare la cattedrale. Sul pavimento della chiesa lessi tra i suggelli sepolcrali anche il suo e Ie iscrizioni caratteristiche di confraternite. L'ultimo vescovo è stato Aldrago Antonio de Piccardi, gia decano capitolare di Trieste. Ci rimase ventisei anni, ma quando si pensava di sopprimere la piccola diocesi, passo a quella di Segna (1783). Dopo un anno si ritiro in patria tra i suoi studi, morendo, d'anni 81, nel 1789. Intanto la sede di Pèdena era cessata nel 1788 per volonta di Giuseppe II.

Ecco l'ex cattedrale, adesso sede di un parroco decano. L'edificio medioevale era modesto e pericolante nel 1609, tanto che il vescovo Zara progetto di ampliarlo e consolidarlo. L'impresa si rivelo di estrema delicatezza, dispendiosa e precaria. Sicchè nel secolo seguente si impose la sua integrale ricostruzione, la quale faticosamente si concluse tra il 1753 e il 1771. Determinante il contribute della comunita, delle confraternite e dei vescovi de Rossetti, Cecotti e de Piccardi. Quest'ultimo, che consacrò il maestoso tempio, di sobrio barocco, è benemerito per l'arredamento interno sontuoso l'altare maggiore e per il decoro liturgico (doto il povero Capitolo di un quarto canonico). Sussiste la cattedra vescovile con due banconi corali di legno intagliato, che hanno nel dossale figurine di santi. II tesoro custodisce una croce del secolo XV con simboli e santi lavorati a sbaizo, un prezioso ostensorio di tipo ambrosiano e nove lampade pensili, una delle quali donata nel 1602 dal canonico Pietro Rovis.

1900 Pedena (coll. Pizzi)

Peccato che nulla sia stato utilizzato è conservato della chiesa precedente. Quel secolo non gradiva ricordi romanici e gotici, di struttura semplice, ma più autentica. Usciti all'aperto, ammiriamo il meraviglio  campanile, alto 48 metri, uno dei più belli dell'Istria, di stile veneto. Tralascio di dire che era il sogno dei pedenesi, in gara con tutti i paesi vicini. Prima una instabile impalatura di travi sosteneva Ie campane. Lunghe pratiche intercorsero per il progetto, il finanziamento e per l'approvaizone in sede civile. Se la chiesa partecipò con soli 438 fiorini, vuol dire che l'onere gravo sul comune. Lo comprova la targa sormontata dallo stemma civico, castello murato con tre torri disuguali, e  l'iscrizione cronogrammata, Magnum Petenae decus  se ho letto bene  eretto nel 1886.

Fu castelliere preistorico

Saggio di scavo ci rivelerebbe il sito dell'antico battistero. La chiesetta di S. Stefano è sparita da secoli, visto che la sua area fu venduta a privati nel 1866.

Fuori, al di là del piazzale, e S. Rocco, grazioso tempietto votivo, ricostruito nel 1638, onorando pure S. Sebastiano a ricordo e a protezione contro la peste. Memorabile perciò la sagra del 16 agosto.

A sinistra, poco discosta dal paese, sull'altura battuta dal vento, giace la veneranda chiesa di S. Michele al cimitero. Può narrarci vicende secolari e mostrarci l'atrio caduto. Venne restaurato il tetto, furono aperte due finestre nel 1857. Riportata la statua lignea policroma del santo, fu ribenedetta. Poco resta del cicio pittorico murale, databile nel tardo 1400.

A mio ricordo, stando al Prospetto diocesano, la parrocchia di Pèdena aveva circa 3.000 anime adesso, mi dicono, 1.800  Include l'antica cappellania di S. Caterina, distante a ostro sei chilometri, Ie frazioni e i casolari sparsi. Le trecento persone che abitavano in centro erano di parlata tradizionalmente italiana [o veneziana?]. Comunque anche fuori era usato il nostro dialetto. [Venetian/Veneto is one of the distinct and separate languages of Italy].

Fu castelliere preistorico, di forma circolare, poi fortezza romana posta in cima al vicino monte Calvario, a m 350 di quota. Da lassù dominava la piana degradante dell'Arsa. La sua ubicazione nell'Istria centrale denota l'importanza del paese che fu designato a sede episcopale.

Entrata del castello

Sul monte Calvario gli Histri ebbero un luogo fortificato e conosciuto come il castelliere di Oriz. Si presume che sia da collocare quì l'antica Petina dei celti Secussi che in epoca preromana si stabilirono in questa zona. I Romani, la cui presenza in loco è testimoniata dai numerosi reperti venuti alla luce, quali lapidi e frammenti di pietre lavorate, chiamavano questo abitato Petinum ed anche con il vecchio nome celtico Petina. Esiste ancora a Pèdena un'iscrizione romana murata che ricorda Lucio Canalio della famiglia Pupinia. In quel tempo Pèdena fu libero comune, esente dall'imposta fondiaria fino al IV secolo. Al tempo di Costantino era già borgo fortificato e cinto da mura. Nel VII secolo Pèdena fu investita dalla prima grande invasione degli Avari e dei Vendi, gli antichi Sloveni al loro seguito; nonostante la cruenta resistenza delle milizie bizantine e degli Istriani, la cittadina fu distrutta, le mura demolite ed i caduti furono innumerevoli. Dopo aver conquistato la maggior parte della regione queste orde barbariche non vi si stabilirono ma rientrarono nelle loro sedi originarie. In seguito all'invasione, il vescovado passò in commenda al vescovo di Pola fino all'801, quando esso fu attribuito a S. Paolino, patriarca d'Aquileia. Il territorio di Albona, che fino allora faceva parte della diocesi petenate, rimase unito al vescovado di Pola dal 929. Il vescovo di Pèdena riconobbe la cessione appena nel 1028.

Con l'avvento del feudalesimo, Pèdena venne a far parte dell'impero germanico e partecipò nell'804 al Placito del Risano. Enrico II, nel 1012, confermò l'atto emanato dall'imperatore Ottone III nel 996 il quale, tratto in inganno da un falso documento che asseriva l'appartenenza del vescovado di Pèdena alla chiesa aquileiese, assegnò ai patriarchi di Aquileia la città di Pèdena, con il placito e le decime per tré miglia. Il borgo venne pertanto a sottostare oltre all'autorità spirituale anche a quella temporale dei patriarchi. Le misere rendite di questa diocesi comprendevano le decime e le regalie derivate dai tenitori di Scopliaco e di Tupliacco, assegnazioni territoriali avvenute nei primi secoli di questo millennio, forse conseguite dai metropolitani aquileiesi, ma che non furono mai reali feudi ecclesiastici.

La pietra delle decime

Oltre a questi proventi la diocesi percepiva una parte delle rendite del territorio di Gallignana, di Pisinvecchio, di Vermo e, dal XVI secolo, delle rendite del beneficio di Moncalvo; dal territorio di Pèdena i vescovi ottenevano le decime delle granaglie, del vino e degli animali nonché una quota fissa di vino, chiamata censo episcopale. Nel 1102, i patriarchi di Aquileia ebbero in dono dal conte Ulrico II Weimar tutta la plaga del bacino dell'Arsa e nel 1112 sembra che il patriarca Ulrico de' Eppenstein abbia concesso il feudo di Pèdena ad Enghelberto I degli Eppenstein. I patriarchi aquileiesi, con il consenso dei vescovi di Pèdena, nel XII secolo concessero tutta la plaga di Pisino, compresa Pèdena, a titolo enfiteutico al conte Mainardo di Schwarzenburg, con l'obbligo di ripopolare le campagne deserte ed improduttive. Questi divenne, più tardi, il fondatore della contea di Pisino. Iniziarono così i primi insediamenti slavi della Carniola nelle campagne del territorio ed il vescovado ebbe il compito, dopo aver evangelizzato gli aborigeni, di coinvolgere nella fede cristiana queste famiglie pagane. Pèdena, durante il XIII secolo, divenne proprietà della contea di Pisino.

Antica terra di fede

Il vescovado di Pèdena nel 1214 non fu compreso, fra le diocesi dell'Istria, in quelle in cui i patriarchi d'Aquileia ebbero, per conferma imperiale, diritti di altre regalie, probabilmente per la sua povertà. La chiesa di Pèdena fu ridotta nel 1238 a tale deiezione, che vi abitava appena un canonico. Il vescovo si era ritirato nel monastero di S. Michele in Monte, sopra Pisino. Pare che il patriarca abbia riferito la situazione al papa il quale si rivolse ai vescovi di Trieste e di Cittanova proponendo di conferire al vescovo di Pèdena la cattedra di Obrenburg, non appena fosse stata elevata a cattedrale la chiesa di quella località. Nel 1259 la diocesi di Pèdena fu rovinata quasi completamente in seguito alla invasione degli Ungheresi ed ai quali i patriarchi opposero le milizie comandate da Ottocaro, re di Boemia. In seguito a tale fatto, nel 1262 vi fu probabilmente una forte immigrazione di Croati nel territorio sconvolto e desolato.

Sembra che nel 1262 sia stata assegnata alla mensa vescovile di Pèdena la parrocchia di Linek una località non ben precisata. Nel 1295 il vescovo Ulderico fu sospeso dal patriarca Raimondo della Torre che inviò Matteo di Pola e Giovanni vescovo di Cittanova a sollevarlo dall'incarico. Nel 1342, causa la divisione dei territori della contea di Gorizia, la contea di Pisino, acquisita dai conti di Lurngau due secoli prima per matrimonio, pervenne al conte Alberto IV, ed in quell'atto Pèdena venne chiamata Pyben; poi i feudatari tedeschi stanziati nel territorio istriano la conobbero con il nome di Piebnn, come risulta dall'urbano di Pisino del 1498. L'adattamento fonetico croato fu, com'è ora, Pićan.

Sia i marchesi che i conti tedeschi dell'impero germanico, sia i conti di Gorizia ed ancora più tardi i principi austriaci erano desiderosi, per prestigio e per autorità spirituale, di avere nella contea istriana un proprio vescovo e pertanto la conservazione del vescovado dipese molto da questi fattori, oltre che dall'evangelizzazione delle popolazioni slave chiamate a colonizzare il paese. Pèdena, che faceva parte della contea di Pisino, passò assieme a questa sotto il dominio dei duchi d'Austria nel 1374. Nel 1481 il vescovo petenate Pascazio di Gallignana riconsacrò la chiesa di S. Gregorio a San Daniele del Carso che era stata sconsacrata dopo le atrocità commesse durante una delle tante incursioni turche nel carso triestino. Nel 1492 il vescovo G. Maninger di Pèdena cedette a titolo di avvocazia, alla contea di Pisino, le decime di Novacco di Pisino, di Ceroglie ed altre minori rendite. Il territorio della cittadina fu coinvolto nelle guerre che nei secoli travagliarono la regione istriana; come possedimento austriaco, fu occupata dai Veneziani nel 1508, all'inizio della guerra contro Massimiliano I d'Austria. I Veneziani assegnarono a questa città, quale castellano, Girolamo Venier. L'anno successivo, sotto la pressione delle truppe austriache, i Veneti furono costretti a ritirarsi dal territorio.

Nel 1510 fu vescovo di Pèdena e contemporanemente di Vienna, l'insigne musicista Slatcoina che finì per preferire la capitale austriaca nella quale portò con se la reliquia di un braccio di S. Niceforo, presa a Pèdena. Pèdena fu data in pegno, nel 1555, a garanzia di un prestito richiesto da rè Ferdinando I d'Austria al bergamasco Cristoforo Mosconi ed al conterraneo Giambattista Valvasor. Nel 1608 fu vescovo di Pèdena Antonio Zara, persona di grande cultura, il quale sollevò le sorti della diocesi. Pubblicò nel 1615, a Venezia, la sua opera "De Anatomia Jugeniorum".

Durante la guerra detta degli Uscocchi, nel 1616, milizie venete e mercenari Corsi, sostenuti da contadini Albonesi, penetrarono nella contea fino a Pèdena bruciando i mulini e le case del contado e probabilmente riuscirono ad occupare Pèdena difesa dai Croati del capitano Giovanni Seminich; ma i Veneziani furono costretti a ritirarsi di fronte alla controffensiva austriaca. Nel 1617 ancora una volta il territorio di Pèdena fu devastato dal provveditore veneto Zorzi che però non riuscì a penetrare nel borgo. In quei secoli gravava su tutto il territorio un'estrema miseria, conseguenza delle guerre e delle pestilenze. Devastante fu quella del 1630. Nonostante ciò, la popolazione, fu gravata dalle nuove tasse stabilite dal rinnovato urbario del 1578, dove Pèdena venne considerata città, mentre prima era iscritta come terra murata. Oltre alle solite vessazioni, altri gravami incombevano sugli abitanti: durante le grandi cacce a cinghiali e caprioli, due uomini per ogni casa dovevano mettersi a disposizione dei signori della contea.

La Porta Romana
(disegno di G. deFranceschi)

Nel XVII secolo nel comune di Pèdena la lingua ufficiale era quella italiana per la struttura della popolazione che comprendeva molti italiani che vivevano nella borgata e frequentavano la scuola seminarile. Il ceto borghese era numeroso e pertanto i figli delle famiglie più abbienti studiarono in Italia, in maggioranza all'Università di Padova. Anche l'uso della lingua paleoslava nella litur­gia nelle chiese campestri si interruppe a cavallo dei secoli XVI e XVII.

Eminente personaggio di Pèdena fu Giambattista Podestà, nominato nel 1694 professore di lingue orientali, dopo una lunga permanenza a Costantinopoli alla cattedra creata da Leopoldo I d'Austria. Tradusse dal turco in latino, italiano e tedesco, una cronistoria dei sultani ottomani oltre ad una grammatica delle lingue araba, persiana e turca.

Dopo la grande fame del 1817, accompagnata dall'epidemia di tipo petecchiale, che sconvolse tutta l'Europa ed anche l'Istria, fu eretto un monumento al parroco di Pèdena, Francesco Godenich de Godenberg, poiché in quel triste anno acquistò cereali dai magazzini statali e li distribuì gratuitamente a tutti i suoi parrocchiani.

Pèdena si trova su una collina calcarea, a 10 km da Pisino. La si vede spuntare fra le colline marnoarenacee dove regna un'aria purissima. Le pendici che strapiombano nella piana dell'Arsa favorirono la sua difesa durante il medioevo e fin da tempi antichissimi fu circondata da mura possenti e formidabili di cui ora rimangono solo alcuni resti. Delle ultime fortificazioni è ben conservata ed ora anche restaurata una delle due porte d'ingresso alla cittadina, la Porta Romana del XIV secolo, con un piombatoie provvisto di caditoia che permetteva ai difensori di gettare olio bollente, pece ed altro sulle teste degli assalitori. Fu restaurata nel 1613 dal vescovo Antonio Zara.

S. Giovanni Nepomuceno

Dalle mura, sul lato orientale, si gode un magnifico panorama della piana dell'Arsa, dagli infiniti colori dei campi coltivati. Dinanzi alla porta del borgo, dove si trova una scultura del 1714 posta su una colonna e che rappresenta S. Giovanni Nepomuceno, si trova un parco alberato con enormi lodogni, tigli ed ippocastani; sotto il parco, verso la valle, costruita su un terrapieno è fronteggiata da due tigli si presenta la chiesetta di S. Rocco, eretta nel 1638, dopo la grande pestilenza che devastò tutta l'Istria. È stata restaurata completamente, compreso il porticato sostenuto da colonne tornite e pilastri in pietra; il campaniletto a vela con una bifora è appoggiato alla sommità della facciata ed anche l'interno si presenta decoroso con la statua lignea policroma di & Rocco che si appoggia all'altare.

All'interno del borgo, (come già detto) Pèdena si concesse il lusso straordinario del campanile veneto, il più bello dei moderni campanili istriani, tutto in pietra bianca del luogo, eretto nel 1860. Assomiglia a quello di Rovigno. Il bei campanile cuspidato, isolato e staccato dalla cattedrale, è alto 48 m e porta una torre a base quadrata sopra le quadrifore che si aprono ai lati. Alla base del campanile c'è la pietra delle misure, un grande blocco calcareo con cavità di varie misure e con i fori laterali per lo scarico delle decime delle derrate che qui venivano misurate.

Di nuovo con un`alto aspeto nomino, che sulla unica porta d'ingresso una scultura mostra lo stemma con le mura turrite della città. La cattedrale di S. Niceforo, dedicata alla Beata Vergine Annunziata, a tré navate, spicca fra le case della piazzetta e si presenta vasta ed imponente. Fu ampliata e consolidata, dal 1608 al 1613, dal vescovo Antonio Zara sulle rovine di una precedente del XIV secolo. In tale occasione andarono perdute purtroppo tutte le opere d'arte antiche. Venne rifatta poi completamente fra gli anni 1753 e 1771, in uno stile baroccheggiante alla viennese. Sulla facciata è incastonato lo stemma vescovile e vi sono tré statue centrali che simboleggiano la Madonna con il Bambino, S. Niceforo martire con il castello di Pèdena nelle mani e S. Niceforo anziano e vestito da vescovo. Questi due santi omonimi appaiono strani, creano curiosità e perplessità. Sembra che S. Niceforo confessore ed il suo diacono S. Massimiliano, al ritomo da Aquileia dove si era recato a giustificarsi di odiose imputazioni si fossero fermati ad Umago. Qui, nel 546, entrambi si ammalarono e morirono; furono sepolti nella chiesa di quel luogo.

Le vite ed i miracoli dei due santi Nicefono furono descritti dal vescovo di Pèdena, il nobile triestino Antonio Marenzi nel 1639 il quale dedicò l'opera, stampata a Vienna, a Ferdinando III d'Austria. All'interno della chiesa sono numerose le tombe dei vescovi ed anche sul sagrato esterno, lastricato, si vedono varie pietre tombali, qualcuna con il teschio che fa ricordare l'ineluttabilità del destino umano. Ai piedi della scalinata del presbiterio c'è il sepolcro della confraternita delle Anime del Purgatorio, del 1702; vi sono poi le lapidi sepolcrali del vescovo Giovanni Barbo del 1547 e del vescovo barone Marco Rossetti del 1765. Quest'ultima ha sullo stemma un cavallo che salta fra balze rocciose; l'Aleardi vide una connessione tra il cavallo ed il nobile cognome Rossetti e lo fece risalire dal tedesco Ross.

Due ricchi agricoltori vollero uno stemma sulla tomba ed infatti si vedono scolpite le roncole, la zappa e la mannaia: così è la tomba dei Vretoner del 1755. C'è anche inserito nel pavimento il sepolcro di Antonio Zara del 1621, quello del vescovo Bonifacio Cecotti del 1765 ed infine anche quello dell'ultimo vescovo petinate Aldrago dei Piccardi del 1783. L'interno della chiesa, pur misero, è decoroso e l'unica opera di un certo pregio è il quadro sull'altar maggiore dipinto dal Metzinger. La piazzetta con un enorme tiglio, dominata dalla presenza della cattedrale, si presenta bella e spaziosa mentre il vecchio ghetto, mezzo abbandonato, è stato ristrutturato solo in parte dai pochi abitanti. Presso il Duomo c'era, fino alla fine del 1700, una cappelletta isolata che fungeva da battistero.

Pedena, cisterna (coll. Tagliapietra)

Le vecchie case semidiroccate, che risalgono al 1500, mostrano suggestivi ballatoi, i porticati che precedono e proteggono l'ingresso ai piani superiori; verso la parte strapiombante sulla valle, le Gallette e le stradine scolpite nella viva roccia separano le case piccole, strette, addossate, tutte in pietra calcarea, unite talvolta da archi e porticati. L'ex palazzo vescovile, già distrutto nel 1570 e poi ricostruito, si trova sulla destra appena entrati nel borgo; su una facciata c'è un blasone raffigurante S. Giovanni nell'atto di battezzare Cristo mentre sulla facciata principale un'iscrizione sull'architrave del portone ricorda il vescovo Antonio Zara; molto belle ed inte­ressanti le cornici inferiori in pietra delle finestre su ognuna delle quali sono scolpite in altorilievo due stemmi vescovili. Sul monte Calvario, a quota 367 m, di fronte al cimitero si trova l'antica chiesetta dedicata a San Michele, che nel suo interno contiene parti di un affresco raffigurante Giuda nella scena in cui Cristo si trova davanti a Ponzio Filato, che, come la chiesa, risale alla metà del XV secolo. Sull'altare si appoggia la statua lignea di S. Michele. La chiesetta, in pietra calcarea, è volta verso il cimitero, su uno sperone erboso dal quale la vista spazia sulla piana dell'Arsa. Il piccolo edificio ha un'abside circolare con il tetto in pietra e parzialmente lo è anche il tetto della chiesa; sulla facciata un campaniletto a vela senza campana è posto sopra il portico chiuso completamente da due lati a riparo dalla bora che qui soffia con veemenza. Il cimitero si trova ai piedi del paese, di fronte alla Porta Romana, al di sopra delle nuove costruzioni fuori porta che hanno formato una piccola borgata.

Il mantello vescovile ricamato in oro  regalo di Maria Terese al vescovato di Pèdena

Da Pèdena a Gallignana, sulla sinistra della strada, si notano dei picchi boscosi, molto incisi dai rii che alimentano il torrente Pedrovizza che corre a sud della strada, intercalati da masse calcaree che si prolungano verso sud fino al limite della zona carsica che scende verso Gimino. Quest'area, delimitata dai monti Terba, Babici o Bavichi e del Prete, fa parte del bacino idrografico dell'Arsa. In questa zona si trovano casolar! sparsi e le frazioni semiabbandonate di Rimanici, Medighi, il cui monte omonimo ebbe un castelliere preistorico, e poi Marfani, Squari, ed infine Luchesi che si trova lungo la strada per Pisino.

Ad ovest di Luchesi, tra la strada provinciale ed ilsottostante torrente Palonscine, si trovano le rovine della chiesetta di S. Cristoforo, a 433 m di quota.

Pèdena ora è poco popolata, dopo l'esodo del dopoguerra, e nelle strade silenziose si vedono rari passanti, e quasi disabitata; con qualche casale intorno, conta circa 300 abitanti, quelli che hanno restaurato gli edifici già solidi, anche se trascurati. Ce ne sono alcuni di notevole signorilità (non per nulla tra le due guerre, degli abitanti si diceva «Pedenesi gran signori») con blasoni, architravi incise ed il più appariscente è l'ex palazzo vescovile dalle insegne murate nella facciata. Questa veramente si poteva chiamare una cittadina; per la sua posizione e per le sue strutture ed ordinamento comunale. Narrano le cronache esser stata Pèdena centro vitale e di raccordo tra Fiume e le cittadine della costa occidentale dell'Istria, ma con il tempo, fino all'apertura delle miniere di carbone d'Arsia e Val di Pèdena, molta gente dovette cercare altrove il proprio pane, financo nell'emigrazione oltre Oceano quando non si poteva trovare un imbarco.

I suoi segni di ripresa,... le sue radici e legami dei propri antenati.

Si Pèdena è ringiovanita di molto, grazie ai posti di lavoro facilmente raggiungibili da Albona, Pisino e Pinguente ma specialmente con le nuove industrie leggere di Val di Pèdena, a un tiro di schioppo, che è la sede di Comunità locale per un comprensorio di circa 2.000 persone. Dall'ultima volta che sono salito quassù, in un'afosa giornata d'agosto, qualche anno fa, (a valle sembrava di soffocare e qui trovai refrigerio ri­storatore nell'ombra ventilata degli ippocastani) la borgata ha dato segni di evidente ripresa, si è svegliata dal torpore, i cadenti intonaci di molte case hanno ripreso i colori caldi, rossi e arancione, del restauro dai suoi nuovi abitanti venuti dalla Bosnia durante gli ultimi avvenimenti della guerra Balcanica, ritovando in questo bel paese quasi disabitato la loro permanente dimora, coi soi balconi prima abbandonati ora sono abbelliti da piante e fiori. Una splendida giornata di sole, anche se la bora pizzica le orecchie, sembra sottolineare le piacevoli impressioni naturali sotto un cielo limpido e un paesaggio incantevole tutt'intorno.

Sia prima che oggi molti vengono ad ammirare dal belvedere in cima al colle della svariata panorama intorno, da una sensazione di meraviglia della vallata, e naturalmente dai tanti suoi visitattori sono i profughi che annualmente vi ritornano, ma solo come turisti. Passano e ripassano lentamente tra le antiche vecchie case che si stringono intorno ai ruderi. Visitano la chiesa che li hanno accolti bambini, i cimiteri dove sono sepolti i suoi avi, si soffermano e ricordono la loro tragica infazia piena di ricordi e speraze svanite per sempre,  ...e se ne vanno in silenzio nella loro nuova terra addottiva in diverse parti del mondo come foglie sbatute dal vento. Non per questo loro devono dimenticare il tesoro di cui sono depositati acuratammente nei musei storici, con le profonde radici e legami dei propri antenati.

Mario Demetlica

Tratto da:

  • Tratto dai testi da varii libri e da diversi autori come P. Flaminio Rocchi, Romano Farina, Dario Alberi, Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Centro Culturale Gian Rinaldo Carli & Luigi Parentin, Guida Turistica, ecc. ecc. [A formal bibliography has not been provided.]

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Created: Tuesday, June 15, 2004; Last updated: Friday March 31, 2023
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