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L'edificio che
ospitava l'ospedale del Santo Spirito che si trovava nel
rione di Braida, in cima all'attuale via Fiorello la
Guardia. |
Fiume e il colera - l'epidemia del 1886
Colpì la città in un'epoca di
grande prosperità
Di Daniela Jugo-Superina
"Tko bi gori, sad je doli", recitava Gundulić. Un'affermayione
universale, che potrebbe trovare riscontro nel proverbio «Il mondo è
fatto a scale, c'è che scende e c'è chi sale». Sembra proprio che
l'universo funzioni così: quando ci eleviamo più di quel che magari
potremmo o dovremmo, quando veniamo pervasi dalla superbia e
pensiamo di aver raggiunto la vetta, di essere omnipotenti, arriva
puntualmente la caduta. Un segno del destino? Oppure un castigo
divino, o magari diabolico? Chi lo sa... Questa introduzione
potrebbe venire applicata a quanto avvenuto a Fiume nel 1886.
Gli ultimi decenni del XIX secolo rappresentarono per la città
un'epoca d'oro. Con la cosiddetta "pezzetta fiumana", un annesso
all'accordo ungaro-croato (il nuovo articolo 66 venne in pratica
scritto su un pezzo di carta e sovrapposto a quello precedente), la
città venne consegnata all'Ungheria. Correva l'anno 1868. Per Fiume
iniziò un periodo di fioritura economica. Gli ungheresi, infatti,
investirono enormi capitali nella città. Venne edificato uno degli
scali portuali più moderni in Europa, furono costruite centinaia di
chilometri di ferrovia, edificati magazzini, tutte le infrastrutture
necessarie, e poi palazzi vari, alberghi... Giovanni Ciotta, nipote
di Adamich, era podestà di Fiume e a tutt'oggi può essere
considerato come il sindaco di maggior successo nella storia della
città. All'epoca riuscì a trovare - impresa non facile - un
equilibrio quasi perfetto tra gli interessi dei padroni, ossia dei
governatori magiari, e quelli della città. Fiume era anche un centro
di cultura, frequentato da dive dell'opera, compositori, attori,
scultori, pittori, letterati. Gli imprenditori fiumani non
nascondevano la propria soddisfazione e il movimento di soldi era
continuo.
Terrore mortale
Ed è proprio allora, nel periodo di maggior prosperità che sulla
città piombò, senza alcun preavviso, il colera. Durante i tre mesi
estivi del 1886 la città era praticamente paralizzata da un terrore
mortale. I cantieri si fermarono, i traffici pure, le
rappresentazioni e i concerti vennero disdetti. Le macchine nelle
fabbriche venivano azionate soltanto sporadicamente e tutta la città
era in quarantena.
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Il medico
tedesco
Robert Koch il quale sviluppò
il primo vaccino efficace contro il morbo |
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Ma cos'è il colera? Si tratta di una malattia infettiva del
tratto intestinale, caratterizzata dalla presenza di diarrea profusa
e vomito. Il morbo è fortemente contagioso e i sintomi arrivano
improvvisamente. A causa della perdita di liquidi, potassio e
calcio, le persone contagiate hanno crampi muscolari e spesso si ha
una perdita delle funzioni renali, con conseguente morte. Il
batterio si trasmette tramite 1' ingestione di acqua
o cibi contaminati da esso.
Senza cure adeguate, la mortalità va dal 30 all' 80 per cento. Le
persone infette, oggi possono venir curate con successo tramite
infusioni di liquidi.
Il colera è una malattia relativamente giovane, essendo stata
riscontrata per la prima volta in India all'inizio del XIX secolo.
Da lì raggiunse il Mediterraneo e poi l'Europa nel 1826. Durante il
XIX secolo, il nostro continente visse sei pandemie di colera. Il
batterio a forma di virgola che causa la malattia, il Vibrio
cholerae, venne identificato per la prima volta nel 1859
dall'anatomista italiano Filippo Pacini e studiato dettagliatamente
nel 1886 dal medico tedesco
Robert Koch,
il quale sviluppò successivamente il primo vaccino efficace contro
il morbo.
Un 'incognita
Nel 1886, prevenire e curare il colera rappresentava per Fiume
un'incognita. Il colera, però, esisteva anche prima. Dalle nostre
parti giungeva con le navi da Venezia e Trieste. La prima epidemia a
Fiume venne stirata nel 1836, e poi ne guirono altre quattro, ne:
anni 1849, 1855, 186f e 1886. È conosciuto il dato che durante
l'epidemia del 1855 godine furono 406 i fiumani che dovettero
soccombere alla malattia. Già all'epoca si sapeva che il contagio si
propagava in primo luogo a causa di condizioni igieniche non
adeguate, motivo per cui non appena l'epidemia cessò, vennero
inaugurati numerose cisterne cittadine, mentre i 1 canali idrici
vennero coperti e riordinati.
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Il porto di Fiume
all'inizio del XIX secolo - il colera arrivò con una
delle tante navi che all'epoca si trovavano alla fonda
nel bacino portuale di Fiume |
I dati dell'epidemia del 1886 ci vengono trasmessi dal giornale
"La Bilancia", nonché dal libro "Ars aesculapii", di Radmila e
Marijan Matej čić.
All'inizio dell'anno fatidico, il colera apparve anzitutto a
Levante, nel Mediterraneo orientale, e ben presto, nel 1885, giunse
in Italia. I grandi porti, e così pure Fiume, presero subito le
dovute precauzioni. Un'epidemia avrebbe significato una paralisi del
commercio oltremare, che rappresentava la più importante fonte di
guadagno. L'ospedale dello Santo Spirito si trovava nel rione di
Braida, in cima all'attuale via Fiorello la Guardia, mentre a
settentrione dell'edificio dell'ospedale, neIl'allora scarsamente
popolato rione di Belvedere, l'esercito costruì una baracca per
l'isolamento delle persone contagiate.
Il primo caso
II primo caso di malattia a Fiume venne registrato il 3 giugno
1886, quando il morbo si propagò velocemente tra gli operai addetti
alla pilatura del riso nella fabbrica in Mlaka. È chiaro che il
bacillo arrivò con una delle tante navi che all'epoca si trovavano
alla fonda nel bacino portuale di Fiume. Le autorità cittadine erano
già pronte. Gli operai vennero sistemati nelle baracche di
isolamento e tutta l'area dell'azienda per la pilatura del riso
fii isolata e
disinfettata. Vennero controllati tutti gli accessi alla città. I
viaggiatori che giungevano in treno venivano immediatamente inviati
dal medico per una visita, mentre le navi e gli equipaggi venivano
controllati rigorosamente. In caso di sospetto, le navi con tutto
l'equipaggio venivano inviate al lazzaretto nella baia di San
Martino (Martinšćica). Venne ordinata la
rimozione dei rifiuti, mentre la parola d'ordine era "igiene". I
sanitari irruppero in tutte le cantine e le controllarono. Venivano
controllati in modo particolare gli spurghi delle fosse biologiche,
e ai cittadini che non avevano predisposto i servizi igienici
secondo norma, venivano inflitte pene severe.
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La fabbrica per la
pilatura del riso in Mlaka e la raffineria |
I rioni più colpiti
Nonostante le precauzioni, però, il colera si propagò velocemente
e con violenza inaudita tra gli abitanti delle zone periferiche
della città, specialmente a Mlaka, dove vennero registrati i due
terzi di tutti i casi di contagio. Il centro cittadino venne
risparmiato e Punico ad ammalarsi fu il falegname Francesco
Piantanelli, residente in piazza Urmeny. "La Bilancia" scriveva che
le persone ammalate morivano tra atroci sofferenze in uno
o
due giorni Molti contagi vennero registrati tra i
soldati della caserma a Scoglietto, perché questo edifìcio attingeva
l'acqua dalla Fiumana nei pressi del mattatoio. Il macello inquinava
fortemente Pacqua e in essa i batteri del colera si riproducevano
velocemente. I servizi sanitari fecero analizzare Pacqua di tutte e
40 le cisterne pubbliche. I risultati furono terribili: Pacqua era
infetta quasi ovunque e le autorità ne ordinarono quindi la chiusura
immediata. Venne chiuso addirittura il lavatoio sulla Rjecina, in
quanto vi si lavava la biancheria dell'ospedale.
L'isolamento
Le baracche in Belvedere si riempivano velocemente. A prendersi
cura dei malati c'era il dott. Feliks Vukelić. I pazienti e il
medico erano completamente isolati e le comunicazioni avvenivano per
via telefonica. Questo dato ci indica che soltanto dodici anni dopo
l'invenzione del telefono, il suo uso a Fiume era una cosa di
ordinaria amministrazione. In molti casi, il ricovero dei malati
all'ospedale era tardivo e vi giungevano praticamente in fin di
vita. Per ridurre almeno un po' l'indice di mortalità, la Raffineria
oli minerali in Mlaka allestì un ospedale provvisorio. Ad accudire i
pazienti in Mlaka - venivano curati dal giovane medico Massimiliano
Holtzabeck, che lavorava come volontario, senza nessun compenso - da
Graz giunsero due suore della Carità di San Vincenzo de' Paoli. Il
dott. Holtzabeck morì di colera l'ultimo giorno di agosto. Già verso
la metà di giugno, sopra il ponte sulla Rjecina venne costruito un
grande tunnel di legno nel quale veniva disinfettato tutto quello
che arrivava in città
o usciva da essa. Il
contagio, però, era più forte di tutte queste precauzioni.
All'inizio di luglio si propagò anche a Susak, Buccari e nell'area
di Grobnico.
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Giovanni Ciotta,
nipote di Adamich, era podestà di Fiume e a tutt'oggi
può essere considerato il sindaco di maggior successo
nella storia della città. |
Un sindaco premuroso
Le autorità cittadine presero veramente tutte le precauzioni
possibili e il potestà Ciotta si impegnò in prima persona.
Accompagnato dai sanitari, fece il giro di tutta la città e andò
addirittura negli ospedali e nelle case degli ammalati in Mlaka.
Tramite i giornali, poi, invitò la cittadinanza alla massima
prudenza, nonché ad applicare misure estreme di igiene personale, ma
anche di dare contributi tangibili per debellare il morbo. Fece pure
un viaggio a Trieste per carpire i nuovi metodi che i medici
triestini applicavano per evitare la diffusione della malattia e le
possibili cure. Gli ospedali di Trieste avevano già applicato alcuni
dei metodi e raccomandazioni di Koch. Se si considera che a Fiume
non ci fu nessun cambiamento in questo senso, potremmo giungere alla
conclusione che Ciotta non avesse appreso niente che i medici
fiumani non sapessero già. Nonostante ciò, il professore padovano
Brunetti tenne a Fiume una lezione, durante la quale mostrò al
microscopio quel terribile batterio a forma di virgola, indicando
l'unico modo per distruggerlo, ossia con il cosiddetto "sublimato
corrosivo" (cloruro mercurico), con il quale potevano venir
disinfettati tutti gli ambienti estemL Rivelò pure che il batterio
moriva alla temperatura di 100°C, per cui consigliò che tutti gli
alimenti e l'acqua venissero bolliti.
Le mense
Considerato che la fascia di popolazione meno abbiente era allo
stesso tempo quella maggiormente minacciata dal contagio, in quanto
i cittadini più poveri sopravvivevano frugando nell'immondizia, le
autorità cittadine aprirono appositamente numerose mense pubbliche,
nelle quali i pasti venivano preparati con la massima attenzione e
seguendo le più rigorose norme igieniche. I generi alimentari
destinati a queste mense venivano controllati da un'apposita
commissione della Croce rossa. I fruitori di queste mense potevano
ritirare i bollini per i pasti nell'aula consigliare.
Chiuso il ponte sulla Rječina
Durante il mese di luglio l'epidemia continuò a imperversare,
motivo per cui il ponte sulla Rjecina venne completamente chiuso. Le
attività economiche si fermarono. Si valuta che all'epoca erano
circa 6.000 le persone che tutti i giorni venivano a Fiume per
lavorare nelle varie fabbriche, cantieri navalmeccanici, officine,
alberghi, negozi e nelle case dei ricchi e a tutti loro venne
vietato l'ingresso nella città. Il ponte venne riaperto agli inizi
di agosto, dopo che le autorità constatarono che la sua chiusura non
impediva la diffusione del terribile morbo. In agosto avrebbe dovuto
iniziare pure il nuovo anno scolastico, ma le scuole rimasero
chiuse.
I soliti «furbi»
Come solitamente accade in circostanze del genere, c'era sempre
chi voleva guadagnarci qualcosa sulle disgrazie e malattie altrui. I
giornali erano pieni di consigli di medici e farmacisti, mentre
negli spazi pubblicitari venivano offerti vari unguenti, tinture,
sciroppi, gocce e polverine per una protezione "sicura" dal colera.
I cittadini terrorizzati accorrevano in massa per acquistare questi
preparati. Le autorità ungheresi -pena una multa di 300 fiorini - in
luglio vietarono a tutte le farmacie la vendita di "medicinali"
contro il colera.
Scomparve come arrivò
Improvvisamente, alla fine di settembre del 1886, il colera
scomparve. Si ammalarono 260 persone, delle quali 162 con esito
mortale. Il tasso di mortalità del 62 per cento era elevatissimo.
Dopo centosei giorni di completo isolamento, il dott. Vukelic uscì
dall'ospedale provvisorio, che venne chiuso. Si trattò dell'ultima
epidemia di colera a Fiume. Come in tutte le cose, anche in queste
circostanze funeste ci furono degli effetti positivi. Le persone
impararono, anzitutto, a trattare in maniera più sicura l'acqua
potabile e quella di scolo. Il quadro igienico cittadino migliorò
sensibilmente. Le cisterne e i lavatoi, con la costruzione
dell'acquedotto e della rete fognaria, passarono alla storia. Ben
presto venne sospesa anche la quarantena portuale, che in
quell'epoca rappresentava un freno allo sviluppo dei traffici
oltremare. A Fiume non ci furono più epidemie di un certo peso fino
all'influenza spagnola del 1919.
I cantieri si ripopolarono, le fabbriche ripresero la produzione,
le navi caricavano e scaricavano merci. La città continuò a fiorire.
La malattia, però, lasciò un segno profondo e indelebile. Insegnò ai
fiumani che l'uomo non è un gigante onnipotente, bensì una creatura
delicata come tutti gli altri esseri viventi, che dipendono in larga
misura dai capricci della natura. Il colera riportò forse tra i
fiumani, almeno per un breve periodo, virtù quali la modestia e il
pentimento.
Tratto da:
- Storia e Ricercha, La Voce in Più,
5 dicembre 2009 (excluding one image) -
https://edit.hr/lavoce/2009/inpiu/storia091205.pdf
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