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1899 Pèdena
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Pèdena /
Pićan - antica terra di fede
Pèdena sta arroccata su di un
erto colle (m. 365), affacciato sul comprensorio, bonificato negli anni
Trenta, dell'Arsa. A sinistra domina il
Monte Maggiore,
in giu si stende il Quarnero, «che Italia chiude e i suoi termini
bagna», direbbe
Dante.
Una buona strada la raggiunge
da Pisino, scendendo da
Lindaro e Gallignana. Durante Ie nostre escursioni ai castelli istriani,
Giusto Borri ed io salimmo da
Chersano e l'ultimo
tratto fu l'orrenda strada vecchia. La borgata soggiace al criterio
medioevale di sfruttare al massimo lo spazio entro lo stretto giro di
mura, ora appena riconoscibile. Interessati di tutto, prendemmo visione
e documentazione. Piu tardi vi ritornai.
Vicoli contorti abbracciano
case di solida muratura, quasi tutte malconce, ma che conservano un
ricordo di decoro e di rustica compostezza. Scalinate esterne, a lato
arconi di pietra a vista sostengono massicci e congenial! ballatoi, tra
i quali luci ed ombre scandiscono scorci pittoreschi. L'ex episcopio
mostra porte e balconate barocche di ottima profilatura e davanzali
ornati dagli stemmi dei vescovi che ristrutturarono l'edificio. Osservai
un dignitoso caseggiato sormontato da beccatelli e lo stupendo camino
che vigila sul sottoportico
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La Porta Romana
(disegno di G. deFranceschi)
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L'unica porta civica, detta
Porta Romana un tempo erano due e stata fortificata con
piombatoio nel tardo Cinquecento. In fondo fa riscontro una postierla.
Cimelio degno d'attenzione per me l'iscrizione romana inserita in un
muro (altre purtroppo sono scomparse). Essa, tradotta e ricomposta senza
abbreviazioni, laconicamente recita: «Lucio Canalio, figlio di Lucio,
della tribu Pupinia, d'anni cinquanta». Memoria sepolcrale che rimanda
ad una persona distinta del tempo romano, quando Pèdena era gia
fiorente. Difatti, antico
castelliere degli Istri, come Monte Medighi, si configura poi come
oppido romanizzato delle genti
Secusses. All'aperto, un altro manufatto, e una grande pietra
mutila, con tre incavi, usata per la misurazione dei grani e dei
liquidi.
Pèdena, appartata, ma di ricco
territorio arativo e vignato ha estesi prati e boschi, fonti un tempo di
colture e di apprezzati prodotti. C'è chi attribuisce a queste terre
generose il famoso vino «pucinum», che, secondo gli antichi autori,
allietava Ie mense di Livia Augusta.
Anche Pèdena subì invasioni e
decadenza per varie cause, ma continue ad avere la sua importanza sotto
i Bizantini. Nel
Placito del Risano anche Pèdena reclame contro l'ordinamento feudale
e contro l'introduzione di famiglie slave (anno 804). La sua notorietà
nei secoli e dovuta al fatto che è stata scelta a sede vescovile. Ha una
storia che si identifica col suo vescovato e si riannoda alla Contea
dell'Istria e alia Signoria di
Pisino. Perciò, nonostante la perduta importanza strategica ed
economica, ebbe e conserve il rango e il titolo di citta, al pari di
Trieste,
Capodistria,
Cittanova,
Parenzo e
Pola, sebbene fosse la piu piccola diocesi istriana. Ma forse un
tempo comprendeva anche Albona e Fiume, queste definitivamente passate
alia diocesi
Pola.
II suo primo vescovo noto è
Marciano, come pare, il quale sottoscrisse il Sinodo di Grado (571-577).
Sino all'epoca della soppressione e del suo assorbimento nella diocesi
di Trieste (1788), contava dodici parrocchie: Pèdena, Gallignana,
Lindaro, Novacco di Pisino, Cerreto (Cerovlje), Chersicia, Grimalda,
Monclavo (Gologorizza), Cherbune, Briani (Berdo),
Felicia (Cepich),
S. Giovanni d'Arsa (Sant'lvanaz). Inoltre, sei cappellanie, cioè:
Sarezzo, Previs, Scopliacco,
Tupliacco,
Grobnico, e Gradigne.
Tutta la diocesi non superava 68.000 anime. Inoltre c'era il piccolo
convento della Madonna del Lago con alcuni frati paolini.
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Chiesa della
Annunzione della B. V. Maria
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Come Ie diocesi sorelle del Patriarcato di
Aquileia, la chiesa Pèdenate era intitolata alia B.V. Assunta e
aveva per protettore San Niceforo, che il Kandler, il Gams e altri
credono suo primo vescovo (solennizzato il 30 dicembre). Una leggenda
narra che questo santo, tornando da
Aquileia, dov'era andato per giustificarsi di odiose imputazioni,
sia morto a Umago. C'e di piu da dire. Nel culto è stato introdotto un
altro S.
Niceforo, un'orientale martirizzato sotto Valeriano. II quale è
stato assunto come compatrono (festa il 9 febbraio).
La presenza di due santi
dello stesso nome lascia assai perplessi gli storici, ma non la
devozione popolare. Ambedue, il vescovo paludato e il giovane martire,
sono effigiati nelle nicchie angolari della facciata, ai lati del
maestoso altare maggiore, nell'argenteria, nonche dipinti in una pala e
nell'ovale del soffitto in cattedrale. Probabilmente il culto di S.
Niceforo fu introdotto dai Bizantini è creduto un santo locale. Che
dire? teniamoci, comunque, in buoni rapporti coi santi.
La serie dei vescovi presenta una
sessantina di nominativi, scelti tra stranieri e religiosi eletti
dall'imperatore. Pochi risiedettero a
Pèdena. Venivano aiutati economicamente con prebende personali in vista
anche dei servigi che gestivano a Lubiana e a Vienna per conto del
governo. Tra i piu noti ricordo Pascasio, che, vita durante, risiedeva
nella sua Gallignana, borgata vicina è più confortevole di
Pèdena.
Lì eresse il palazzetto vescovile e l'annessa cappella gotica, sola esistente,
e colà morì nel 1490. Gli successe il lubianese Giorgio Slatkojna,
umanista e musicologo.
Vennero traslati alia piu
importante sede tergestina i vescovi Coronini, Marenzi e Vaccano. A
proposito di quest'ultimo, 1650-1663, mentre stava a Lubiana, addetto
agli affari di corte, scoppio nella Contea una sommossa di sudditi,
esacerbati dalla fiscalita feudale, con l'uccisione di due funzionari.
La repressione seguita coinvolse pure la gente di
Pèdena, che ebbe danneggiato l' episcopio
e distrutto l'archivio.
Vescovi sepolti a
Pèdena: Giovanni Barbo, da Cosliacco, nel
1547, Giorgio Raitgartler nel 1600, Antonio Zara, da
Aquileia, nel 1621, Giuseppe Cecotti nel
1765. Persona illustre e letterato e stato lo gesuita, che curo la sede
e decise di ristrutturare la cattedrale. Sul pavimento della chiesa
lessi tra i suggelli sepolcrali anche il suo e Ie iscrizioni
caratteristiche di confraternite. L'ultimo vescovo è stato Aldrago
Antonio de Piccardi, gia decano capitolare di Trieste. Ci rimase
ventisei anni, ma quando si pensava di sopprimere la piccola diocesi,
passo a quella di Segna (1783). Dopo un anno si ritiro in patria tra i
suoi studi, morendo, d'anni 81, nel 1789. Intanto la sede di
Pèdena era cessata nel 1788 per volonta
di Giuseppe II.
Ecco l'ex cattedrale,
adesso sede di un parroco decano. L'edificio medioevale era modesto e
pericolante nel 1609, tanto che il vescovo Zara progetto di ampliarlo e
consolidarlo. L'impresa si rivelo di estrema delicatezza, dispendiosa e
precaria. Sicchè nel secolo seguente si impose la sua integrale
ricostruzione, la quale faticosamente si concluse tra il 1753 e il 1771.
Determinante il contribute della comunita, delle confraternite e dei
vescovi de Rossetti, Cecotti e de Piccardi. Quest'ultimo, che consacrò
il maestoso tempio, di sobrio barocco, è benemerito per l'arredamento
interno sontuoso l'altare maggiore e per il decoro liturgico (doto il
povero Capitolo di un quarto canonico). Sussiste la cattedra vescovile
con due banconi corali di legno intagliato, che hanno nel dossale
figurine di santi. II tesoro custodisce una croce del secolo XV con
simboli e santi lavorati a sbaizo, un prezioso ostensorio di tipo
ambrosiano e nove lampade pensili, una delle quali donata nel 1602 dal
canonico Pietro Rovis.
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1900 Pedena
(coll. Pizzi)
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Peccato che nulla sia stato
utilizzato è conservato della chiesa precedente. Quel secolo non gradiva
ricordi romanici e gotici, di struttura semplice, ma più autentica.
Usciti all'aperto, ammiriamo il meraviglio campanile, alto 48
metri, uno dei più belli dell'Istria, di stile veneto. Tralascio di dire
che era il sogno dei pedenesi, in gara con tutti i paesi vicini. Prima
una instabile impalatura di travi sosteneva Ie campane. Lunghe pratiche
intercorsero per il progetto, il finanziamento e per l'approvaizone in
sede civile. Se la chiesa partecipò con soli 438 fiorini, vuol dire che
l'onere gravo sul comune. Lo comprova la targa sormontata dallo stemma
civico, castello murato con tre torri disuguali, e l'iscrizione
cronogrammata, Magnum Petenae decus se ho letto bene
eretto nel 1886. |
Fu
castelliere preistorico
Saggio di scavo ci
rivelerebbe il sito dell'antico battistero. La chiesetta di S. Stefano è
sparita da secoli, visto che la sua area fu venduta a privati nel 1866.
Fuori, al di là del
piazzale, e S. Rocco, grazioso tempietto votivo, ricostruito nel 1638,
onorando pure S. Sebastiano a ricordo e a protezione contro la peste.
Memorabile perciò la sagra del 16
agosto.
A sinistra, poco
discosta dal paese, sull'altura battuta dal vento, giace la veneranda
chiesa di S. Michele al cimitero. Può narrarci vicende secolari e
mostrarci l'atrio caduto. Venne restaurato il tetto, furono aperte due
finestre nel 1857. Riportata la statua lignea policroma del santo, fu
ribenedetta. Poco resta del cicio pittorico murale, databile nel tardo
1400.
A mio ricordo, stando al Prospetto
diocesano, la parrocchia di Pèdena aveva circa 3.000 anime adesso, mi
dicono, 1.800 Include l'antica cappellania di S. Caterina,
distante a ostro sei chilometri, Ie frazioni e i casolari sparsi. Le
trecento persone che abitavano in centro erano di parlata
tradizionalmente italiana [o veneziana?].
Comunque anche fuori era usato il nostro dialetto.
[Venetian/Veneto is one of the distinct and separate languages of
Italy].
Fu
castelliere preistorico, di forma circolare, poi fortezza romana
posta in cima al vicino monte Calvario, a m 350 di quota. Da lassù
dominava la piana degradante dell'Arsa. La sua ubicazione nell'Istria
centrale denota l'importanza del paese che fu designato a sede
episcopale.
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Entrata del
castello
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Sul monte Calvario gli Histri ebbero un
luogo fortificato e conosciuto come il
castelliere
di Oriz. Si presume che sia da collocare quì l'antica Petina dei
celti Secussi che in epoca preromana si stabilirono in questa zona. I
Romani, la cui presenza in loco è testimoniata dai numerosi reperti
venuti alla luce, quali lapidi e frammenti di pietre lavorate,
chiamavano questo abitato Petinum ed anche con il vecchio
nome celtico Petina. Esiste ancora a Pèdena un'iscrizione romana
murata che ricorda Lucio Canalio della famiglia Pupinia. In quel tempo
Pèdena fu libero comune, esente dall'imposta fondiaria fino al IV
secolo. Al tempo di Costantino era già borgo fortificato e cinto da
mura. Nel VII secolo Pèdena fu investita dalla prima grande invasione
degli Avari e dei Vendi, gli antichi Sloveni al loro seguito; nonostante
la cruenta resistenza delle milizie bizantine e degli Istriani, la
cittadina fu distrutta, le mura demolite ed i caduti furono
innumerevoli. Dopo aver conquistato la maggior parte della regione
queste orde barbariche non vi si stabilirono ma rientrarono nelle loro
sedi originarie. In seguito all'invasione, il vescovado passò in
commenda al vescovo di Pola
fino all'801, quando esso fu attribuito a S. Paolino, patriarca d'Aquileia.
Il territorio di
Albona, che fino allora
faceva parte della diocesi petenate, rimase unito al vescovado di
Pola dal 929. Il vescovo di Pèdena riconobbe la cessione appena nel
1028.
Con l'avvento del feudalesimo, Pèdena
venne a far parte dell'impero germanico e partecipò nell'804 al
Placito del Risano. Enrico II, nel 1012, confermò l'atto emanato
dall'imperatore Ottone III nel 996 il quale, tratto in inganno da un
falso documento che asseriva l'appartenenza del vescovado di Pèdena alla
chiesa aquileiese, assegnò ai patriarchi di
Aquileia la città di Pèdena, con il placito e le decime per
tré miglia. Il borgo venne pertanto a sottostare oltre all'autorità
spirituale anche a quella temporale dei patriarchi. Le misere rendite di
questa diocesi comprendevano le decime e le regalie derivate dai
tenitori di Scopliaco e di
Tupliacco, assegnazioni territoriali avvenute nei primi secoli di
questo millennio, forse conseguite dai metropolitani aquileiesi, ma che
non furono mai reali feudi ecclesiastici.
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La pietra delle decime
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Oltre a questi proventi la diocesi
percepiva una parte delle rendite del territorio di Gallignana, di
Pisinvecchio, di Vermo e, dal XVI secolo, delle rendite del beneficio di
Moncalvo; dal territorio di Pèdena i vescovi ottenevano le decime delle
granaglie, del vino e degli animali nonché una quota fissa di vino,
chiamata censo episcopale. Nel 1102, i patriarchi di
Aquileia
ebbero in dono dal conte Ulrico II Weimar tutta la plaga del bacino
dell'Arsa e nel 1112 sembra che il patriarca Ulrico de' Eppenstein abbia
concesso il feudo di Pèdena ad Enghelberto I degli Eppenstein. I
patriarchi aquileiesi, con il consenso dei vescovi di Pèdena, nel XII
secolo concessero tutta la plaga di Pisino, compresa Pèdena, a titolo
enfiteutico al conte Mainardo di Schwarzenburg, con l'obbligo di
ripopolare le campagne deserte ed improduttive. Questi divenne, più
tardi, il fondatore della contea di Pisino. Iniziarono così i primi
insediamenti slavi della Carniola nelle campagne del territorio ed il
vescovado ebbe il compito, dopo aver evangelizzato gli aborigeni, di
coinvolgere nella fede cristiana queste famiglie pagane. Pèdena, durante
il XIII secolo, divenne proprietà della contea di Pisino.
Antica terra di fede
Il vescovado di Pèdena nel 1214 non fu
compreso, fra le diocesi dell'Istria, in quelle in cui i patriarchi d'Aquileia
ebbero, per conferma imperiale, diritti di altre regalie, probabilmente
per la sua povertà. La chiesa di Pèdena fu ridotta nel 1238 a tale
deiezione, che vi abitava appena un canonico. Il vescovo si era ritirato
nel monastero di S. Michele in Monte, sopra Pisino. Pare che il
patriarca abbia riferito la situazione al papa il quale si rivolse ai
vescovi di Trieste e di Cittanova proponendo di conferire al vescovo di
Pèdena la cattedra di Obrenburg, non appena fosse stata elevata a
cattedrale la chiesa di quella località. Nel 1259 la diocesi di Pèdena
fu rovinata quasi completamente in seguito alla invasione degli
Ungheresi ed ai quali i patriarchi opposero le milizie comandate da
Ottocaro, re di Boemia. In seguito a tale fatto, nel 1262 vi fu
probabilmente una forte immigrazione di Croati nel territorio sconvolto
e desolato.
Sembra che nel 1262 sia stata assegnata
alla mensa vescovile di Pèdena la parrocchia di Linek una località non
ben precisata. Nel 1295 il vescovo Ulderico fu sospeso dal patriarca
Raimondo della Torre che inviò Matteo di
Pola e Giovanni vescovo di Cittanova a sollevarlo dall'incarico. Nel
1342, causa la divisione dei territori della contea di Gorizia, la
contea di Pisino, acquisita dai conti di Lurngau due secoli prima per
matrimonio, pervenne al conte Alberto IV, ed in quell'atto Pèdena venne
chiamata
Pyben; poi i feudatari tedeschi stanziati nel territorio istriano la
conobbero con il nome di Piebnn, come risulta dall'urbano di
Pisino del 1498. L'adattamento fonetico croato fu, com'è ora, Pićan.
Sia i marchesi che i conti tedeschi
dell'impero germanico, sia i conti di Gorizia ed ancora più tardi i
principi austriaci erano desiderosi, per prestigio e per autorità
spirituale, di avere nella contea istriana un proprio vescovo e pertanto
la conservazione del vescovado dipese molto da questi fattori, oltre che
dall'evangelizzazione delle popolazioni slave chiamate a colonizzare il
paese. Pèdena, che faceva parte della contea di Pisino, passò assieme a
questa sotto il dominio dei duchi d'Austria nel 1374. Nel 1481 il
vescovo petenate Pascazio di Gallignana riconsacrò la chiesa di S.
Gregorio a San Daniele del Carso che era stata sconsacrata dopo le
atrocità commesse durante una delle tante incursioni turche nel carso
triestino. Nel 1492 il vescovo G. Maninger di Pèdena cedette a titolo di
avvocazia, alla contea di Pisino, le decime di Novacco di Pisino, di
Ceroglie ed altre minori rendite. Il territorio della cittadina fu
coinvolto nelle guerre che nei secoli travagliarono la regione istriana;
come possedimento austriaco, fu occupata dai Veneziani nel 1508,
all'inizio della guerra contro Massimiliano I d'Austria. I Veneziani
assegnarono a questa città, quale castellano, Girolamo Venier. L'anno
successivo, sotto la pressione delle truppe austriache, i Veneti furono
costretti a ritirarsi dal territorio.
Nel 1510 fu vescovo di Pèdena e
contemporanemente di Vienna, l'insigne musicista Slatcoina che finì per
preferire la capitale austriaca nella quale portò con se la reliquia di
un braccio di
S. Niceforo, presa a Pèdena. Pèdena fu data in pegno, nel 1555, a
garanzia di un prestito richiesto da rè Ferdinando I d'Austria al
bergamasco Cristoforo Mosconi ed al conterraneo
Giambattista Valvasor. Nel 1608 fu vescovo di Pèdena Antonio
Zara, persona di grande cultura, il quale sollevò le sorti della
diocesi. Pubblicò nel 1615, a Venezia, la sua opera "De Anatomia
Jugeniorum".
Durante la guerra detta degli Uscocchi, nel
1616, milizie venete e mercenari Corsi, sostenuti da contadini Albonesi,
penetrarono nella contea fino a Pèdena bruciando i mulini e le case del
contado e probabilmente riuscirono ad occupare Pèdena difesa dai Croati
del capitano Giovanni Seminich; ma i Veneziani furono costretti a
ritirarsi di fronte alla controffensiva austriaca. Nel 1617 ancora una
volta il territorio di Pèdena fu devastato dal provveditore veneto Zorzi
che però non riuscì a penetrare nel borgo. In quei secoli gravava su
tutto il territorio un'estrema miseria, conseguenza delle guerre e delle
pestilenze. Devastante fu quella del 1630. Nonostante ciò, la
popolazione, fu gravata dalle nuove tasse stabilite dal rinnovato
urbario del 1578, dove Pèdena venne considerata città, mentre prima era
iscritta come terra murata. Oltre alle solite vessazioni, altri gravami
incombevano sugli abitanti: durante le grandi cacce a cinghiali e
caprioli, due uomini per ogni casa dovevano mettersi a disposizione dei
signori della contea.
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La Porta Romana
(disegno di G. deFranceschi)
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Nel XVII secolo nel comune di Pèdena la
lingua ufficiale era quella italiana per la struttura della popolazione
che comprendeva molti italiani che vivevano nella borgata e
frequentavano la scuola seminarile. Il ceto borghese era numeroso e
pertanto i figli delle famiglie più abbienti studiarono in Italia, in
maggioranza all'Università di Padova. Anche l'uso della lingua
paleoslava nella liturgia nelle chiese campestri si interruppe a
cavallo dei secoli XVI e XVII.
Eminente personaggio di Pèdena fu Giambattista Podestà, nominato nel
1694 professore di lingue orientali, dopo una lunga permanenza a
Costantinopoli alla cattedra creata da Leopoldo I d'Austria. Tradusse
dal turco in latino, italiano e tedesco, una cronistoria dei sultani
ottomani oltre ad una grammatica delle lingue araba, persiana e turca.
Dopo la grande fame del 1817, accompagnata dall'epidemia di tipo
petecchiale, che sconvolse tutta l'Europa ed anche l'Istria, fu eretto
un monumento al parroco di Pèdena, Francesco Godenich de Godenberg,
poiché in quel triste anno acquistò cereali dai magazzini statali e li
distribuì gratuitamente a tutti i suoi parrocchiani.
Pèdena si trova su una collina calcarea, a 10 km da Pisino. La si vede
spuntare fra le colline marnoarenacee dove regna un'aria purissima. Le
pendici che strapiombano nella piana dell'Arsa favorirono la sua difesa
durante il medioevo e fin da tempi antichissimi fu circondata da mura
possenti e formidabili di cui ora rimangono solo alcuni resti. Delle
ultime fortificazioni è ben conservata ed ora anche restaurata una delle
due porte d'ingresso alla cittadina, la Porta Romana del XIV secolo, con
un piombatoie provvisto di caditoia che permetteva ai difensori di
gettare olio bollente, pece ed altro sulle teste degli assalitori. Fu
restaurata nel 1613 dal vescovo Antonio Zara.
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S. Giovanni Nepomuceno
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Dalle mura, sul lato orientale, si gode un magnifico panorama della
piana dell'Arsa, dagli infiniti colori dei campi coltivati. Dinanzi alla
porta del borgo, dove si trova una scultura del 1714 posta su una
colonna e che rappresenta S. Giovanni Nepomuceno, si trova un parco
alberato con enormi
lodogni,
tigli ed
ippocastani; sotto il parco, verso la valle, costruita su un terrapieno
è fronteggiata da due tigli si presenta la chiesetta di S. Rocco, eretta
nel 1638, dopo la grande pestilenza che devastò tutta l'Istria. È stata
restaurata completamente, compreso il porticato sostenuto da colonne
tornite e pilastri in pietra; il campaniletto a vela con una bifora è
appoggiato alla sommità della facciata ed anche l'interno si presenta
decoroso con la statua lignea policroma di & Rocco che si appoggia
all'altare.
All'interno del borgo, (come già detto) Pèdena si concesse il lusso
straordinario del campanile veneto, il più bello dei moderni campanili
istriani, tutto in pietra bianca del luogo, eretto nel 1860. Assomiglia
a quello di Rovigno. Il bei
campanile cuspidato, isolato e staccato dalla cattedrale, è alto 48
m e porta una torre a base quadrata sopra le quadrifore che si aprono ai
lati. Alla base del campanile c'è la pietra delle misure, un grande
blocco calcareo con cavità di varie misure e con i fori laterali per lo
scarico delle decime delle derrate che qui venivano misurate.
Di nuovo con un`alto aspeto nomino, che sulla unica porta d'ingresso
una scultura mostra lo stemma con le mura turrite della città. La
cattedrale di
S.
Niceforo, dedicata alla Beata Vergine Annunziata, a tré navate,
spicca fra le case della piazzetta e si presenta vasta ed imponente. Fu
ampliata e consolidata, dal 1608 al 1613, dal vescovo Antonio Zara sulle
rovine di una precedente del XIV secolo. In tale occasione andarono
perdute purtroppo tutte le opere d'arte antiche. Venne rifatta poi
completamente fra gli anni 1753 e 1771, in uno stile baroccheggiante
alla viennese. Sulla facciata è incastonato lo stemma vescovile e vi
sono tré statue centrali che simboleggiano la Madonna con il Bambino, S.
Niceforo martire con il castello di Pèdena nelle mani e S. Niceforo
anziano e vestito da vescovo. Questi due santi omonimi appaiono strani,
creano curiosità e perplessità. Sembra che S. Niceforo confessore ed il
suo diacono S. Massimiliano, al ritomo da
Aquileia dove si era recato a giustificarsi di odiose
imputazioni si fossero fermati ad Umago. Qui, nel 546, entrambi si
ammalarono e morirono; furono sepolti nella chiesa di quel luogo.
Le vite ed i miracoli dei due santi Nicefono furono descritti dal
vescovo di Pèdena, il nobile triestino Antonio Marenzi nel 1639 il quale
dedicò l'opera, stampata a Vienna, a Ferdinando III d'Austria.
All'interno della chiesa sono numerose le tombe dei vescovi ed anche sul
sagrato esterno, lastricato, si vedono varie pietre tombali, qualcuna
con il teschio che fa ricordare l'ineluttabilità del destino umano. Ai
piedi della scalinata del presbiterio c'è il sepolcro della
confraternita delle Anime del Purgatorio, del 1702; vi sono poi le
lapidi sepolcrali del vescovo Giovanni Barbo del 1547 e del vescovo
barone Marco Rossetti del 1765. Quest'ultima ha sullo stemma un cavallo
che salta fra balze rocciose; l'Aleardi vide una connessione tra il
cavallo ed il nobile cognome Rossetti e lo fece risalire dal tedesco
Ross.
Due ricchi agricoltori vollero uno stemma sulla tomba ed infatti si
vedono scolpite le roncole, la zappa e la mannaia: così è la tomba dei
Vretoner del 1755. C'è anche inserito nel pavimento il sepolcro di
Antonio Zara del 1621, quello del vescovo Bonifacio Cecotti del 1765 ed
infine anche quello dell'ultimo vescovo petinate Aldrago dei Piccardi
del 1783. L'interno della chiesa, pur misero, è decoroso e l'unica opera
di un certo pregio è il quadro sull'altar maggiore dipinto dal
Metzinger. La piazzetta con un enorme tiglio, dominata dalla presenza
della cattedrale, si presenta bella e spaziosa mentre il vecchio ghetto,
mezzo abbandonato, è stato ristrutturato solo in parte dai pochi
abitanti. Presso il Duomo c'era, fino alla fine del 1700, una
cappelletta isolata che fungeva da battistero.
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Pedena, cisterna (coll.
Tagliapietra)
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Le vecchie case semidiroccate, che risalgono al 1500, mostrano
suggestivi ballatoi, i porticati che precedono e proteggono l'ingresso
ai piani superiori; verso la parte strapiombante sulla valle, le
Gallette e le stradine scolpite nella viva roccia separano le case
piccole, strette, addossate, tutte in pietra calcarea, unite talvolta da
archi e porticati. L'ex palazzo vescovile, già distrutto nel 1570 e poi
ricostruito, si trova sulla destra appena entrati nel borgo; su una
facciata c'è un blasone raffigurante S. Giovanni nell'atto di battezzare
Cristo mentre sulla facciata principale un'iscrizione sull'architrave
del portone ricorda il vescovo Antonio Zara; molto belle ed
interessanti le cornici inferiori in pietra delle finestre su ognuna
delle quali sono scolpite in altorilievo due stemmi vescovili. Sul monte
Calvario, a quota 367 m, di fronte al cimitero si trova l'antica
chiesetta dedicata a San Michele, che nel suo interno contiene parti di
un affresco raffigurante Giuda nella scena in cui Cristo si trova
davanti a Ponzio Filato, che, come la chiesa, risale alla metà del XV
secolo. Sull'altare si appoggia la statua lignea di S. Michele. La
chiesetta, in pietra calcarea, è volta verso il cimitero, su uno sperone
erboso dal quale la vista spazia sulla piana dell'Arsa. Il piccolo
edificio ha un'abside circolare con il tetto in pietra e parzialmente lo
è anche il tetto della chiesa; sulla facciata un campaniletto a vela
senza campana è posto sopra il portico chiuso completamente da due lati
a riparo dalla
bora che qui soffia con veemenza. Il cimitero si trova ai piedi del
paese, di fronte alla Porta Romana, al di sopra delle nuove costruzioni
fuori porta che hanno formato una piccola borgata.
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Il mantello
vescovile ricamato in oro regalo di Maria Terese al vescovato
di Pèdena |
Da Pèdena a Gallignana, sulla sinistra della strada, si notano dei
picchi boscosi, molto incisi dai rii che alimentano il torrente
Pedrovizza che corre a sud della strada, intercalati da masse calcaree
che si prolungano verso sud fino al limite della zona carsica che scende
verso Gimino. Quest'area, delimitata dai monti Terba, Babici o Bavichi e
del Prete, fa parte del bacino idrografico dell'Arsa. In questa zona si
trovano casolar! sparsi e le frazioni semiabbandonate di Rimanici,
Medighi, il cui monte omonimo ebbe un
castelliere preistorico, e poi Marfani, Squari, ed infine Luchesi
che si trova lungo la strada per
Pisino.
Ad ovest di Luchesi, tra la strada provinciale ed ilsottostante torrente
Palonscine, si trovano le rovine della chiesetta di S. Cristoforo, a 433
m di quota.
Pèdena ora è poco popolata, dopo l'esodo del dopoguerra, e nelle strade
silenziose si vedono rari passanti, e quasi disabitata; con qualche
casale intorno, conta circa 300 abitanti, quelli che hanno restaurato
gli edifici già solidi, anche se trascurati. Ce ne sono alcuni di
notevole signorilità (non per nulla tra le due guerre, degli abitanti si
diceva «Pedenesi gran signori») con blasoni, architravi incise ed il più
appariscente è l'ex palazzo vescovile dalle insegne murate nella
facciata. Questa veramente si poteva chiamare una cittadina; per la sua
posizione e per le sue strutture ed ordinamento comunale. Narrano le
cronache esser stata Pèdena centro vitale e di raccordo tra Fiume e le
cittadine della costa occidentale dell'Istria, ma con il tempo, fino
all'apertura delle
miniere
di carbone d'Arsia e Val di Pèdena, molta gente dovette cercare altrove
il proprio pane, financo nell'emigrazione oltre Oceano quando non si
poteva trovare un imbarco.
I suoi segni di ripresa,... le sue radici e legami dei propri
antenati.
Si Pèdena è ringiovanita di molto, grazie ai posti di lavoro facilmente
raggiungibili da Albona,
Pisino e
Pinguente ma specialmente con le nuove industrie leggere di Val di
Pèdena, a un tiro di schioppo, che è la sede di Comunità locale per un
comprensorio di circa 2.000 persone. Dall'ultima volta che sono salito
quassù, in un'afosa giornata d'agosto, qualche anno fa, (a valle
sembrava di soffocare e qui trovai refrigerio ristoratore nell'ombra
ventilata degli ippocastani) la borgata ha dato segni di evidente
ripresa, si è svegliata dal torpore, i cadenti intonaci di molte case
hanno ripreso i colori caldi, rossi e arancione, del restauro dai suoi
nuovi abitanti venuti dalla Bosnia durante gli ultimi avvenimenti della
guerra Balcanica, ritovando in questo bel paese quasi disabitato la loro
permanente dimora, coi soi balconi prima abbandonati ora sono abbelliti
da piante e fiori. Una splendida giornata di sole, anche se la bora
pizzica le orecchie, sembra sottolineare le piacevoli impressioni
naturali sotto un cielo limpido e un paesaggio incantevole tutt'intorno.
Sia prima che oggi molti vengono ad ammirare dal belvedere in cima al
colle della svariata panorama intorno, da una sensazione di meraviglia
della vallata, e naturalmente dai tanti suoi visitattori sono i profughi
che annualmente vi ritornano, ma solo come turisti. Passano e ripassano
lentamente tra le antiche vecchie case che si stringono intorno ai
ruderi. Visitano la chiesa che li hanno accolti bambini, i cimiteri dove
sono sepolti i suoi avi, si soffermano e ricordono la loro tragica
infazia piena di ricordi e speraze svanite per sempre, ...e se ne
vanno in silenzio nella loro nuova terra addottiva in diverse parti del
mondo come foglie sbatute dal vento. Non per questo loro devono
dimenticare il tesoro di cui sono depositati acuratammente nei musei
storici, con le profonde radici e legami dei propri antenati.
Mario Demetlica
Tratto da:
- Tratto dai testi da varii libri e da diversi autori come P. Flaminio
Rocchi, Romano Farina, Dario Alberi, Centro di Ricerche Storiche di
Rovigno, Centro Culturale Gian Rinaldo Carli & Luigi Parentin, Guida
Turistica, ecc. ecc. [A formal bibliography has not
been provided.]
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Created:
Tuesday,
June 15, 2004;
Last updated:
Friday March 31, 2023
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