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Grandi navi alla
fonda nel porto militare |
La Caduta della
Piazzaforte Marittima A.U. di Pola (1918)
Quaderno Associazione Marinara Aldebaran 64
/ 94
Aldo Cherini - 16.settembre 1994
Dopo il 1866, perduta Venezia con il suo
grande arsenale marittimo, gli organi militari di Vienna rivolgevano la
loro attenzione alla penisola istriana quale punto centrico del quadro
strategico e solo dopo l'annessione della Bosnia-Erzegovina (1908)
veniva presa in considerazione anche la Dalmazia Centrale col progetto
di una moderna e più grande base navale a Sebenico.
Le opere di difesa lungo le coste della
monarchia absburgica erano state iniziate per tempo. La maggior parte
degli stabilimenti era stata realizzata, infatti, tra il 1870 e il 1880
con una serie coordinata di fortificazioni e posti di vedetta da
integrare, in caso di necessità, con campi minati e unità navali
costiere.
Molta cura era dedicata al servizio di
vigilanza e scoperta, che veniva effettuato con più mezzi integrati,
cavi telegrafici sottomarini, stazioni di segnalazione ottica, semafori
e stazioni di piccioni viaggiatori. Infine, nel 1908, entrava in
attività a Pola la prima grande stazione radiotelegrafica, definita
ultrapotente, seguita da una catena di stazioni minori. Intorno al 1914,
tutte le notizie, di varia provenienza, venivano fatte confluire in tre
centri di raccolta, il primo dei quali situato nella stessa
Pola, e gli
altri a Sebenico e a Castelnuovo (Bocche di Cattaro) coprendo con ciò
tutta la linea costiera della monarchia absburgica.
Con il passare degli anni non poche opere
erano venute a scadere a seguito dei progressi tecnici e appena dopo il
1906, con la nomina a capo di stato maggiore generale del gen. Conrad
von Hoetzendorf, intervenuto personalmente presso l'imperatore Francesco
Giuseppe e l'erede al trono Francesco Ferdinando, veniva dato mano
all'opera di modernizzazione. Ma la limitazione dei finanziamenti
ottenuti (ogni preminenza era riservata all'esercito prevalendo nello
stato la mentalità di potenza continentale) e il breve lasso di tempo
intercorso fino allo scoppio della guerra impedivano la completa
attuazione dei programmi.
La piazzaforte e l'arsenale di
Pola, ai
quali erano stati dedicati parecchi anni di lavoro, si presentavano
tuttavia ben muniti, ma non tutte le batterie erano dotate di
artiglierie moderne e la linea dei forti a terra era più debole rispetto
a quella del fronte a mare, dove comunque restava da fare ancora molto.
Trattavasi di un mezzo cerchio di 5 chilometri di raggio con numerose
opere murarie su due cinte: una interna munita di 5 forti con 250 pezzi
d'artiglieria (molti di vecchio tipo e a tiro curvo) ed una esterna con
8 forti. Quest'ultima cinta veniva completata appena nel 1914 con un
complesso di 50 batterie armate con 194 pezzi navali. Altri 75 pezzi
erano stati ordinati dalla i.r.Marina a guerra già iniziata. Una serie
di altri 9 forti e batterie guardava il canale di Fasana e l'accesso al
porto, delimitato per oltre la metà da una diga con radice sotto il
forte Maria Luisa.
Con lo scoppio della guerra veniva posato
un grande campo minato difensivo estendentesi a semicerchio attorno alle
coste meridionali della peni-sola, dal canale dell'Arsa fino nei pressi
di S.Giovanni in Pelago (Rovigno) inglobando le isole Brioni. È
singolare il fatto che molte di queste opere portavano nomi italiani.
Una guerra lunga, quella del 1914-18, che
ingoiava enormi risorse di uomini, mezzi e materiali.
A metà ottobre del 1918 era già chiaro a
tutti che il conflitto stava per finire con esito infausto per le
potenze centrali. Una richiesta di intervento pacificatore era stata
avanzata al presidente americano Wilson, ma senza un esito risolutore a
breve termine.
A
Pola la situazione si presentava assai
grave. Molte le dicerie sulla sorte delle navi militari, che si riteneva
dovessero venir consegnate alla Spagna (che durante il conflitto
rappresentava gli interessi dell'Austria-Ungheria) mentre gli slavi
meridionali già se ne consideravano eredi.
Serpeggiava sia tra i civili che tra i
militari una grave epidemia di grippe, detta "spagnola", che mieteva
numerose vittime. Mancavano i generi di sostentamento e si verificarono
casi in cui gruppi di disperati, rischiando le fucilate, cercarono di
sottrarre viveri militari, ch'erano anch'essi assai scarsi, tanto
scarsi, anzi, da provocare rallentamenti nella vita di bordo e di
caserma. Ne risentiva anche l'ordine pubblico: dimostrazioni davanti al
Casinò di Marina e un tentativo di invasione da parte di un gruppo di
male intenzionati, tenuti alla larga grazie all'intervento degli allievi
della Scuola Macchinisti. Bombardamenti aerei accompagnati dal lancio di
manifestini con effetti più che altro demoralizzanti (c'era chi
affermava che gli Italiani stavano preparando un'incursione con mille
aeroplani). Alcuni reggimenti croati prendevano iniziative autonome,
correvano voci di sommosse in Montenegro e in Albania, ed emergevano
inquietanti rivalità tra le nazionalità della monarchia ormai in
sfacelo.
Nell'ultima decade del mese di ottobre
aveva inizio da
Vergarolla
l'evacuazione dei sommergibili tedeschi con distruzione dei materiali di
magazzino e di sei battelli non più in grado di muovere, portati ad
affondare fuori dei frangiflutti. La sera del 28 ottobre, pur tra vaghe
speranze di uscirne in qualche modo, si diffondeva la voce
dell'armistizio e si diceva che la nave ammiraglia "Viribus
Unitis" era stata minata per autoaffondamento. Faceva molta
impressione il fatto che l'ufficiale al dettaglio, capitano di corvetta
Milossevich, s'era suicidato non reggendo allo sconforto.
Nel contempo, il comando in capo
dell'esercito inviava un disperato appello chiedendo alla marina di
uscire dalla piazzaforte per coprire dal mare il fronte della sponda
sinistra del Piave, ma le navi non erano più in grado di muovere.
* * *
L'imperatore Carlo I non aveva abbandonato
ogni speranza, prendeva l'iniziativa di trasformare la duplice monarchia
in uno stato federale di popoli, pubblicava un appello e si separava
dall'alleato germanico. Prendeva anche un'altra iniziativa personale,
senza consultare il consiglio della corona: la cessione della flotta
allo stato slavo H.S.H. che stava formandosi a Lubiana e a Zagabria,
fidando nella sua adesione alla federazione da lui caldeggiata. Ma la
guerra continuava e gli Italiani si preparavano a violare la base navale
di Pola con le "mignatte", una specie di siluro guidato da due
operatori.
Il 27 ottobre cominciavano i disordini
sulle grandi navi, dove si chiedeva a gran voce la smobilitazione. A
terra, interi reparti abbandonavano le loro posizioni, e il 31 ottobre
si formavano tra le varie nazionalità dei comitati per organizzare il
rientro a casa.
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Il rarissimo documento
fotografico dell'affondamento della «Viribus Unitis» in precarie
condizioni di luce. |
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Nel pomeriggio di quel giorno, alle ore
16,45, mentre stavano svanendo le ultime luci che filtravano attraverso
cortine di nubi gravide di pioggia, l'ammiraglio comandante in capo
Miklos Horthy di Nagybànya e il suo capo di stato maggiore, dopo una
formale e breve cerimonia con l'ammaino della bandiera imperiale
sostituita dal nuovo tricolore slavo, lasciavano ormai esautorati lanave
ammiraglia con un motoscafo preso a prestito non disponendo essi più di
nulla. Il giorno prima il comitato nazionale slavo aveva nominato
comandante della marina il capitano di vascello Dragutin Prica (promosso
ammiraglio per l'occasione) e comandante della flotta il capitano di
vascello Janko Vukovic de Podkapelskj; giocava un ruolo di preminenza,
quale comandante del porto di
Pola, anche il capitano di vascello Metod
Koch, anch'egli promosso al grado di ammiraglio. Il capitano medico Jug
assumeva provvisoriamente il comando della "Viribus Unitis" (che si
voleva ribattezzare Frankopan" o "Jugoslavjia") e il cadetto Papez
il comando della "Prinz Eugen".
Cessata ogni disciplina, molta della gente
si metteva ad impacchettare la loro roba per andarsene.
* * *
Alle ore 18,30 dello stesso giorno, i mezzi
d'assalto italiani lasciavano l'arsenale di Venezia per la progettata
incursione nel porto di
Pola (un precedente tentativo con l'impiego del
barchino "Grillo", la notte del 14 maggio, non era riuscito). La
"mignatta" S 1 con i suoi operatori capitano del genio navale Raffaele
Rossetti e tenente medico Raffaele Paolucci veniva rimorchiato fin sotto
le ostruzioni dal MAS 95 avanzante con i silenziosi motori elettrici.
Alle ore 2 del 1 novembre i due spericolati assaltatori penetravano
senza attirare l'attenzione nel porto (c'erano ancora sentinelle?) e
defilavano lentamente lungo la linea degli ancoraggi delle grandi navi
fino nei pressi del forte Kaiser Franz sull'isolotto di Sant'Andrea.
Intorno alle ore 5 la carica esplosiva veniva fissata alla carena della
"Viribus Unitis" e i due davano l'allarme per evitare inutili perdite di
vite umane. Issati a bordo, non venivano creduti e alle 6,20, quando la
carica scoppiava provocando un largo squarcio, i due si ritrovarono dopo
14 minuti in acqua circondati dai naufraghi: perdeva la vita il
comandante Vukovic ma non si venne mai a sapere quanti altri membri
dell'equipaggio seguirono la stessa sorte. Da notare che la "mignatta",
abbandonata con lacarica di autodistruzione innescata, se n'era andata
per conto suo fino a ridosso del piroscafo lloydiano "Wien", ormeggiato
in Valle Vergarolla, provocando anche il suo affondamento.
Conseguentemente gli slavi si affrettavano a chiedere la protezione
americana su tutte le "loro" navi dichiarando di aver sciolto ogni
legame con l'Austria-Ungheria, di disporre di tutte le navi mercantili e
militari (affermazione esagerata) e di considerarsi a fianco degli
Alleati. La stazione radio della Torre Eiffel di Parigi salutava, in
serata, l'evento e sollecitava le navi militari ad alzare la bandiera
bianca e a concentrarsi nella base francese di Corfù, cosa che nessuna
di esse era in grado o intendeva fare.
* * *
Il 30 ottobre 1918, alle ore 6 del mattino,
il parlamentare austro-ungarico capitano Kamil Ruggera attraversava la
linea del fronte nel tratto segnato dalla linea ferroviaria lungo il
corso dell'Adige e veniva accompagnato al comando della 26.ma Divisione
di fanteria per dare avvio alla negoziazione dell'armistizio (la
richiesta era stata avanzata fin dal 4 ottobre e i delegati stavano
attendendo a Trento).
La notizia passava immediatamente a Parigi,
sede del supremo consiglio di guerra alleato in seno al quale il
comitato militare aveva già predisposto gli studi riguardanti
l'armistizio sul mare, che prevedeva la consegna della mag-gior parte
delle navi di superficie e di tutti i sommergibili. Esisteva disparità
di vedute riguardo ai risarcimenti e alla piazzaforte di
Pola, per la
quale erano interessati gli Italiani, mentre un delegato slavo, spuntato
all'ultimo minuto, contribuiva a creare quel clima di incomprensione e
di ostilità che avrebbe caratterizzato i mesi seguenti con atteggiamenti
e giudizi molto antipatici da parte degli Inglesi, particolarmente del
commodoro Howard Kelly, ed anche dei Francesi, tanto da doversi
costituire un comitato adriatico di ammiragli per cercare di dirimere le
controversie.
Alle ore 15 del 3 novembre veniva
sottoscritto, infatti, nella Villa del senatore Giusti di Abano, presso
Padova, il protocollo dell'armistizio tra Italia e Austria-Ungheria, con
effetto dalle ore 15 (tempo medio d'Europa) del giorno dopo. Le clausole
navali comprendevano l'immediata consegna di 15 sommergibili del tipo
più recente e di tutti quelli germanici, di tre corazzate, di tre
incrociatori leggeri, di nove cacciatorpediniere, di sei monitori
fluviali e di un posamine.
L'ubicazione e i movimenti delle navi
dovevano venir segnalati per mezzo della stazione radio di
Pola. Le navi
maggiori dovevano presentarsi davanti a Venezia alle ore 8 del 6
novembre fermandosi a 14 miglia dalla costa per imbarcare il pilota.
Ma, all'ora convenuta, nessuna segnalazione
arrivava alle stazioni radio-riceventi italiane.
Il nuovo stato slavo si affacciava alla
storia nel caos più completo nè il nuovo comando in capo disponeva di
prestigio e di forza. Le varie province slave erano percorse in tutti i
sensi da interminabili colonne di sbandati austriaci, tedeschi,
ungheresi, polacchi, cèchi e slovacchi, oltre che sloveni e croati
provenienti dai fronti in sfacelo del Piave e dell'Isonzo, della
Macedonia e dell'Albania, mentre sulle navi gran parte degli ufficiali,
esautorati dai sovjet dei marinai costituitisi un po' dappertutto, aveva
lasciato i loro posti.
Gravissima si presentava la situazione a
Pola. Svuotata di oltre 10.000 dei suoi abitanti, in parte internati
all'inizio delle ostilità, in parte sfollati d'autorità, la città
versava in una situazione semplicemente esplosiva trovandosi alla mercé
di 18.000 marinai e soldati di varie nazionalità, ai quali si
aggiungevano altri 4.200 accantonati negli immediati dintorni, armati di
fucile e di bombe a mano, senza alcuna disciplina e provocatori. Tra gli
italiani s'era costituito un comitato di salute pubblica, che teneva il
municipio alla disperata, contrastato dal comitato civile croato, che
brigava per avere il sopravvento con l'appoggio della marina, ma che non
riusciva a controllare la situazione. Per questo motivo, il 2 novembre,
veniva passato a tre parlamentari slavi l'incarico di prendere contatto
con le autorità italiane di Venezia. Costoro preannunciavano la loro
uscita a bordo di una torpediniera battente bandiera bianca, e veniva
mandato a prenderli il capitano di vascello Alessandro Ciano che,
partito dalle ostruzioni esterne di Venezia con un'altra torpediniera,
imbarcava i parlamentari al largo di S.Giovanni in Pelago.
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L'ammiraglio Cagni. |
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Da quel momento aveva inizio un'estenuante
serie di colloqui e di interventi a base di convenevoli, sorrisi e
pretese, di note più o meno diplomatiche, di proteste, di condiscendenze
e di resistenze, di visite di cortesia, di pranzi e di minacce, di
profferte d'amicizia e di tentativi di far intervenire gli alleati,
specialmente i Francesi, che non avevano nascosto il loro interesse per
la nuova entità statale. Infine, di fronte all'evidenza dei fatti, cioè
che non poteva venir rovesciata la situazione determinata dalla perdita
della guerra, anche perché poteva costituire un precedente ai danni
degli Inglesi interessati alla flotta germanica, gli slavi dovevano
lasciare occupare tutte le navi e le installazioni della base.
Protagonisti principali l'ammiraglio italiano Umberto Cagni e quelli
slavi Metod Koch e Dragutin Prica.
* * *
Le operazioni iniziavano il 5 novembre con
l'invio di una formazione di 15 siluranti e di una squadriglia di MAS al
comando dello stesso ammiraglio Cagni, con l'appoggio della vecchia
corazzata "Saint Bon". Obiettivo lo sbarco di un corpo di marinai
racimolati in fretta tra le postazioni del Piave e dell'Isonzo,
imbarcati con le sole armi, senza scorta di corredo e di materiale da
casermaggio, con l'affiancamento di un battaglione del 225º Reggimento
di fanteria e di 100 Reali Carabinieri.
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Il
capitano di fregata Foschini primo italiano ad entrare in
Pola. |
Riconosciuta le costa istriana, l'amm.
Cagni staccava in avanscoperta il comandante Antonio Foschini che, alle
ore 13,30, entrava nel porto di Fasana a bordo di un MAS accolto
festosamente dagli abitanti, ai quali si univa gente giunta da
Dignano e
da Gallesano. Venivano raccolte le prime notizie sulle truppe che
occupavano Pola, sul regime quasi bolscevico imperante e sui disordini
scoppiati dopo l'affondamento della "Viribus Unitis".
Preso terra, il battaglione dei marinai, al
comando del capitano di corvetta Luigi Aiello, s'incamminava tosto sulla
strada di Pola mentre il comandante Foschini vi si recava via mare con
una torpediniera, che passava gli sbarramenti senza incidenti e defilava
lungo il bordo delle navi alla fonda, tutte battenti bandiera slava,
accolto dal saluto alla voce degli equipaggi. Egli attraccava alla
banchina dell'Arsenale e prendeva immediato contatto col comando slavo
che, colto di sorpresa, dichiarava il proprio dissenso e protestava. Da
Fasana a Pola correvano soltanto 8 chilometri, ma la strada era
pressoché intransitabile e la marcia degli Italiani era assai lenta. Gli
slavi improvvisavano un tentativo di fermarli col pretesto che nella
piazzaforte tutto era tranquillo e che non era necessaria la loro
presenza. La colonna proseguiva secondo gli ordini e giungeva alla
periferia della città alle ore 17,15. Qui trovava ad attenderla un
reparto cecoslovacco con bandiera e banda, che rendeva gli onori e si
metteva in testa a suon di musica.
Sparsasi la notizia dell'arrivo di marinai
e di soldati italiani,
Pola di pavesava di tricolori e di arazzi. I
cittadini, rinfrancati, si riversavano per le vie malgrado la sera
incombente mentre gli slavi tentavano una controdimostrazione con
musiche e loro bandiere in rumorosa manifestazione di benvenuto e di
fratellanza intendendo con ciò togliere alla nuova presenza il carattere
di occupazione militare per sanzionare il loro possesso.
Il comandante Foschini così riferiva nella
sua relazione: …«Seguono i nostri marinai, mescolati agli italiani,
uomini e donne di ogni ceto ed età, che li alleggeriscono di ogni
fardello, delle armi, degli zaini, che si stringono a loro, li
infiorano, li abbracciano e taluni, piangendo, li accarezzano dicendo
espressioni di affetto veramente italiano e sentite»….. Era la spontanea
manifestazione di un popolo che poteva esprimere finalmente i suoi veri
sentimenti. I soldati venivano dirottati al municipio, dove il
comandante Aiello veniva ricevuto con tutti gli onori. «Disceso dal
municipio — continua il Foschini — il comandante Aiello cerca di guidare
la massa dei cittadini e di soldati verso le caserme. È impossibile. Il
popolo vuole che l'antica Porta Aurea sia riconosciuta dai marinai
d'Italia venuti a liberarlo dal giogo straniero. Il cancello, che
recinge la Porta Aurea, è abbattuto, cittadini e marinai, stretti e
pigiati, imboccano la Via Sergia e passano trionfalmente sotto il
vetusto arco fra deliranti acclamazioni all'Italia»...
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Eccezionale affollamento
di navi nel novembre del 1918, tra le quali la corazzata italiana
Sardegna, le corazzate ex a.u. Prinz Eugen e
Tegetthof, la corazzata francese Paris, la corazzata
italiana Dante Alighieri, l'incorciatore corazzato San
Giorgio. |
A stento si riordinavano le colonne e i
soldati venivano condotti agli accantonamenti non senza difficoltà (i
loro corredi arrivavano soltanto dopo il 12 novembre): 500 marinai
accantonati con 3000 croati, altri 400 con 2090, il comando allogato
all'Hotel Riviera non senza palesi ostilità e qualche incidente sedato
dal pronto intervento degli ufficiali. I soldati del 225 Reggimento
venivano riuniti nelle scuole pubbliche di Piazza Dante.
Durante la notte le vie venivano battute da
numerose pattuglie slave tra colpi di fucile echeggianti qua e là. La
cittadinanza non mancava di manifestare le sue preoccupazioni stante il
fatto che i croati accentravano nelle loro mani tutti i servizi e che la
polveriera di Vallelunga si trovava in possesso di un sovjet, che teneva
la città sotto l'incubo di far saltare l'enorme quantità di esplosivi
colà depositati.
Il 6 novembre aveva luogo una nuova
conferenza tra gli ammiragli Cagni e Koch nel corso della quale si
definiva l'occupazione da parte italiana della grande stazione
radiotelegrafica del Castello, dei forti Musil e Maria Luisa, della
polveriera di Vallelunga, il che avveniva non senza difficoltà per la
resistenza tentata da quelli del posto.
Le forze italiane erano scarse, ma a
migliorare la situazione giungeva in porto la divisione degli
incrociatori corazzati dell'ammiraglio Palladini, "Pisa", "San Marco" e
"San Giorgio". Ciò produceva grande impressione per ragioni opposte sia
tra gli italiani e che tra gli slavi, i quali, per cercare appoggio alle
loro mire, si rivolgevano al comando superiore francese di Corfù.
Spuntavano sempre più numerose le coccarde con i colori italiani, che i
cittadini non temevano più di far vedere, ma si moltiplicano anche gli
incidenti seppur non gravi. Cominciavano ad uscire di notte anche
pattuglie di Carabinieri e due battaglioni erano tenuti costantemente
sul piede di pronto intervento. Gli slavi facevano circolare la voce
dell'arrivo di truppe serbe o francesi e di fronte a ciò l'ammiraglio
Cagni annunciava l'arrivo di altri 10.000 marinai, che in realtà non
erano disponibili, ma per i quali faceva preparare ostentatamente gli
accantonamenti.
Le truppe ex austro-ungariche si facevano
sempre più indisciplinate, si davano ai furti e alle soperchierie. Gli
slavi sentivano che la situazione stava sfuggendo al loro controllo, che
non potevano mantenere il grazioso dono della flotta fatto all'ultimo
minuto, sicché il 7 novembre arrivava a
Pola l'ammiraglio Prica, il
quale chiedeva perfino che venisse frapposto un cordone di truppe
italiane per arginare l'invasione degli sbandati dal fronte italiano
verso la Slovenia e la Crazia.
Frequenti erano le conferenze
dell'ammiraglio Cagni, che decideva di affrettare il piano delle
occupazioni: il giorno 8 novembre passavano sotto controllo la stazione
ferroviaria, il deposito di armi di Valle Galante, i magazzini
d'artiglieria presso l'Arena, il comando militare di piazza.
Aumentavano contemporaneamente le
sobillazioni croate, venivano denunciate devastazioni di ville e di case
isolate, furti di bestiame e tentativi di saccheggio. I Carabinieri
assumevano il comando delle operazioni di polizia militare in città e si
piazzavano sentinelle in tutti i posti più esposti.
Le occupazioni si estendevano ai forti di
Punta Cristo, Torre Grossa, Stoia, Ovina, Signole, Capo Compare e alle
polveriere di Fisella e di Val Maggiore. Passavano poi sotto controllo
la caserma della gendarmeria di Monte Zaro, il balipedio della
Saccorgiana, le stazioni idrovolanti di Puntisella, Cosada e Santa
Caterina, dove furti e sabotaggi erano particolarmente frequenti, e, via
via, il servizio ostruzioni e i vari depositi di benzina e di nafta.
* * *
Nell'atto di assumere il comando della
piazzaforte, finalmente in mano italiana, l'ammiraglio Cagni indirizzava
un manifesto di saluto ai reparti delle varie nazionalità austriaca,
ungherese, ceca, rumena, polacca, bosniaca e croata richiamandosi al
senso di disciplina e dichiarandosi certo che non sarebbe stato
costretto a misure coercitive. Alcuni ufficiali austriaci venivano a
chiedere protezione per un fatto successo a bordo della corazzata "Prinz
Eugen" ancora in mano ad un sovjet di marinai. Gli spericolati
affondatori della "Viribus Unitis", Paolucci e Rossetti, quasi fossero
stati dimenticati in tanto marasma, erano tenuti assurdamente
prigionieri, separati su due navi, e venivano finalmente liberati grazie
all'intervento del comando italiano.
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L'ammiraglio Horty, in
veste di reggente d'Ungheria. |
In sede di una prima riorganizzazione della
piazza, il comandante della R.N. "Pisa" riceveva l'incarico di
funzionario distrettuale per gli affari civili coadiuvato da un
funzionario civile. Il comandante della R.N. "San Marco" assumeva il
servizio viveri e consumi, quello della R.N. "San Giorgio" il comando
dei forti e delle polveriere.
Si stabiliva per primo lo sfollamento di
6000 cèchi, per lo più macchinisti e fuochisti (che, va detto per
inciso, erano i più disciplinati), ma occorrevano locomotive e vagoni
ferroviari per formare almeno otto treni.
Il comitato cittadino italiano reclamava il
richiamo del sindaco dott. Domenico Stanich, sollevato dalla carica allo
scoppio della guerra, che diveniva primo presidente della giunta
comunale di Pola italiana; veniva richiamato anche il deputato avv.
Lodovico Rizzi, già presidente della dieta provinciale dell'Istria.
Alcuni cittadini consegnavano
al comando navale la bandiera del
sommergibile "Pullino", affondato alla Galiola nel 1916, che, così
dicevano, da tempo avevano provveduto a mettere in salvo.
L'8 novembre venivano a scadere le 96 ore
previste dalle clausole d'armistizio per la consegna delle navi. Nulla
sembrava essere stato predisposto dal comando slavo, che protestava non
ritenersi impegnato ad osservare quelle clausole. Il comando superiore
di Venezia spiccava perciò una nota ufficiale di richiamo e l'ammiraglio
Cagni convocava il Koch, che, messo alle strette, prometteva di
allontanare al più presto dalla piazzaforte il maggior numero possibile
di marinai e di soldati, mentre da tutto il territorio, da
Dignano a
Rovigno, giungevano drammatiche invocazioni d'aiuto essendo finite le
scorte di viveri, con gli abitanti alla fame.
Procedevano intanto spedite le ultime
occupazioni: i forti dell'isola di Sant'Andrea, Lussin, Pontezza e Val
Maggiore, la stazione fotoelettrica di Punta Cristo, il comando del
Passo e l'arsenale navale, che costituiva un grosso problema con i suoi
4000 dipendenti civili, per i quali non c'era più lavoro.
Fin dal giorno 6 era stato deciso il
disarmo delle grandi navi, che si trovavano alle loro boe d'ormeggio, ma
solo il 10, a seguito di nuove pressioni motivate da voci allarmistiche
pervenute al comando italiano, venivano ammainate le bandiere con il
tricolore slavo alzate giorno e notte sulle corazzate "Tegetthoff" e
"Prinz Eugen" e su quasi tutte le altre navi. La notte precedente
l'ammiraglio Koch in persona aveva svolto opera di persuasione tra gli
equipaggi, sicché non si verificava alcun incidente alla comparsa della
nuova bandiera, quella italiana, che veniva alzata al loro posto. A prua
veniva alzata anche la bandiera inglese, data la presenza in
Pola di un
ufficiale della Royal Navy. S'era verificato però, sembra su permesso
del Koch, il saccheggio dei depositi viveri e vestiario. Certo è che le
navi si trovavano in stato di completa anarchia e dappertutto si
notavano sporcizia e devastazioni, effrazioni di serrature, forzamento
delle porte dei camerini degli ufficiali, vuotamento di stipi di ogni
genere. Erano stati portati via perfino i ferri chirurgici delle
infermerie. I ponti apparivano ingombri di materiali d'ogni genere e
qualità, abbandonati a casaccio, le latrine emanavano un tanfo
insopportabile insieme a quello della carne contenuta nei depositi non
più refrigerati o in scatolame aperto e non consumato. La cassaforte
della "Prinz Eugen" avrebbe dovuto contenere, secondo i registri,
100.000 corone, ma se ne trovarono in effetti soltanto qualche migliaio.
Furono fermati molti marinai carichi di casse e cassette di roba, che
cercavano di asportare.
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Grandi navi ex A.U. davanti ai Giardini di Venezia.
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La bandiera italiana saliva anche sulle
opere periferiche di
Dignano, Gallesano, Monticchio, Bradamante, San
Daniele, Turco, Bernardino, Pomer e San Benedetto. Venivano nel contempo
disarmate 13 torpediniere, 3 grandi caccia e un esploratore e avevano
inizio le delicate operazioni di rimozione degli sbarramenti e di
dragaggio dei campi minati.
Con l'arrivo della Brigata Arezzo, avvenuto
n 12 novembre, i marinai tornavano alle navi e ai depositi.
Apparivano così portate a termine le
operazioni per l'occupazione della piazzaforte, della base e del porto
militare principale di
Pola, già austro-ungarico, operazioni le più
complesse ed impegnative di quante effettuate lungo la sponda orientale
dell'Adriatico da Monfalcone a Cattaro, sia per il grande numero di
truppe di varie nazionalità presenti in sito, sia per le interferenze e
implicanze politiche, che avevano creato seri imbarazzi risolti infine
con tatto e fermezza.
Pola affermava, così, la sua italianità
dopo mezzo secolo di lotte con le potenti forze della i.r. Marina da
guerra, che con tutti i mezzi, anche con l'alleanza dell'elemento
croato, aveva cercato di imporre la sua presenza intendendo condizionare
la vita civile e politica della città.
Se ne andarono un po' tutti, ma qualcuno,
qui sistemato da anni, rimase. Rimaneva anche un giovane ufficiale
austriaco, Rudolf Klaudus (1893-1964), destinato a divenire col nome di
Rodolfo Claudus il pittore ufficiale della R.Marina per la quale ha
dipinto numerosissimi quadri di navi, di azioni ed episodi salienti,
specialmente nel corso dell'ultima guerra.
Secondo una rilevazione pubblicata
dall'ufficio storico della marina francese, alla data del 3 febbraio
1919 si trovavano nel porto di
Pola 4 navi italiane, 1 francese, 1
inglese; dell'ex marina austro-ungarica erano presenti 2 corazzate
moderne (la terza, la "Viribus Unitis" giaceva capovolta su di un
fondale di 29 metri presso la sua usuale boa d'ormeggio), 18 navi di
vecchio tipo, 2 incrociatori leggeri, 16 cacciatorpediniere, 28
torpediniere, 14 sommergibili, senza contare le non poche navi
ausiliarie e i rimorchiatori. Una concentrazione senza precedenti e mai
più veduta.
Il nuovo stato slavo SHS doveva
accontentarsi dell'assegnazione di 8 torpediniere d'alto mare, 4
torpediniere di vecchio tipo, 4 dragamine, alcune-navi ausiliarie, un
certo numero di rimorchiatori e scafi utilizzati come deposito o
alloggio. Alcune di queste torpediniere e qualche unità ausiliaria
passarono nel 1941, quando venne occupata la Dalmazia, sotto bandiera
italiana.
La "Tegetthoff" e l'anziana "Erzherzog
Franz Ferdinand" con altre unità minori passavano all'Italia, e il 24
marzo 1919 venivano trasferite con equipaggio italiano a Venezia dove
rimanevano, ancorate davanti ai Giardini, fino al 1923 per essere infine
avviate alla demolizione.
La "Prinz Eugen", assegnata alla Francia,
veniva condotta da quattro rimorchiatori a Tolone, dove giungeva il 5
settembre 1920. Sbarcati i cannoni e parte dei macchinari, l'unità
veniva impiegata come nave bersaglio per bombe d'aereo, siluri e tiri
d'artiglieria e alla fine finiva affondata a sud di Cap Cépet.
Quanto alla piazzaforte e alla base navale,
mutate dopo il 1918, con l'Italia, le esigenze e gli indirizzi di
politica marinara, l'arsenale veniva ceduto all'industria privata, il
Cantiere Scoglio Olivi entrato poi nei C.R.D.A.. La funzione militare
non cessava, ma assumevano prevalenza le scuole e i centri di
addestramento, il C.R.E.M.M.-Corpo Reale Equipaggi Militari Marittimi,
la sede del Reggimento San Marco, la scuola sommergibilisti, la
scuolanautica della Guardia di Finanza.
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Saggio ginnico di tremila
allievi delle scuole militari sul "Campaccio".
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Fonti:
Gran parte delle notizie, che
compaiono nella presente memoria, provengono da fonte austriaca.
Va segnalato, nella traduzione dell'autore,
il volume "La classe «Tegetthoff», le più grandi navi da battaglia
dell'Austria - Ungheria", opera del gruppo di lavoro Aichelburg,
Baumgartner, Bilzer, Pawlik, Prasky, Sieche, pubblicato nel 1979 da
Riedeldruck, Mistelbach.
Inoltre la rivista viennese "Marine Gestern
Heute" con gli articoli di Milan Vego "La difesa costiera
austro-ungarica", giugno 1983; Lothar Baumgartner "Finis Austriae — Gli
ultimi 14 giorni della i.r. Marina nel diario di un cadetto di marina in
Pola nell'ottobre del 1918", giugno 1980; Erwin Sieche "Cronologia degli
avvenimenti riguardanti lo scioglimento e la spartizione dell'i.r.Marina
da guerra 1918-1923", marzo 1986; Paul J. Kemp "La Gran Bretagna e la
spartizione dell'i.r.Flotta 1918-1923", su testo inglese tradotto in
tedesco da Erwin Sieche), giugno 1985. Georg Pregel "La marina SHS negli
anni 1919-1923", marzo 1987; Georg Pregel "La marina SHS negli anni
1919-1923-Ricordi di un testimonio oculare", marzo 1987.
Di fonte italiana va cito Silvio Salza con
"La Vittoria mutilata in Adriatico. Dal luglio 1918 alla conferenza
della pace - Gennaio 1919" (Vol. IIIº di "La Marina Italiana nella
Grande Guerra"), Ufficio Storico della R.Marina, Vallecchi, 1942.
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